Gli scritti di Gallizio

di Mirella Bandini

Pinot Gallizio, A cura di Giorgina Bertolino, Francesca Comisso, Maria Teresa Roberto Charta, Milano, 2005 (pp. 240, Euro 37).

Gli scritti di un artista sono sempre rivelatori del processo percettivo e cognitivo del suo operare: tracce intuitive, percorsi emotivi, diario pulsante del suo essere nel mondo. Con il titolo Pinot Gallizio in Laboratorio della scrittura sono stati recentemente pubblicati gli scritti e gli scambi epistolari dell’artista albese, a cura di Giorgina Bertolino, Francesca Comisso, Maria Teresa Roberto e con una prefazione di Enrico Ghezzi.

Il volume, realizzato con il contributo della Fondazione Ferrero e del Centro Studi “Beppe Fenoglio” del Comune di Alba, presenta pagine anastatiche comprensive di schizzi e disegni e completa la lettura della complessa personalità di Gallizio (Alba 1902-1964), cofondatore e protagonista con Guy Debord, Asger Jorn e Constant del primo periodo dell’Internazionale Situazionista, il più denso e problematico perché teso al “superamento dell’arte”. Il titolo sottolinea la stretta complementarità con la sua attività, svoltasi in quel centro di azioni e di idee quale è stato il Laboratorio Sperimentale di Alba, da lui diretto dal 1955 al 1960. Per il farmacista albese, pittore e cultore di archeologia, di botanica, di cultura popolare e di nomadismo, fu determinante l’incontro e l’amicizia fraterna con Asger Jorn, conosciuto ad Albisola nel 1955.

Fu uno scambio di affinità elettive, che si estese a Constant, con Jorn grande teorico del gruppo Co.Br.A. Gli scritti di Gallizio che iniziano da quel periodo rivelano l’influenza e la dialettica sia dell’artista danese sia di quello olandese, con cui aveva in comune l’ottica sociale della creatività artistica, in cui trasfondere l’impegno etico di tutta la vita. Il carattere diaristico ne rende toccante la lettura, per la scrittura libera, anticulturale, di tipo dubuffettiano nella sua cosmogonia, con notazioni rapide, intuitive che coinvolgono il lettore e si riflettono nei titoli delle sue straordinarie opere. Gallizio vi ribadisce la necessità di un azzeramento culturale, di “un’ignoranza critica” correlata al “sempre nuovo”: tematiche di eredità Co.Br.A., confluite attraverso il lavoro comune con Jorn e Constant, che già alla fine degli anni Quaranta teorizzavano la sperimentazione non soltanto pittorica, ma comportamentale, quale liberazione del desiderio e della volontà rivoluzionaria.

Insieme a essi, la presenza forte di Guy Debord, mente dell’Internazionale Situazionista, imprime una abile strategia politica al Laboratorio di Alba. Gli scritti pubblicati insistono sul concetto di sperimentazione, considerato da Jorn, Constant e Gallizio quale attitudine propria dell’amateur professionnel e la capacità di superare le conoscenze acquisite per giungere a un’innocenza nuova, un inedito “punto zero”. Da qui, gli appunti intorno alle “esperienze immaginiste” su materiali diversissimi, dalle resine ai colori a olio e aniline alimentari mescolati con sabbia e polvere di carbone, unitamente all’elaborazione di una teoria dei colori. Sempre percorsi da una vena poetica, le sue note sulla ‘disimmetria’ (quale metafora anti-funzionalista), sulla “teoria dell’antimateria”, del ‘viol mental’ quali antidoti alla noia e alla monotonia della vita corrente, rivelano riflessioni sul pensiero scientifico e politico.

Il concetto di ‘disimmetria’ è legato alla nozione di ‘barocco’, cioè all’irregolare, all’aperto, all’instabile, che ricorre spesso nei suoi scritti; termine molto usato da Michel Tapié, il critico d’arte francese teorico dell’art autre che aveva portato a Torino dal 1959 l’arte d’avanguardia internazionale, ed era in amicizia con Gallizio. Nel Centro diretto da Tapié e nella galleria Notizie di Luciano Pistoi, con Carla Lonzi, Gallizio aveva conosciuto l’opera di grandi artisti, che definisce suoi ‘padri’ in un manoscritto del 1960: Fontana-Jorn-Burri-Dubuffet-Mathieu-Teshigahara. Inoltre, la vicinanza di Constant, teorico dell’Urbanistica Unitaria, una nuova dimensione ambientale urbana a scenari mobili e variabili (New Babylon), in opposizione al razionalismo funzionalista dell’epoca, condusse Gallizio alla produzione della “pittura industriale”. Questa opera sperimentale, aperta, seriale, legata al gioco anche nella denominazione linguistica, è accompagnata dal Manifesto della pittura industriale del 1959, il più importante dei suoi scritti: un testo poetico ricco di immagini e di metafore bellissime, sorretto da una utopia che ha echi futuristi (Gallizio aveva avuto contatti con gli artisti del secondo Futurismo torinese, quali Farfa e Mino Rosso nella galleria Notizie, dove aveva visto opere di Fillia).

La dimensione estetica che preconizza nel Manifesto è una rivalutazione della sfera sensoriale e fantastica raggiungibile in armonia con l’evoluzione scientifica. In una società poetica, l’utilizzazione della macchina sarà diversa: “Bisogna dominare la macchina e obbligarla al gesto unico, inutile, antieconomico, artistico, per creare una società antieconomica, ma poetica, magica, artistica… Noi useremo macchine per dipingere le autostrade, per fabbricare i più fantastici e unici tessuti, che folle gioiose vestiranno con senso artistico per un solo minuto. Chilometri di carte stampate, incise, colorate inneggeranno alle più strane ed entusiasmanti follie… Ognuno proverà la gioia del colore, della musica; le arie architettoniche dei gas colorati; faremo giocare l’uomo dalla culla alla tomba, anche la morte non sarà che un gioco”. È questa la visione utopica di Gallizio, di un’arte strettamente intrecciata alla vita, dove l’opera e la scrittura non siano soltanto azione vitale e liberatrice, ma esperienza totale dell’uomo sociale e storico.

Mirella Bandini Critico d’Arte

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