La scrittura, per me, è il retro dei disegni

Per Beniamino Servino il progetto è un modo per chiarire a se stesso, e agli altri, il significato dell’architettura. Come dimostra il suo ultimo libro Obvius, seguito logico di Monumental Need.

Beniamino Servino, OBVIUS. Diario [con poco scritto e molte figure], Lettera Ventidue, 2014, 256 pp.

 

Non è facile definire con chiarezza che tipo di libri scrive Beniamino Servino: dipende dal momento in cui lo si legge, dipende dallo stato d’animo e dal perché lo si legge. Perché Servino va letto con lentezza.

La scrittura di Obvius mi ricorda l’ultimo libro di Jennifer Egan Black Box, romanzo breve scritto e pubblicato la prima volta su Twitter. L’autrice americana (vincitrice del Pulitzer) ha dovuto condensare ogni frase ogni suo passaggio nei 140 caratteri consentiti dal social network. Così Servino, attraverso una scrittura asciutta ed essenziale, fatta di ripetizioni e giochi linguistici, mette assieme i frammenti che negli ultimi anni ha raccolto su Facebook, sul suo diario, dà loro una forma diversa, struttura la sua teoria.

Beniamino Servino, <i>OBVIUS. Diario [con poco scritto e molte figure]</i>, Lettera Ventidue, 2014, 256 pp.
Beniamino Servino, OBVIUS. Diario [con poco scritto e molte figure], Lettera Ventidue, 2014, 256 pp.
Impossibile per me scrivere di Obvius senza citare Monumental Need, l’altra metà di questa ricerca incessante sul progetto e sulla sua forma teorica, costruita attraverso le immagini, che l’ha preceduto. Lo stesso autore dichiara che la distanza temporale tra i due gli è servita per organizzare fisicamente il lavoro di ricucitura dei frammenti. Le immagini della seconda parte di Obvius sono tutte fatte nel periodo tra il primo e il secondo tomo.
Beniamino Servino, <i>OBVIUS. Diario [con poco scritto e molte figure]</i>, Lettera Ventidue, 2014, 256 pp.
Beniamino Servino, OBVIUS. Diario [con poco scritto e molte figure], Lettera Ventidue, 2014, 256 pp.
Il libro si costruisce in due parti ben distinte che dialogano tra di loro. La prima è un racconto di come le idee e gli spazi prendono forma nella sua mente attraverso un elenco di temi su cui riflettere aggiornandoli continuamente. La seconda è una costruzione formale di linee e colori che ricompongono sulla carta la sua memoria. Le due parti ci guidano a capire la sua architettura (peccato non avere alla fine del libro qualche foto delle sue realizzazioni: sarebbero state perfette per comprendere appieno il significato della sua teoria per immagini).
Beniamino Servino, <i>OBVIUS. Diario [con poco scritto e molte figure]</i>, Lettera Ventidue, 2014, 256 pp.
Beniamino Servino, OBVIUS. Diario [con poco scritto e molte figure], Lettera Ventidue, 2014, 256 pp.
Il rischio per i lettori poco attenti è legato alla sua affabulazione tecnica (la sua grandissima capacità di rappresentare i pensieri con tecniche diversissime tra loro che sfruttano la tecnica del montaggio e non del collage come molti sostengono) che nasconde a volte il corpo reale del suo lavoro. Così pezzi di muri in mattoni, pietra, travertino, paesaggi, render e macchie di colore assumono di volta in volta significati diversi.
Beniamino Servino, <i>OBVIUS. Diario [con poco scritto e molte figure]</i>, Lettera Ventidue, 2014, 256 pp.
Beniamino Servino, OBVIUS. Diario [con poco scritto e molte figure], Lettera Ventidue, 2014, 256 pp.

“Non possiedo [non uso] le cose se non riesco ad adattarle a me. A trasfigurarle.”

Nella sua scrittura una dichiarazione è sempre rafforzata da un’altra che la segue tra parentesi, una ricchezza linguistica rara nel mondo veloce dei social network…

E, ancora, “L’intervento sul reale [sull’ambiente esistente, città o paesaggio] avviene per sovrapposizioni. Livelli che si appoggiano su quelli esistenti e si dispongono a riceverne altri.”

I due volumi fanno parte di un unico progetto editoriale pensato per raccontare una teoria molto particolare, comunicare un’idea di architettura, fatta di scritture diverse che si sovrappongono e interagiscono tra di loro per dare forma allo spazio. Le operazioni fatte da Servino sono molto semplici, ma hanno radici profonde radicate nel territorio e nella storia dei luoghi, delle persone che li abitano, ai mutamenti sociali che li pervadono. Una teoria che nasce dalla sedimentazione della memoria di un luogo che in diversi momenti si sovrappone a quella dell’architetto.

Il primo volume definisce con chiarezza alcune delle linee che poi vengono sviluppate in Obvius: la necessità monumentale del paesaggio dell’abbandono che può e deve essere trasformato attraverso delle regole. Nel primo libro si pongono in essere delle questioni e dei temi, regole appunto, che ritornano sistematizzate e sviluppate con chiarezza nel testo del secondo. Se Monumental Need è molto frammentato e con una forte componente anti narrativa, Obvius è l’esatto contrario, rappresenta una sistematizzazione dei frammenti, ha una struttura più chiara, perché in questa enunciazione teorica l’architettura prende forma. Scrittura e disegno entrano in dialogo

Beniamino Servino, <i>OBVIUS. Diario [con poco scritto e molte figure]</i>, Lettera Ventidue, 2014, 256 pp.
Beniamino Servino, OBVIUS. Diario [con poco scritto e molte figure], Lettera Ventidue, 2014, 256 pp.

“La scrittura per me è il retro dei disegni”, dichiara Servino. Questo significa che per l’architetto casertano il progetto è una forma di scrittura un modo per chiarire a se stesso e agli altri il significato dell'architettura.

Servino, infatti, fin dal titolo del volume e dal suo sottotitolo, spiega, fissa delle parole, che hanno la stessa funzione delle linee dei suoi disegni, sono tracce da seguire in un ragionamento che acquista sostanza pagina dopo pagina.

“Definisco dei campi all’interno dei quali mi muovo poi con il disegno, con il progetto. Facendo attenzione a scavalcare [a mettermi di traverso tra] questi solchi.”

Beniamino Servino, <i>OBVIUS. Diario [con poco scritto e molte figure]</i>, Lettera Ventidue, 2014, 256 pp.
Beniamino Servino, OBVIUS. Diario [con poco scritto e molte figure], Lettera Ventidue, 2014, 256 pp.

Era da tempo che un architetto non cercava di scrivere un libro, prima di tutto per se stesso, e poi per gli altri, per capire e far capire che l’architettura dà forma all’abitare del mondo. Non so se la parola teoria è giusta, ma questo libro descrive e racconta in modo originale il fare architettura.

Per usare ancora una volta le parole di Servino è importante capire che “Qualche volta la scrittura è un a posteriori, altre un a priori”.

© riproduzione riservata

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