In questi ultimi anni, il dibattito sul design è stato prevalentemente occupato da un unico tema: il processo generativo. La standardizzazione della forma, quando non addirittura la pura forma in sé, appare pressoché priva di consistenza a paragone di un nuovo genere di oggetto, esemplare unico all'interno di una serie consapevolmente imperfetta. Per l'utente, queste curiose mutazioni rappresentano un tipo speciale di bene, disponibile ad accogliere valori e memoria. Il processo, a quanto pare, è una sorta di rimedio universale, che cura la stanchezza del design e il senso di colpa consumistica senza sacrificare una briciola di consapevolezza estetica. Tuttavia, in questo fenomeno c'è qualcosa di curiosamente commerciale. In teoria, la nozione di processo suggerisce una vasta gamma di trasformazioni, transazioni e montaggi nel corso della vita dell'oggetto, ma, in pratica, la situazione è diversa. Il design fondato sul processo tende a definire un preciso arco temporale che inizia con l'acquisizione dei materiali utili al progetto e termina nel momento in cui l'oggetto esce dallo stampo. In questo arco di tempo, il designer, spesso, è l'unico agente della trasformazione; lo studio, come un laboratorio a tenuta stagna, sovente è l'unico contesto della produzione. Quando questi oggetti ostentatamente disomogenei lasciano il laboratorio per il "mondo reale" sono destinati al consumo diretto, "valori intrinseci" compresi.
In effetti, all'interno del dibattito sul design fondato sul processo, spesso si tiene poco conto del processo di acquisizione dell'oggetto: estrazione dei materiali dall'imballaggio, collegamento dei componenti, messa in opera e, infine, dismissione, quando non se ne ha più bisogno. Certamente, questi eventi non possiedono la qualità cinematografica di un processo di fabbricazione programmato in cui l'oggetto acquista concretezza, come per magia, senza che il designer lo manipoli direttamente: l'opera di laboratori come lo studio Glithero, a Londra, rende evidente che il filmato del processo è un prodotto di design quanto un vaso di terracotta, e forse anche di più. Per contro, le scene implicite nella definizione di processo in senso lato sono abbastanza banali: scegliere un prodotto in negozio, armeggiare con i componenti, sistemare i piccoli difetti, mettere nel giusto bidone i pezzetti ormai inutilizzabili, e così via.
Se Thwaites è stato un pioniere in questo campo, usando il design come strumento d'indagine, i neolaureati Jesse Howard e Gaspard Tiné-Berès possono rappresentare la fase successiva di questo percorso, in cui il design diventa attore della partecipazione e della riparazione.