Salvator-John A. Liotta, Fabienne Louyot: Il vostro progetto s’inserisce all’interno del castello di Hardelot, edificio storico protetto. In che modo avete interpretato il programma del committente e quali sono stati i principi ispiratori adoperati per affrontare un progetto contemporaneo su un sito patrimoniale?
Silvana Bartoli, Celine Medina: Seppur nel massimo rispetto dell’esistente, abbiamo voluto fare un progetto che non chiedesse scusa, perché il rispetto deve includere la storia del passato, ma anche quella odierna e quella futura. Abbiamo voluto fare un progetto che pone – nel suo rapporto tra castello e paesaggio – una domanda sulla relazione fra una qualità naturale esistente e la produzione di una nuova storia comune, che comprende preesistenze e interventi odierni. Solo la necessità di un nuovo utilizzo del sito previsto dal programma di progetto autorizza l’innesto di elementi altrimenti estranei al castello. Con un progetto misurato, andiamo a differenziare le ergonomie di utilizzo delle sale espositive esistenti e portiamo il castello di Hardelot a offrire spazi richiesti dal committente che si rivelano più appropriati alla contemporaneità. L’identificazione chiara degli interventi moderni deve in modo naturale accordarsi all’esistente e non per forzature. In tal senso, è attraverso la materia, la volumetria e la luce che abbiamo desiderato instaurare questo dialogo fra la nostra architettura e il luogo.
Salvator-John A. Liotta, Fabienne Louyot: Per intervenire in un sito di questo tipo è necessaria una sensibilità progettuale indiscussa ma ritengo che vi siano anche delle competenze tecniche particolari per questo tipo d’interventi. Qual è il vostro percorso?
Bartoli-Medina: Arriviamo a questo progetto dopo aver realizzato diversi interventi su contesti che includono il patrimonio storico culturale francese. Anche se il Centro Culturale dell’Intento Cordiale potrebbe sembrare una architettura semplice, di fatto nasconde in modo astuto tutto l’apparato tecnologico di supporto necessario al funzionamento. Infatti, tutti gli impianti elettrici, meccanici e di ventilazione – che normalmente fanno parte dell’ultima parte del cantiere – sono stati realizzati per primi e inseriti non in un controsoffitto, ma in un pavimento spessoo più di 1 m che nasconde al suo interno un vano tecnico lungo tutto l’edificio. Ciò permette di avere un’architettura “pulita” dal punto di vista formale, ma che rispetti le performance climatiche e igrometriche richieste da uno spazio espositivo. Non si vedono prese elettriche, ma sono presenti ovunque, i bocchettoni dell’aria condizionata e l’acustica sono integrati in modo quasi invisibile. In questo senso, abbiamo raggiunto un eccellente equilibrio fra necessità spaziali e integrazione tecnologica. Abbiamo reso invisibile la tecnologia del progetto.
Salvator-John A. Liotta, Fabienne Louyot: Le sale espositive s’inseriscono fra le mura di cinta e il cammino della ronda. Il vostro intervento è caratterizzano da pochi elementi, chiari e riconoscibili. Al di là della cinta muraria, già dal cammino che porta al castello, s’indovina un tetto sospeso, come fosse una “ghost architecture”, sugli spalti delle mura, una volumetria epurata che richiama il profilo del castello.
Bartoli-Medina: L’intervento s’inserisce in modo delicato nel paesaggio. Ciò che si percepisce emergere dalle mura, mette in valore l’esistente e annuncia un intervento contemporaneo che non si svela completamente. Le differenti inclinazioni del tetto sono dovute alla morfologia della cortina muraria conservata. Era previsto dal programma di dover appoggiare le travi del tetto sulle mura esistenti, ma abbiamo preferito un edificio totalmente indipendente che non utilizza la struttura presente, ma ne ha una sua indipendente. Una scatola a sé. Non ci sono gronde né pluviali perché, inclinando leggermente le mura, siamo riusciti a soddisfare le richieste dell’ufficio tecnico di controllo. Ciò va a tutto vantaggio del patrimonio esistente e della pulizia nelle linee dell’edificio. Le sale espositive hanno un’altezza variabile che consente di accogliere allestimenti di diverso tipo.
Salvator-John A. Liotta, Fabienne Louyot: Ci sembra che abbiate ridotto in modo drastico la quantità dei materiali utilizzati a beneficio di uno spazio unitario e intenso. Che materiali avete utilizzato?
Bartoli-Medina: Per i pannelli esterni abbiamo utilizzato del calcestruzzo fibrorinforzato con delle tonalità bianche chiare che permettono di avere un colore astratto per sottolineare l’intervento moderno. Abbiamo optato per un parquet industriale in quercia a pavimento composto da scarti con uno spessore tale da non subire alcuna deformazione nel tempo. Infine, abbiamo utilizzato l’ottone per evidenziare il percorso all’interno del centro d’arte: infatti lo troviamo nelle porte degli ingressi e come corrimano della scala. L’ottone era il materiale utilizzato per i paramenti e la costruzione delle navi che facevano la spola tra Francia e Inghilterra prima che fosse sostituito dall’acciaio anodizzato. Abbiamo voluto recuperare questa memoria storica integrandola nel progetto come inserto nobile che serve anche per navigare nei percorsi all’interno del nostro progetto.
Centre Culturel de l’Entente Cordiale, Château d’Hardelot
Progetto: Bartoli Medina Architectes (Silvana Bartoli, Celine Medina)
Committente: Conseil Général du Pas-de-Calais
Budget: 1.8 M € HT
Completamento: settembre 2016