A Material Flow

Per la quarta edizione della sua collezione Acting Things, presentata a Design Miami/ Basel 2013, la designer Judith Seng ha concepito una performance che mette in scena una rappresentazione vivente della creatività progettuale.

Quando il design si avventura su un palcoscenico, su una pedana o su un podio (come ha fatto sempre più nell’ultimo decennio, nei musei, nelle gallerie e nelle fiere) di solito assume certe connotazioni. Le quali possono implicare l’allontanamento dei beni di consumo dalla banalità della vita quotidiana, l’intreccio del design contemporaneo con le tattiche e l’economia del mondo dell’arte, nonché la feticizzazione dell’oggetto sotto forma di edizione limitata, ambito segno del gusto anziché puro strumento di utilità.

 

 

In questi casi il palcoscenico comporta il pericolo di soffocare di fatto i discorsi sul design. Dopo tutto l’oggetto non si vede mai in mano a una persona reale, né lo si vede logorarsi e invecchiare negli anni dell’uso. Anzi, compare solo in circostanze eccezionali, in posa sotto i riflettori e lontano dal comune livello concreto dell’esistenza.

 

Judith Seng Design Miami/ Basel 2013
Judith Seng, Acting Things IV — Material Flow, un momento della performance a Design Miami/ Basel 2013

Il peso concettuale di questa situazione prevalente non fa che rendere ancor più interessante l’atteggiamento progettuale di Judith Seng. In occasione del salone Design Miami/ Basel 2013 (dal 10 al 16 giugno) la designer berlinese è stata incaricata di realizzare la quarta edizione della sua collezione Acting Things, intitolata Material Flow. Nell’atrio d’ingresso della Messeplatz, Seng ha lavorato otto ore al giorno per una settimana accanto ai collaboratori del suo studio e ai ballerini Barbara Berti e Julian Weber, realizzando una collezione di prodotti.

La performance è stata concepita come rappresentazione vivente della creatività progettuale, dal trattamento dei materiali alla trasformazione delle forme, dall’archiviazione allo scarto e al riuso. Ma, anziché plasmare una forma predeterminata, Material Flow la esprime come risultato e registrazione dell’interazione tra corpi danzanti e cera plasmabile.

 

Judith Seng Design Miami/ Basel 2013
Judith Seng, Acting Things IV — Material Flow, un momento della performance a Design Miami/ Basel 2013
Seng ha iniziato a concepire Acting Things nel 2011, dopo aver assistito – in occasione di un viaggio in Baviera – a una danza folkloristica di primavera chiamata Bandltanz. Mentre la danza popolare è un fatto culturale schiettamente tradizionale, ogni momento di Acting Things pare allontanarsi sempre di più dal consueto copione della creazione e della performance collettive. Nella prima edizione  l’autrice invitava gli spettatori in teatro, dove erano chiamati in scena a costruire dei tavoli con pezzi di legno, chiodi e martello, per poi a cenare su questi tavoli. In questo caso tanto il materiale quanto l’oggetto finale archetipo si inserivano in una concezione ordinaria del design del mobile, benché il modello ricordi le radicali sperimentazioni di progettazione dell’arredamento presentate da Enzo Mari nella mostra Proposta per un’autoprogettazione (1974; in effetti Mari è stato uno dei maestri di progettazione di Seng).
Judith Seng Design Miami/ Basel 2013
Judith Seng, Acting Things IV — Material Flow, un momento della performance a Design Miami/ Basel 2013
Le edizioni seguenti di Acting Things hanno invece analizzato il rapporto tra progettista e produttore astraendoli dal contesto dello studio e della fabbrica per collocarli nella sfera della coreografia e del teatro. Lavorando con Berti Seng ha studiato il linguaggio e le tecniche della danza come modo di manipolare il materiale (tema analizzato anche dal pezzo di Cohen Van Balen 75 Watt, che faceva parte della mostra Design Beyond Production dello studio Z33 al Salone del Mobile di Milano del 2013). Nell’edizione attuale le varie competenze dei collaboratori, oltre che il loro diverso grado di improvvisazione e di interpretazione personale dell’obiettivo della progettazione, hanno trovato sintesi in una prassi collettiva di studio, sono state trasferite nel cuore di una manifestazione di design e così facendo hanno ribaltato il quadro di riferimento consueto dell’interpretazione del design.
Judith Seng Design Miami/ Basel 2013
Judith Seng, Acting Things IV — Material Flow, un momento della performance a Design Miami/ Basel 2013
Quel che distingue Material Flow dalle edizioni precedenti, inoltre, è una più profonda consapevolezza della vita del materiale. Nei sette giorni della manifestazione il gruppo ha fuso, mescolato e stampato acqua e polvere di cera per creare cere di varie sfumature, dal grigio chiaro all’indaco, segnando su un grande quadrante il trascorrere del tempo; e la trama più minuta dei minuti e delle ore era indicata dalla varietà e dall’energia dei gesti corporei compiuti dai danzatori, da quello dell’impastare accuratamente la sostanza agglomerata a quelli atletici sulla cera che si induriva raffreddandosi. Al termine di ogni giornata veniva messo in serbo un singolo oggetto, mentre il resto veniva rifuso per ricevere nuova colorazione e nuova forma il giorno seguente. La rappresentazione di Seng ruota intorno al paradigma del palcoscenico, che tuttavia non viene usato per separare le persone dagli oggetti o il processo dal prodotto; anzi, nelle mani dell’autrice il palcoscenico diventa un dispositivo che mira a coinvolgere lo spettatore dal punto di vista visivo, fisico e concettuale nell’intero ciclo del design. Tamar Shafrir (@tamars)

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