London Design Festival 2012

Giunto al suo decimo anno di vita, il "London Design Festival" non dà segni d'invecchiamento e, in quanto ombrello per la sperimentazione e per l'innovazione, resta un essenziale e provvidenziale appuntamento annuale con il design.

Il London Design Festival, giunto al suo decimo anno di vita, non dà segni d'invecchiamento. Ogni anno cresce, con più manifestazioni, più incarichi, più mostre e più installazioni distribuite nei dieci giorni del suo programma. I formati preesistenti, come la fiera 100% Design, acquistano un'immagine nuova, mentre designjunction, che ha debuttato lo scorso anno, si è trasferito nei più ampi spazi di un ex ufficio di smistamento postale del centro cittadino. Intanto i Landmark Projects, o "progetti di riferimento sul territorio", come il portale sonoro Be Open di Trafalgar Square, hanno consentito al pubblico di godersi un po' di creatività per la delizia di occhi, orecchi e gola, dato che le tendenze di artigianato, tecnologie digitali e sensibilità etiche e ambientaliste hanno mostrato concordi una generale attenzione all'alimentazione.

L'espansione del festival verso est è proseguita, con il nuovo quartiere del design di London Fields che si è aggiunto a una varietà di punti d'attrazione non consueti. Tra i riferimenti più importanti la mostra personale di Dominic Wilcox al KK Outlet e la mostra "Prostheses and Innesti" della Galleria Fumi, con opere dell'architetto brasiliano Marcio Kogan e del suo studio MK27. Riprendendo l'interesse di Enzo Mari per il progetto anonimo dell'arredamento dei luoghi di lavoro italiani, gli architetti hanno raccolto mobili da cantiere e li hanno modificati con lussuosi interventi artigianali a base di vetro di Murano, seta di Como e chiodi intinti nell'oro.

L'operaismo chic era anche protagonista della mostra allo spazio in riva al canale dello Studio Toogood. Lungo una parete, con la collezione di mobili Batch in stile Shaker di Faye Toogood, c'erano camici da lavoro, calzature realizzate con pezze di feltro e anche cibo per i lavoratori affamati, sotto forma di M25 Lunch, lavoro in collaborazione con le food designer italiane di Arabeschi di Latte. Frutto di ingredienti reperiti sull'autostrada che circonda Londra, era uno dei numerosi progetti che esprimevano l'attuale innamoramento del design per il cibo, a scopi sociali e di sostenibilità.
In apertura: "Prostheses and Innesti", Marcio Kogan + Studio MK27, Manuela Verga e Paolo Boatti. Photo Petr Krejci. Qui sopra: il progetto di Peter Marigold con Oyuna a 4 Cromwell Place
In apertura: "Prostheses and Innesti", Marcio Kogan + Studio MK27, Manuela Verga e Paolo Boatti. Photo Petr Krejci. Qui sopra: il progetto di Peter Marigold con Oyuna a 4 Cromwell Place
Le progettiste di Arabeschi di Latte, come parecchi altri designer, quest'anno sbucavano fuori in più luoghi. Hanno anche allestito un punto di vendita presso 4 Cromwell Place, il nuovo spazio di rappresentanza del lussuoso quartiere del design di Brompton a South Kensington. A loro si sono aggiunti il progetto alimentare Kopiaste di Design Marketo e Haptic Thought, oltre a parecchi altri pezzi che riflettevano la varietà del festival di quest'anno, dalla collaborazione di Peter Marigold con il produttore di cachemire Oyuna all'analisi dei media digitali di Out of Print.
"Prostheses and Innesti", Marcio Kogan + Studio MK27, Manuela Verga e Paolo Boatti alla Gallery Fumi. Photo Petr Krejci.
"Prostheses and Innesti", Marcio Kogan + Studio MK27, Manuela Verga e Paolo Boatti alla Gallery Fumi. Photo Petr Krejci.
Un allestimento temporaneo in una vicina cantina ha ospitato "Image for a Title: Placebo Effects in the Cultural Landscape", dove il duo Workshop for Potential Design aveva incaricato designer come Sam Jacob, Tim Parsons e Jessica Charlesworth di riflettere sulla percezione degli oggetti e su come usarli per navigare nel mondo circostante. La mostra, fondata su strategie come il readymade e le narrazioni progettuali, è stata una delle installazioni più interessanti di quest'anno.
La mostra Image for a Title, fondata su strategie come il readymade e le narrazioni progettuali, è stata una delle installazioni più interessanti di quest'anno.
"Out of the Woods", mostra dei progetti sviluppati dall'American Hardwood Export Council (AHEC) con il
Royal College of Art. Nella foto la sedia di James Shaw &  Marjen Van Aubel Well Proven. Photo Petr Krejci
"Out of the Woods", mostra dei progetti sviluppati dall'American Hardwood Export Council (AHEC) con il Royal College of Art. Nella foto la sedia di James Shaw & Marjen Van Aubel Well Proven. Photo Petr Krejci
Sempre nella zona occidentale di Londra il Victoria & Albert Museum ha conservato la sua posizione centrale nel festival e ha presentato parecchi degli eventi principali, dall'installazione Prism di Keiichi Matsuda, fatta di informazioni, in alto nella cupola dell'edificio, a The Journey of a Drop di Rolf Sachs e, su un piano più storico, a una mostra sull'opera di Gio Ponti promossa da Molteni & C. Ad accogliere i visitatori all'ingresso principale c'era una delle spettrali Mimicry Chairs di Nendo, una delle undici collocate in tutto il museo, ognuna modificata nella forma secondo l'ambiente circostante. Il giardino del museo era occupato da Bench Years di Established & Sons, dove designer tra cui Industrial Facility e Jasper Morrison hanno usato la forma della panchina per sperimentare le qualità di materiali come il Corian e la ceramica. La sperimentazione del materiale era anche il tema di "Out of the Woods", collaborazione tra RCA e l'American Hardwood Export Council, in cui particolarmente interessanti erano la prospettiva gastronomica della sedia Leftovers di Lauren Davies e la sedia di legname di recupero Well Proven di James Shaw e Marjian van Aubel.
Studio Toogood: The Back Room
Studio Toogood: The Back Room
Sulla riva meridionale, all'interno di "Digital Crystal: Swarovski at the Design Museum", un gruppo di neolaureati e di nomi affermati ha usato varie tecnologie per riflettere sul concetto di memoria nell'era digitale. Accanto c'era l'esposizione "Designers in Residence", l'annuale rassegna del museo sulla prossima generazione di professionisti. Infine il centro cittadino ha visto il varo di una nuova galleria con la piacevolmente eclettica 19 Greek Street, mentre lì vicino la galleria Libby Sellers ha festeggiato il suo primo compleanno con due mostre: "Hot Tools", mostra degli esperimenti sul vetro soffiato degli studenti dell'ECAL – esempio del perdurante interesse dei designer per il processo – e, sul retro, altri prodotti della collaborazione tra Marigold e Oyuna.
The M25 Luncheon a cura delle food designer Arabeschi di Latte
The M25 Luncheon a cura delle food designer Arabeschi di Latte
Questa rapida panoramica coglie solo alcuni aspetti del repertorio presentato dal "London Design Festival", ed è arduo individuare un'identità generale del festival di quest'anno. L'energia e la creatività delle manifestazioni sono innegabili, anche se, come in ogni edizione del festival, ho avvertito a necessità di un impegno ancora maggiore sui temi sociali e nei confronti del pubblico non avvezzo al design. E tuttavia, come gli organizzatori sono pronti ad ammettere, il cuore pulsante del festival è il commercio; e quindi, in quanto ombrello per la sperimentazione e per l'innovazione, il "London Design Festival" resta un essenziale e provvidenziale appuntamento annuale con il design.
Il progetto di Sam Jacob all'interno della mostra 
"Image for a Title: Placebo Effects in the Cultural Landscape", a cura di Workshop for Potential Design
Il progetto di Sam Jacob all'interno della mostra "Image for a Title: Placebo Effects in the Cultural Landscape", a cura di Workshop for Potential Design
Be Open, <i>sound portal</i> in Trafalgar Square
Be Open, sound portal in Trafalgar Square
<i>Mould in Motion</i> di ECAL/Philipp Grundhöfer all'interno della mostra "Hot Tools", in collaborazione con ECAL alla Gallery Libby Sellers
Mould in Motion di ECAL/Philipp Grundhöfer all'interno della mostra "Hot Tools", in collaborazione con ECAL alla Gallery Libby Sellers
Il progetto di Tim Parsons & Jessica Charleswoth all'interno della mostra "Image for a Title: Placebo Effects in the Cultural Landscape", a cura di Workshop for Potential Design
Il progetto di Tim Parsons & Jessica Charleswoth all'interno della mostra "Image for a Title: Placebo Effects in the Cultural Landscape", a cura di Workshop for Potential Design

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