Konstantin Grcic espone il futuro come un progetto aperto

Il designer tedesco racconta a Domus la genesi della sua esposizione “New Normals”, un’ode alla normalizzazione della differenza e dello scarto interpretativo ottenuta attraverso l’hacking delle sue opere.

È un esercizio speculativo, oltre che formale, che sfugge ai classici format della monografica o dell’installazione site specific. Con “New Normals”, l’ultima esposizione di Konstantin Grcic presso la Haus am Waldsee International Art, alle porte di Berlino, il designer tedesco esplora le relazioni e gli immaginari legati ai propri prodotti restituendoli in “un’opera aperta”, stando alle parole che lui stesso ha confidato a Domus. Grandi classici della cultura del progetto degli ultimi venti anni, i suoi pezzi d’arredo sono qui decostruiti, modificati o inglobati ad altri oggetti per suscitare un effetto di spaesamento e interrogare i visitatori sulla mutevole identità del nostro quotidiano, nel presente come in un futuro prossimo.

Immagine dal catalogo (ed. Verlag der Buchhandlung Walther König), foto Florian Boehm

“Il New Normal è un tema molto interessante perché abbastanza contraddittorio: il nuovo implica qualcosa di inaspettato, mentre la normalità si basa su una consuetudine”, racconta Grcic. “Il titolo è stato concepito durante la pandemia, ma non riflette necessariamente l’aspettativa di un cambiamento globale di cui abbiamo molto parlato in questi ultimi due anni. Volevo che il visitatore si confrontasse con qualcosa di non immediatamente sensato, di non riconoscibile. Qualcosa che puoi vedere, senza però capire perché sia lì”. Usando le stanze come una successione di project rooms, Grcic mette in scena alcune delle sue icone hackerandole in nuove composizioni insieme ad altri oggetti. Come usciti dalla cassetta degli attrezzi di un bricoleur, questi ultimi sono un tributo deliberato verso una categoria progettuale tanto cara alla teoria del design, quella degli oggetti anonimi, resi qui ancora più elevati grazie ad un ritrovato linguaggio scultoreo.

Immagine dal catalogo (ed. Verlag der Buchhandlung Walther König), foto Florian Boehm

Nelle aggregazioni messe in campo da Grcic, gli oggetti diventano dei vettori per scatenare nella mente dei visitatori altri immaginari, forse un’altra idea del futuro da non identificare in una minaccia, ma in un cambiamento inscritto nell’identità delle cose, e come tale naturale. La Bell Chair, tra i prodotti più recenti di Grcic (2020, Magis), è allucchettata ad un palo, al pari di una bicicletta. La Traffic Chaise Longue (2013, sempre di Magis) è puntellata di bastoni da selfie che sembrano scrutarla da ogni prospettiva. Myto (2008, Plank) è a testa in giù, appesa ad una trave, Stool-Tool (2016, Vitra) è costellato di antenne radio, Chair One diventa irsuta attraverso l’aggiunta di fascette. May Day (199, Flos) compare in ogni stanza; composta e sempre uguale a se stessa, sembra trasformarsi in una sorta di estintore. Ogni gruppo di oggetti si presta ad essere riletto come una sceneggiatura, aprendosi ad una semiosi infinita, astratta e al tempo stesso onirica. Ci chiediamo cosa succederà, e se un domani potremmo realmente trovare normale l’utilizzo degli oggetti in questa configurazione.

Volevo che il visitatore si confrontasse con qualcosa di non immediatamente sensato, di non riconoscibile. Qualcosa che puoi vedere, senza però capire perché sia lì.

Il processo di hackeraggio ha poi offerto a Konstantin Grcic una opportunità di introspezione che, lungi dall’offrire formule certe o riconfortanti, si apre ad un’interrogazione sulla propria pratica e sulle qualità del buon design. “Sin da piccolo ho iniziato a modificare gli oggetti: il mio primo livello di creazione è stato prendere delle cose e metterle insieme. Se nella professione devo ad un certo punto “congelare” i miei prodotti in uno stato finale, nel mio studio come a casa convivo con molti prototipi che sono molto diversi dai miei oggetti officiali. Come designer, mi piace pensare ad un progetto come ad una destinazione aperta così da incoraggiare un’interazione diversa dal semplice possesso. Credo molto nell’intelligenza degli utenti così come credo che un buon progetto, anche in ambito industriale, possa prevedere una possibilità di adattamento. E questo senza rinunciare alla precisione. May Day è un oggetto molto preciso senza esserlo fino in fondo: fin dal suo lancio nel 1999 gli utenti se ne sono appropriati in vario modo, forse semplicemente grazie alla presenza del suo gancio” racconta ancora.

Immagine dal catalogo (ed. Verlag der Buchhandlung Walther König), foto Florian Boehm

L’esposizione si accompagna ad un catalogo (ed. Verlag der Buchhandlung Walther König, dal 22 marzo) che include un’intervista a Grcic da parte dei curatori, Ludwig Engel e Anna Himmelsbach, insieme alle fotografie della mostra di Florian Boehm. Offrendo un ulteriore livello interpretativo, le immagini sembrano amplificare la già enigmatica presenza degli oggetti attraverso una sovrapposizione di strati, di punti di vista. “Quando costruiamo oggetti fisici ci confrontiamo a dei limiti, ad esempio delle leggi fisiche, delle proprietà della materia, dei limiti di budget. Con le immagini elaborate al computer di oggi non c’è limite al possibile. Il mio accordo con Florian era che trattasse le foto nello stesso modo che avevo usato per gli oggetti, in una maniera giocosa e sperimentale. Credo che il catalogo stimolerà un’immaginazione non legata ad una logica o ad una razionalità, e permetterà di vedere gli oggetti in un altro modo ancora”.

Konstantin Grcic
Mostra:
New Normals
Artista:
Konstantin Grcic
Museo:
Haus am Waldsee International Art
Luogo:
Berlino
Apertura:
fino all’8 maggio 2022

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