Se non avessi conosciuto Iwan Baan – meglio ancora, se non avessi conosciuto Herzog & de Meuron – che cosa avrei pensato constatando che in Bird's Nest #2 (ritratto in corso di costruzione dell'emblematico stadio di Pechino, che rende piccini gli operai in primo piano) spira la stessa atmosfera di Los Angeles #1 (veduta aerea della città)? Avrei pensato che fossero opera di un artista che traccia un parallelo tra un groviglio di aste d'acciaio e un groviglio di incroci autostradali, e che illustra lo splendore e l'assurdità di questi soggetti in un singolo batter d'occhi.
Allora il punto critico di una personale di Baan – non certo la prima, ma la prima al di fuori di un rigido contesto architettonico, e la più completa di tutte – sta in un presupposto vincolante: non è corretto dare per scontato che delle fotografie abbiano un senso complessivo solo perché noi ci vediamo dentro i Rem, le Zaha e gli Heatherwick, né che grazie a questi nomi le foto siano bell'e pronte a farsi leggere come un insieme. La parte più significativa del successo della mostra dipende dal fatto che le immagini di Baan, ridotte all'immediatezza visiva e al punto di vista concettuale che presentano, funzionino o meno come opere d'arte 'anonime', più per ostensione che per dichiarazione. Qual è l'inedita coesione che si sviluppa tra queste immagini – un collage che ha richiesto otto anni di lavoro – quando le osserviamo tutte insieme?
Iwan può starsene sollevato a un chilometro da terra e riuscire ancora a spiegarti il posto in cui vivi nel meno pedante e più visivamente potente dei modi
Iwan Baan: The Way We Live
Galleria Perry Rubenstein, Los Angeles