Francis Kéré: “Vi racconto i miei nuovi progetti, due anni dopo il Pritzker”

“La sostenibilità è continuità”, racconta a Domus l'architetto che dice di “non ritenersi un intellettuale” e la cui opera è in piena espansione.

Quando risponde, Francis Kéré si trova ad AlUla, dove sta sviluppando il Cultural Oasis Agricultural Institute, un nuovo centro per la promozione di tecnologie agricole sostenibili e sviluppo economico in Arabia Saudita.

Il lavoro del Pritzker laureate e del suo studio è in una fase di grande espansione a livello di scala rispetto anche solo al 2021, quando aveva appena completato il Burkina Institute of Technology. Un progetto che è stato un giro di boa rispetto ai suoi precedenti. Il punto nodale è stato il passaggio dalla tecnica costruttiva della terra battuta a quello del getto in opera, partendo sempre dall’argilla locale. Il materiale può essere utilizzato come arriva dal sito di estrazione, senza necessità di trattarlo, e ha un processo di lavorazione veloce, che la sua squadra locale ormai gestisce efficacemente.

Per me, la sostenibilità è continuità, ciò significa che, se anche io non dovessi esserci più, le squadre che abbiamo formato potranno continuare a lavorare per le loro comunità e trasmettere il sapere acquisito in questi cantieri.

Francis Kéré

Francis Kéré, Parlamento di Benin, Porto-Novo, Repubblica del Benin. @Philippe Chazée

Testato prima nella Naaba Belem Goumma Secondary School, il Bit ha continuato nello stesso solco: si tratta di due interventi incrementali, perché pensati per crescere con le necessità della comunità. Se nel primo caso, però, la cassaforma corrisponde a un modulo murario di due metri, nel secondo, il modulo corrisponde a un’intera aula e il getto può avvenire in un’unica sessione.

“Per me, la sostenibilità è continuità,” afferma Kéré, “ciò significa che, se anche io non dovessi esserci più, le squadre che abbiamo formato potranno continuare a lavorare per le loro comunità e trasmettere il sapere acquisito in questi cantieri”. Kéré racconta di “non ritenersi un intellettuale”. Nonostante ciò, con il lavoro dello studio e della fondazione che portano il suo nome, il suo impatto sia locale sia globale resta indubbio.

Francis Kéré, Parlamento di Benin, Porto-Novo, Repubblica del Benin. @Philippe Chazée

Oggi sta lavorando a commissioni nate fra il 2017 e il 2019, come il Goethe-Institut Dakar e la Benin National Assembly a Porto-Novo. Questo secondo progetto è parte di una più ampia riflessione su come l’architettura possa comunicare democrazia, nata con il concept per la Burkina Faso National Assembly. La proposta di Kéré per il suo Paese è scaturita a seguito della rivolta del 2014 che ha portato alla conclusione della presidenza di Blaise Compaoré e che ha provocato il crollo della struttura originaria a causa di un incendio. Nella visione dell’architetto, il volume avrebbe dovuto articolarsi come una struttura piramidale a gradoni, che avrebbe permesso ai visitatori di godere di un’ampia prospettiva sul paesaggio.

La dimensione esperienziale incontra quella metaforica attraverso la possibilità di accedere a un punto privilegiato, operazione che sembra memore del gesto che Norman Foster pensò per la cupola del Reichstag di Berlino, dove Kéré vive dal 1985. Questo elemento ritorna nella Benin National Assembly, ora in stato avanzato di costruzione, che però trasferisce l’accessibilità al pubblico sul piano orizzontale, connettendo l’edificio al parco circostante e dandogli la forma di “un albero di palaver, che nella cultura dell’Africa Occidentale è il luogo dove avvengono le riunioni in cui le comunità si incontrano e confrontano”.

Contemporaneamente, Kéré racconta a Domus di star lavorando a un altro progetto di grande valore simbolico, ovvero il memoriale dedicato a Thomas Sankara (1949-1987),  presidente del Burkina Faso e rivoluzionario panafricanista, a Ouagadougou, sul sito dove venne assassinato. Fu proprio lui, nell’agosto del 1984, a sostituire il nome coloniale Alto Volta a quello attuale che, nella lingua locale, significa “Terra degli integri”. La volontà, qui, è quella di trasformare la percezione del luogo: “non più un sito che evoca momenti terribili, ma un’esperienza che sia in grado di raccontare ai visitatori le ambizioni che hanno portato alla rivoluzione del 1983: l’istruzione universale, l’autosufficienza alimentare e l’emancipazione femminile”. Il progetto si inserisce nello sviluppo urbano chiamato Ouagadougou Green Belt e, inizialmente, era composto da un impianto circolare per accogliere una serie di servizi pubblici, con una torre di 87 m, ristoranti, atelier, una mediateca, negozi, uffici e altre strutture multiuso, integrato al paesaggio con una serie di rampe verdi. Kéré menziona alcune resistenze burocratiche locali, ma la conclusione dei lavori è prevista per la fine del 2024, con una configurazione differente.

Francis Kéré, Parlamento di Benin, Porto-Novo, Repubblica del Benin. @Philippe Chazée

Trasformare il significato dei luoghi è qualcosa su cui Kéré sta quindi dedicando molte energie, ma è un tema che torna, sulla scala degli oggetti e in senso opposto, nel Virtual Museum of Stolen Cultural Objects, una collaborazione fra Unesco e Interpol. Un progetto che vede Kéré lavorare in assenza di materia, annunciato da Unesco a fine 2023 come “il primo museo virtuale in realtà immersiva di oggetti culturali rubati su scala globale”. Quando gli si chiede di raccontare che cosa conterrà il museo, Kéré parla, per esempio, di un tamburo camerunense, esposto all’Huboldt Forum a Berlino, di cui nessuno era più in grado di rintracciare l’uso. “Negli anni si era costruita una leggenda, si pensava fossero strumenti usati in contesti amorosi” afferma Kéré, “ma, dopo molte ricerche, si è scoperto che venivano usati per la comunicazione fra villaggi, che furono poi distrutti dai processi di colonizzazione”.

Francis Kéré, Parlamento di Benin, Porto-Novo, Repubblica del Benin. @Philippe Chazée

In questa nuova fase di produzione, guarderemo Francis Kéré confrontarsi con nuove scale e nuove sfide. Ma sembra chiaro che non abbia mai smesso di avere la stessa curiosità di quel ragazzo che, crescendo a Gando, “costruiva architetture con qualsiasi cosa gli capitasse a tiro”.

Immagine di apertura: ©Urban Zintel

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