Cambi di costume

Dal regista indiano Akshat Verma alla odor artist Sissel Tolaas, dal direttore di Philips Design Clive van der Weerden all'architetto sudafricano Heinrich Wolff, Design Indaba ha offerto una serie di sguardi sul futuro di un Paese in rapida trasformazione sociale.

"Un mondo migliore grazie alla creatività": è il 1° marzo 2012, sono al Design Indaba di Città del Capo e questo è uno degli slogan di benvenuto della manifestazione. La tariffa per l'intero fine settimana, per un normale visitatore, è di 8.000 rand (circa mille euro), cioè ben più alta del reddito medio di un sudafricano. Ma in fin dei conti che cosa ci si può aspettare quando in cartellone ci sono Hans Ulrich Obrist, Piet Hein Eek, Bjarke Ingels e i Massive Attack? Il mio primo contatto è la Guida del visitatore. È riccamente illustrata con belle foto artistiche e usa il tipico linguaggio iperbolico della pubblicità. T'interessa andare in elicottero nella zona dei vigneti? Mentre, a sentire MTN, sponsor principale dell'evento, "Quando due grandi idee si incontrano, accade qualcosa di stupendo". È il solito strombazzamento di tutte le campagne pubblicitarie. Città del Capo si prepara con fiducia a essere la Capitale mondiale del design del 2014. E la prima impressione che dà Design Indaba è quella di un allegro gruppo di creativi, che si godono uno spettacolo scintillante e credono che il design non possa portare altro che un sacco di bene. Ho l'ambizione di prestare orecchio a nomi meno consueti. Il primo a colpire la mia attenzione è il regista cinematografico Akshat Verma. Questo indiano che vive a Los Angeles, e che si prende spiritosamente in giro nella sua nota biografica ("Ha vinto a tutt'oggi qualche premio, ma afferma che ciò non deve in alcun modo essere considerato una garanzia della sua competenza di autore, del suo carattere e della sua tempra morale") pare un buontempone.
In alto: Akshat Verma. Sopra: Heinrich Wolff
In alto: Akshat Verma. Sopra: Heinrich Wolff
"Vivi il design, trasforma la vita." Un'eccellente parte dell'intervento di Akshat è dedicata al cortometraggio sul negozio di video di due fratelli nella sua città natale. In segreto, i due fratelli noleggiano film porno sottobanco. Un cliente entra, dice un codice e la mano di uno dei fratelli afferra sotto il bancone una videocassetta a caso. Il cliente non è in grado di scegliere che film desidera. Nota Akshat: "Nulla tempra il carattere di un uomo più del non riuscire ad avere il porno che vuole". La sua esperienza personale di uomo di cinema di Bollywood gli fa riconoscere in una sceneggiatura cinematografica le qualità della cosiddetta gratificazione posposta. E difatti mostra in una sequenza che, per quanto la sua commedia romantica Delhi Belly (L'ombelico di Delhi) sia carica di tensione erotica, il protagonista riesce a baciare la ragazza solo nell'ultimissima scena. Un altro problema creativo che Akshat illustra, che è parte intrinseca del suo lavoro e suscita vasta eco sulla scena postcoloniale sudafricana, è la questione dell'autenticità. Secondo lui l'obiettivo non è l'originalità al cento per cento. Anzi, propone di stare con un piede nel passato e l'altro nel futuro. Chiedendo al pubblico di accostarsi per la prima volta al cinema di Bollywood—cambiamenti di costume e ragazze che ballano sotto la pioggia—Akshat prosegue spiegando coma ha usato questi stereotipi e questi preconcetti come motore delle sue sceneggiature. Mettendo insieme due realtà apparentemente molto distanti coma la musica popolare della tradizione indiana e il rock americano, ovvero i cambi di costume e la cultura Pop moderna. Un po' scherzo da ex copywriter, un po' verità da cittadino del mondo, il provocatorio intervento di Aksha risuona con chiarezza a Design Indaba, manifestazione che, come suggerisce la mia introduzione semiseria, poteva munirsi di un po' più di ironia riguardo al potere salvifico del design.
Design Indaba 2012 a Città del Capo
Design Indaba 2012 a Città del Capo
"Separati dall'apartheid, riuniti dal design." Indubbiamente questo genere di ottimismo celebrativo pare al centro di Design Indaba. È stupefacente comunque venire a sapere che l'apartheid in Sudafrica era più che altro un progetto urbanistico. Ma ritengo che gli organizzatori volessero dire che Design Indaba è una manifestazione di speranza. Grazie a essa, Città del Capo può avere il suo posto come città mondiale emergente, città attenta al design che guarda al futuro. È affascinante vedere come questa manifestazione funzioni come zona privilegiata. All'inizio della terza mattinata, m'imbatto in un gran numero di classi scolastiche. È buona abitudine in Sudafrica organizzare l'afflusso in autobus degli ex emarginati dagli insediamenti urbani come Langa, Nyanga e Mitchells Plain, Gugulethu e Kayelitsha. Il primo pezzo di design che questi ragazzi si trovano di fronte è una mappa dell'odor artist Sissel Tolaas che mostra un "paesaggio odorifero di Città del Capo 2012-2014". Sfortunatamente Sissel non prende in considerazione i quartieri degli insediamenti di questi ragazzi. L'intervento del sudafricano Clive van der Weerden, direttore di Philips Design, dà prova di acutezza, mi pare, quando afferma che in molte questioni di design noi non formuliamo le domande difficili. Perché progettiamo quel che progettiamo? Clive, che si occupa della creazione di scenari di vita, ha parlato del carattere provocatorio del suo design che affronta temi sociali come il modo di creare energia o il modo di diagnosticare le malattie. È interessante che ne abbia tratto la conclusione che competenze e capacità di vita essenziali, come l'allevamento delle api, stiano scomparendo. E per questo si è dichiarato convinto sostenitore del programma cittadino di diffusione dell'artigianato negli insediamenti.
Città del Capo può avere il suo posto come città mondiale emergente, città attenta al design che guarda al futuro
Clive van den Weerden
Clive van den Weerden
"Riconciliare il passato con il presente." Una voce interessante, nella prima giornata di Design Indaba, che assolutamente non si concilia con l'idea di un futuro sudafricano basato sul desiderio di sfuggire al traumatico passato del paese, è quella di Heinrich Wolff, residente a Città del Capo. Il suo studio ha progettato abitazioni di edilizia sociale per il cosiddetto progetto Red-Location di Port Elizabeth, città della provincia dell'Eastern Cape. Coscientemente Heinrich ha cercato di affrontare un tipico spazio di insediamento dell'apartheid e di rimediare alle ingiustizie del passato. La sua proposta, che sfida le regole generalmente accettate dell'edilizia sociale e che si basa sulla ricerca sulla pratica dell'affitto negli insediamenti, indica, a quanto ha dichiarato Heinrich, il rapporto di reciprocità che intercorre tra la ricerca e il gesto propositivo. Ho apprezzato la conclusione di Heinrich secondo il quale Città del Capo sta attraversando un periodo di rapida trasformazione sociale, il che richiede da parte dei designer la partecipazione invece della semplice soddisfazione degli interessi dei ricchi e dei potenti. Un contributo attento alla manifestazione, il cui taglio indica che è possibile progettare l'uscita dall'apartheid.
Design Indaba 2012 a Città del Capo
Design Indaba 2012 a Città del Capo

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