La città metabolica

Stringendo nuove alleanze con il mondo della biologia, il design comincia a plasmare la macroscala dell'ambiente urbano

Questo articolo fa parte di una serie di contenuti che anticipano i temi che verranno discussi a domusforum 2019, il 10 ottobre a Milano.

La tradizionale concezione modernista della città, che prevedeva la separazione di funzioni e luoghi, avrebbe finito – almeno nelle intenzioni – col creare un mondo igienico, liscio e prevedibile. Negli ultimi decenni un gruppo di urbanisti militanti, architetti e policy maker ha iniziato, invece, a formulare modi alternativi di vivere: giardini pubblici in cima agli edifici, boschi verticali, orti urbani, officine per biciclette, fablab e microbirrifici sono entrati a fare parte dello sviluppo urbano, creando nuovi biotopi. Là dove s’intersecano attività diverse – come consumare, lavorare, vivere e produrre – nascono situazioni ibride. 

Anche se questa complessa realtà non raggiunge ancora la piena scala urbana, il desiderio di una città metabolica e circolare è tuttavia urgente. Gli attuali progetti, che definiamo ecologici e sociali, fanno ben sperare, ma, al momento, si limitano a poco più di una vetrina e a qualche iniziativa di greenwashing. In pratica, stiamo parlando di ex fabbriche e vecchi uffici trasformati in loft. Queste destinazioni parassitarie degli spazi arricchiscono di certo la vita quotidiana e creano un tessuto sociale simbiotico, ma sono una ‘bolla’ a esclusivo uso e consumo di una classe media di hipster. La creazione locale e regionale di materiali e prodotti potrebbe, invece, offrire nuovi sbocchi.

Blood Related di Basse Stittgen utilizza sangue e scarti organici dei mattatoi per creare piccoli oggetti di plastica (photo Donghwan Kam, courtesy Basse Stittgen)

Possiamo plasmare e realizzare il nostro ambiente in modo diverso, recuperando e fabbricando i materiali localmente? E cosa possiamo fare delle sostanze inquinanti come le plastiche? 

Trasformando il sangue e i rifiuti dei macelli in una bioplastica scura, biologica e versatile, il progetto di Basse Stittgen potrebbe sembrare a prima vista critico e provocatorio. Il designer converte i fluidi corporei di scarto, una volta essiccati e compressi a caldo, in un biopolimero. Con questo realizza piccoli oggetti per la tavola, che finiscono per rimandare direttamente al consumo delle risorse animali. I suoi oggetti non contengono alcun commento politico all’industria della carne: sono pensati per dare fisicità a rifiuti normalmente invisibili e per riconnettere il consumatore alla produzione dei cibi di origine animale, invitandolo a prendere consapevolezza della sua provenienza, con tutto ciò che questo comporta. Si tratta di oggetti domestici ‘critici’ che, oltre a mostrare il potenziale di un materiale, contengono una riflessione sull’idea della morte. Sappiamo di avere bisogno dei macelli, ma preferiamo tenerli lontani da noi. In passato, questi luoghi si trovavano dentro i centri urbani; oggi, invece, sono stati trasferiti fuori dalla città, assecondando una comune sensibilità “ambientale e igienica”. Ripuliti e risistemati, gli edifici degli ex macelli hanno finito spesso per ospitare sofisticati centri culturali. 

Attraverso gli oggetti di Stittgen, che ci sfidano a dimenticare limiti e preconcetti – e provando a osservare quel mondo invisibile, come i sistemi di smaltimento degli scarti dei macelli – in futuro si potrebbero immaginare nuovi tipi di città. 
In questo modo, una valutazione nuova dei materiali e delle tecniche produttive apre possibilità prima impensabili. 

Il processo applicato da Basse Stittgen converte i fluidi corporei di scarto, una volta essiccati e compressi a caldo, in un polimero (photo Donghwan Kam, courtesy Basse Stittgen)

Materiali ecologici, come le bioplastiche, si possono ricavare anche mescolando le microalghe a biopolimeri. Il risultato è un materiale di origine biologica in grado di sostituire le plastiche di origine fossile e non biodegradabili. Procede in questa direzione l’attività dell’Atelier Luma di Arles, che propone un nuovo modello di produzione circolare tramite la biofabbricazione e la fabbricazione decentrata grazie alla stampa 3D. Il progetto si sta evolvendo nella direzione di una piattaforma transnazionale (Algae Platform), che abbraccia l’area del Mediterraneo. Progetti-pilota sono stati sviluppati a Il Cairo, Istanbul e Milano e l’intenzione è condurre sperimentazioni sulle specie di alghe locali, collaborando con le comunità. Questo ha portato a fruttuosi scambi di conoscenze e alla produzione di una vasta gamma di oggetti che uniscono competenza artigianale, nuove tecnologie e patrimonio culturale locale. 

Com’è possibile progettare spazi e ambienti, con questi organismi invisibili? Come si possono usare le alghe per purificare l’aria, produrre ossigeno e acqua, e – allo stesso tempo – creare anche alimenti e biomateriali?
Sta lavorando su questi temi New South, un centro di ricerca parigino di architetti e urbanisti fondato da Meriem Chabani e Maya Nemeta, uniti da una concezione d’avanguardia delle città del Sud del mondo. Chabani e Nemeta hanno elaborato per la quarta Biennale di Design di Istanbul un progetto teorico (If Algae Mattered) che riflette sul modo in cui le alghe – usate come biocarburante, alimento e fertilizzante – potrebbero riformulare l’economia del Mediterraneo e di un Paese come l’Algeria. La loro cartografia traccia un futuro non troppo distante e, riflettendo sulla realtà economica e politica, riformula le alleanze tra Stati: l’Algeria diventa così la nuova Dubai. 

Tuttavia, oggi le alghe sono ancora considerate alla stregua di erbacce e occuparsene è reputato un “lavoro da donne”, di scarso valore. Usando un filato ricavato dalle alghe, New South ha ricamato una mappa che suggerisce non solo le implicazioni geopolitiche delle alghe, dando a questo materiale il valore che merita, ma suggerisce anche la necessità di superare le differenze di genere in ambito professionale.
Continuiamo a ignorare il fatto di vivere in un mondo microbico e invisibile a occhio nudo, ma sulla Terra sono presenti oltre 100.000.000 di differenti specie di microrganismi: più di quelle vegetali e animali insieme. Batteri, funghi e virus popolano il pianeta, decompongono i materiali in nutrimento e forniscono azoto alle piante; danno forma al mondo insieme con noi umani. Perfino nel nostro corpo le cellule batteriche sono più numerose di quelle umane e ci servono per sopravvivere. Come progettare spazi e ambienti dove convivere con questi organismi invisibili? 

Stiamo solo iniziando a capire la portata di questa realtà. Maurizio Montalti, per esempio, è uno dei fondatori di Mogu, società di progettazione che si dedica allo sviluppo industriale di materiali, servizi e prodotti a base di micelio, un materiale in grado di trasformarsi, decomporsi e ‘agglomerare’ i rifiuti creando materiali dotati di proprietà nuove. Dalla primavera 2020, metterà in commercio una serie di pannelli fonoassorbenti a base di micelio.

Atelier Luma, ad Arles, lavora sulla creazione di miscele di alghe e biopolimeri con l'obiettivo di sostituire le plastiche non biodegradabili con nuovi materiali naturali (photo Victor Picon)

Anche la tecnologa dell’architettura Mae-Ling Lokko, professore associato e direttrice del corso di Scienze delle costruzioni al Rensselaer Polytechnic Institute di Troy, New York, progetta usando il micelio. Il suo lavoro consiste nella prototipazione di modelli accessibili diffusi per il riciclo e la valorizzazione dei rifiuti lignocellulosici e da biomasse – come gli scarti di cucina e quelli alimentari – oppure dall’agricoltura industriale e dalle specie invasive. L’innovazione, nel suo caso, può derivare dalla creazione di un nuovo materiale, ma anche dall’accessibilità di modelli di produzione ‘diffusi’.  

L’accesso a questo modello produttivo sarà diverso a seconda della scala: in casa, comporta l’utilizzo di oggetti quotidiani; a una scala collettiva comporta, invece, il fatto di avere accesso ad attrezzature di fabbricazione semi-centralizzate e a risorse per la trasformazione dei rifiuti.
Questi progetti rivoluzionari cambieranno la città più profondamente di quanto non si pensi. Se stringiamo nuove alleanze con i biologi, se superiamo le fobie della civiltà e adeguiamo leggi e regolamenti, allora la microscala inizierà a plasmare la macroscala.  

 

Jan Boelen è direttore artistico del centro Z33 House for Contemporary Art di Hasselt, Belgio, e direttore artistico di Atelier Luma, Arles, Francia.

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram