Mentre l’Europa si confronta con la peggiore crisi energetica degli ultimi cinquant’anni, l’Het Nieuwe Instituut di Rotterdam inaugura The Energy Show, la prima esposizione dedicata alle applicazioni della tecnologia solare nel mondo del design. La sovrapposizione tra i due eventi è una coincidenza inattesa, imprevedibile agli occhi dello stesso team curatoriale che ha pazientemente tessuto le fila dietro alla realizzazione di The Energy Show per circa due anni.
Obiettivo dichiarato: riportare la scala umana dentro la narrativa sul solare, promuovendo conoscenze e partecipazione attiva.
Eppure, una certa aura di inevitabilità, di sincronizzazione con l’attualità e le sue istanze sembra ammantare tanto la galleria di progetti che la mostra raccoglie l’invito alla mobilitazione generale che essa congiuntamente promuove. In anni segnati da un numero crescente di vulnerabilità – climatiche, industriali, infrastrutturali – The Energy Show è un gioioso richiamo all’impellenza e all’ineluttabilità di una relazione viva e senza intermediari tra cultura del progetto e la sostenibilità energetica. Oltre che un monito sulla necessità di allargare il tecnicismo ingegneristico dominante nel campo delle rinnovabili al contributo che l’estetica, la pianificazione urbanistica e gli studi culturali possono dare per la loro diffusione.

L’esposizione, curata da Matylda Krzykowski, è concepita come una mappatura di progetti che hanno sperimentato, inglobato e rinnovato l’uso della tecnologia solare su grande e soprattutto su piccola scala. Sviluppata in ordine cronologico, la carrellata cita i pionieri della tecnologia solare per poi focalizzarsi sui progetti recenti e recentissimi, con alcune incursioni pop – il video del coro della Nasa, i Simpson – e progetti su commissione.
Tra i lavori in mostra troviamo grandi classici come le installazioni di Dan Roosengaarde o la lampada portatile Little Sun di Olafur Eliasson, insieme a soluzioni per una vita off the grid – il pannello solare a girasole Smartflower – o per inglobare la tecnologia solare nelle nostre case con un surplus di estetica – la tenda solare di Studio Ossidiana, Moreelse Solar Monuments, o ancora i pannelli My Energy Skin di Kiki and Joost – o per produrre i pannelli a partire da materiali non fossili – come per i pannelli AuReus System, realizzati da scarti alimentari.
Molti i progetti che si rivolgono alle comunità dei paesi in via di sviluppo, dalle Solar Sister, il programma che forma imprenditrici nelle clean energies nell’Africa sub-sahariana, ai Solar-Powered Donkeys che danno energia ai pastori turchi in transumanza.

Non mancano infine i progetti delle due grandi pioniere del design solare, le olandesi Marjan van Aubel e Pauline van Dongen, che hanno avuto un ruolo maggiore non soltanto nell’anticipare l’intersecazione tra design e solare – van Aubel, autrice tra gli altri del tetto del Padiglione olandese all’Expo di Dubai, ha appena pubblicato Solar Futures, How to Design a Postfossil World with the Sun (Jap Sam Books) – ma anche nel definire la mostra e tutta la struttura istituzionale che l’accompagna.
The Energy Show, infatti, è solo una parte del più ampio programma della Solar Biennale che le due progettiste hanno concepito e promosso. Vero e proprio movimento dotato di un manifesto, la Solar Biennale si è dotata di una fitta programmazione che da settembre fino alla fine della Dutch Design Week promuove laboratori per designer e incontri con i cittadini. Obiettivo dichiarato: riportare la scala umana dentro la narrativa sul solare, promuovendo conoscenze e partecipazione attiva.
La capacità del design può comunque offrire un contributo cruciale che va oltre il mero appannaggio estetico.
La prima officializzazione del ruolo del design nel campo del solare ha dunque il valore di un grosso balzo in avanti per la cultura del progetto. Eppure, non siamo sicuri che l’altro interlocutore privilegiato del dibattito sulle energie sostenibili, gli esperti energetici impegnati nel campo delle rinnovabili, troveranno qui le risposte ai quesiti che li arrovellano. Il design non ha finora saputo indicare soluzioni per aumentare la potenza di accumulo delle batterie, estendere la durata o la resa dei pannelli fotovoltaici, e sicuramente non ha trovato il graal per permettere quel cambio di passo, il famoso scale up, capace di fare massa critica e generare l’impatto che anche solo l’Accordo di Parigi, non bastasse il buonsenso, ci richiede in una manciata di anni. La capacità del design, sembrano dirci The Energy Show e la Solar Biennale, può comunque offrire un contributo cruciale che va oltre il mero appannaggio estetico, non fosse altro che per esercitare la sua arte del bricolage, rispondere a contingenze specifiche attraverso l’hackeraggio, o guardare a dinamiche comunitarie con la sua attitudine da problem solver, tanto nel campo dell’energia che in quello sociale.

Una piattaforma per parlare di design ed energia era da qualche parte nell’aria, ma il merito di The Energy Show e della Solar Biennale è quello di averla resa concreta, favorendo il networking tra diverse competenze e il confronto tra diverse attitudini. Con un obiettivo a lungo termine: nei piani della Solar Biennale c’è infatti il desiderio di rendere la piattaforma itinerante, facendola riemergere tra due anni in un altro paese e sotto un altro contesto istituzionale. Se la vibrazione energetica non si esaurisce – The Energy Show ricuce con ironia il filo rosso dell’energia a quello dell’energia personale, una metafora che seduce e diverte – c’è da scommettere che l’attualità spingerà i designer ad occuparsi sempre più a fondo di solare. Con un contributo magari focalizzato anche sulla mobilitazione dei cittadini, a vantaggio di una transizione energetica dal volto umano e socialmente sostenibile.