Il terzo film di Hustwit, Urbanized, è probabilmente la sua opera più ambiziosa, e riguarda il progetto delle città nel mondo contemporaneo. Girato in oltre quaranta località urbane di ogni continente, Antartide esclusa, e con interviste a decine di architetti, urbanisti, sindaci, assessori e militanti politici, Urbanized affronta le tendenze e i dilemmi della metropoli del XXI secolo. La mera quantità e la diversità su scala mondiale dei siti del film fanno passare in secondo piano il fatto che la rapida globalizzazione sprona ogni città a cimentarsi con problemi analoghi in materia di abitazione, trasporti, risorse, vita comunitaria.
Hustwit è attualmente impegnato in una tournée in quaranta città per presentare e promuovere Urbanized. Domus l'ha intervistato dopo la prima del film a San Francisco.

Gary Hustwit: La cosa affascinante è che le reazioni del pubblico sono totalmente differenti rispetto ai due film precedenti. A Toronto e a San Francisco tutti i temi del film avevano una risonanza, anche se nel film nessuna delle due città ha una forte presenza. Tra il pubblico c'erano parecchi consiglieri comunali e anche ex sindaci, e il momento delle domande dopo la proiezione è stato davvero straordinario. Per qualche motivo non ho mai pensato che gli amministratori facessero parte del potenziale pubblico del film, pensavo che sapessero già tutto sull'argomento. Ieri sera c'è stata la prima di San Francisco e tre membri della commissione urbanistica sono saliti sul palco a parlare dei problemi locali della Bay Area. Aspetto di vedere come reagiranno le altre città.
Insomma la tournée è di per sé una specie di referendum sui problemi di cui si parla nel film?
Forse piuttosto un punto di partenza, l'innesco di un dibattito. A Toronto ha fatto da catalizzatore per discutere di molti problemi [di rilievo locale] illustrati nel film. Pochi giorni prima della proiezione, a Toronto, il sindaco aveva presentato un importante piano di sviluppo del litorale. L'opinione pubblica ha fondamentalmente distrutto il progetto e il sindaco ha dovuto fare marcia indietro nel giro di un paio di giorni.

Di solito giro il film e poi mi ritrovo a cercare di capire perché l'ho fatto… In origine quando ho realizzato Helvetica non pensavo di girare altri documentari dedicati al progetto. Perciò Objectified non voleva essere un ampliamento, ma solo un ulteriore fenomeno che mi interessava analizzare tramite il documentario. Solo mentre realizzavo Objectified cominciai a considerarlo un ampliamento di ciò che avevo iniziato a fare con Helvetica: per la prospettiva e per l'estetica iniziò a configurarsi in qualche modo come un sèguito. All'incirca nello stesso periodo stavo riflettendo sull'architettura e sull'urbanistica, ed ecco perché ho iniziato a pensare a una trilogia. Prima di presentare Objectified avevo già annunciato che sarebbe stato il secondo film di una trilogia e avevo iniziato la ricerca per Urbanized. Non voleva essere un ampliamento di scala ma certamente si inseriva in una progressione del genere. In qualche modo aveva senso. D'altra parte non avevo intenzione di girare film sul progetto per tutta la vita, anche se un volta o l'altra, nel mio percorso, ci potrei ritornare sopra. Sentivo che dovevo liberarmi di questi temi, temi da cui ero sotterraneamente ossessionato: volevo vedere dei documentari su questo argomento. È questa la ragione del mio modo di fare cinema.
Volevo documentare i cambiamenti che stanno avvenendo in migliaia di città di tutto il mondo, che migliorano la qualità della vita dei cittadini tramite il progetto della città.

Tre anni fa, quando ho dato inizio al progetto, certamente l'interesse non era ai livelli in cui è oggi. Se ne parla sulle riviste e nella manifestazioni cittadine, come il Festival of Ideas for te New City di New York dell'estate scorsa. Oggi ci sono davvero tante manifestazioni e tanta attività sull'urbanistica. Ma non so bene perché ci sia una crescita dell'interesse. Mi pare che oggi il pubblico, a tutti i livelli, abbia una maggiore coscienza del progetto, che è semplicemente più integrato in una cultura più vasta, nella cultura popolare. E l'economia può essere un fattore: con le città che affrontano la crisi in modi specifici il pubblico ritiene di aver bisogno di strumenti per affrontare questi problemi.
L'urbanistica si presta a questo scopo. Il pubblico vuole semplicemente avere degli strumenti per imparare a risolvere i problemi. Non è solo questione di architettura e di urbanistica; ci sono altre discipline che incidono su questa materia. Il pubblico è più cosciente degli effetti delle scelte. Di come le cose sono collegate tra loro, del modo in cui funziona la strada in cui si vive, di come si va al lavoro, di come è progettata la città. Di come tutto questo abbia un impatto più forte sulla vita di tutti.
Qual è stata la cosa più sorprendente che hai scoperto nel corso della tua ricerca per il film? C'è stato un luogo comune o un pregiudizio in fatto di urbanistica che qualcuno in particolare ha ribaltato?
Mi interessano sempre questi momenti di paradosso. Qualcosa che cambia il modo di pensare il mondo, qualcosa di estremamente sensato, una volta che ci si pensa, ma che non si è mai sentito argomentare prima. Per esempio nel film [l'ex sindaco di Bogotá] Enrique Peñalosa dichiara che un autobus con cento passeggeri ha cento volte più diritti di una persona in auto. Una volta che si ascolta questo punto di vista, credo che cambi – o che dovrebbe cambiare – il modo in cui si pensa ai trasporti.
In gran parte la quesitone riguardava le conversazioni con i protagonisti del film, e la loro opinione su quelle che ritenevano le trasformazioni e i problemi significativi delle città di oggi. Per me ogni conversazione del film era illuminante, perché non sono un esperto di politica o di problemi di urbanistica. Così la considero nell'insieme un'esperienza formativa.
Altra questione rivelatrice che mi è saltata all'occhio è quel che capita in città come Mumbay dove, come si dice nel film, nelle baraccopoli vive un numero di persone superiore alla popolazione di Londra. Pensare alle conseguenze dell'urbanesimo di massa è davvero, concretamente deprimente, ma penso che sia anche una specie di appello a progettare una soluzione, o per lo meno a una migliore sistemazione di questa enorme quantità di persone in una città in quelle condizioni economiche.
Se si considera Mumbai come una sfida progettuale c'è tanto da fare, ma anche tante occasioni per migliorare quelle condizioni di vita. E forse le stesse soluzioni progettuali possono essere replicate in altre città. Dobbiamo analizzare questi problemi. Non possiamo sbagliare. Tra cento anni vedremo davvero dei cambiamenti radicali in termini di risorse naturali e di trasformazioni economiche, quello che accadrà in dieci-vent'anni in fatto di urbanistica ci dirà veramente quale sarà il futuro della nostra specie.

Lo scopo iniziale era questo. Volevo documentare i cambiamenti che stanno avvenendo in migliaia di città di tutto il mondo, che migliorano la qualità della vita dei cittadini tramite il progetto della città. Il criterio era proprio questo. Dare un senso alla vita e renderla migliore. Penso che il progetto possa riuscirci e, come ho detto, penso che il progetto debba farlo, se vogliamo sopravvivere.
Mi interessa chi pratica il cambiamento. Ricontestualizzare i problemi e inventare soluzioni innovative; e mi interessa diffondere queste conoscenze di città in città. Il mio obiettivo principale è innescare questi dibattiti.
La parte finale del film, che illustra la protesta di massa (alla fine fallita) contro il progetto del nodo ferroviario Stuttgart 21, è rappresentativa di una determinata caratteristica della lotta ideologica di oggi sul modello urbanistico? Qual è la parte del pubblico nell'urbanistica contemporanea?
Credo che sia emblematica della povertà di progetto dei sistemi in materia di urbanistica e di sviluppo. Rappresenta tutto ciò che ritengo sbagliato nel vecchio modello di dar forma alla città: progetti mastodontici che sono affari tra grandi immobiliaristi privati e amministrazioni locali o statali, senza alcun contributo né controllo da parte della gente che li paga, della gente sulla cui vita soprattutto hanno conseguenze. Questo sviluppo urbanistico di vecchio modello non funziona più. L'intervento molto saltuario del pubblico raramente cambia il corso di questi progetti, invece di dare peso reale alle priorità dei cittadini. Questa situazione ha creato una tale frustrazione che i cittadini hanno deciso che era necessario intervenire, e se occorre intervenire nei progetti urbanistici bisogna prendere le distanze dalla situazione di Stuttgart 21. Certo ci saranno imponenti realizzazioni di infrastrutture, ma non possono più essere dettate soltanto dagli interessi privati e da qualche funzionario pubblico.

