Design Miami 2016

Dalle prelibatezze firmate Ole Scheeren e Dean & De Luca alle lampade in ottone di Michael Anastassiades, dal design rubato alla scultura di Trevyn e Julian McGowan agli sgabelli parametrici in lava di Guillermo Parada. Ecco cosa ci ha colpito all’ultima edizione di Design Miami.

Essere a Miami il giorno in cui passa a miglior vita il Líder Máximo Fidel Castro è stata un’esperienza unica: nelle strade affollate di Little Havana la gente balla e festeggia, una festa euforica per la più importante comunità di esuli cubani che celebra l’avvenimento con vino e cibo a volontà. All’interno del tendone di Design Miami, invece, il bancone bianco latte ricco di prelibatezze di diverso genere incorniciate da grandi piatti (disposti in maniera quasi curatoriale sul display in Corian) firmate da Dean&DeLuca, storico colosso del buon gusto newyorkese, accoglie con tutt’altro stile il pubblico di Design Miami/ in cerca di ristoro.
Stage, il concept dell’architetto tedesco Ole Scheeren per la rinomata maison gastronomica, propone un’esperienza “sensoriale e sociale” più che un veloce snack grazie a un sistema di linea organico e fluido per la preparazione del cibo (come nelle cucine dei grandi chef), coinvolgendo il cliente dallo scontrino, alla preparazione del piatto fino alla degustazione.

 

Quest’anno la tendenza della fiera sancisce “extreme and bold furniture”, cioè pezzi dal forte impatto visivo, che si riflette in diversi oggetti imperdibili, proposti dalle gallerie internazionali. Ma c’è anche chi, solo cambiando il colore delle proprie creazioni, riesce a sorprendere: è il caso di Michael Anastassiades che ha creato per l’americana The Future Perfect la Bespoke Loop Collection, collezione orbitale di lampade in ottone (da terra, muro e sospensione) dal poetico minimalismo che lo contraddistingue e che richiamano il suo modo unico di giocare con le geometrie, in grado di elevare una semplice lampada a scultura luminosa. Le sfere intrappolate dai cerchi del prodotto sono virati questa volta in un delicato tono verdigris, prima assoluta esplorazione nel colore per il designer di origine cipriota di base a Londra. Nello stesso stand, un paravento di Dimore Studio anch’esso dalle sagome geometriche finemente laccate; mentre la tedesca Gabrielle Ammann tira fuori dal cassetto un arazzo del 1973, di rara bellezza firmato dal maestro Andrea Branzi.

 

Dal Sudafrica, con Trevyn e Julian McGowan, arriva il designer rubato alla scultura Atang Tshikare con le sue bizzarre creature di bronzo. Figlio di uno dei più noti grafici del Paese, eredita un sentimento particolare per le texture che associa alla sua maniacale abilità per la lavorazione dei materiali: le sue sono stravaganti sculture zoomorfe (un granchio di grandi dimensioni, una giraffa su cui ci si può anche sedere) a cui associa sempre un corpo luminoso secondo il principio per cui è cosa buona e giusta aggiungere funzionalità alla bellezza.

Proviene sempre dall’Africa The Scrappy One, il lavoro di Misha Kahn per Friedman Benda, realizzato grazie al lavoro sinergico di un gruppo di donne in sole cinque settimane: il grande mobile-armadio sembra un guerriero d’altri tempi, i materiali usati sono impensabili, difficili da elencare tutti, incastonati uno con l’altro: tra colla, adesivi e tappi di bottiglia troviamo anche, nell’anta interna, un iPhone dalla scocca alluminio. Per la stessa galleria, i cileni di gt2P (Great Things To People) guidati da Guillermo Parada espongono Remolten, una serie di sgabelli in lava dalle diverse tipologie la cui creazione si basa su un metodo parametrico che tiene in considerazione tempo di gestazione, temperatura e tipologia specifica della polvere da cui nascono: questi fattori insieme al “tempo di cottura” – per usare le parole di Parada – incidono sull’effetto finale dell’oggetto, che può risultare più o meno rifinito.
L’italiana Plusdesign – in fiera per la prima volta e dal 2014 capitanata da Andrea Caputo e Luca Martinazzoli – presenta una serie di taniche di svariate dimensioni e fogge realizzate in più tipologie di marmo: lavoro concettuale di Will West, scultore inglese con studi alla Central Saint Martins, ora di base a Pavia, dal titolo esplicativo Making Relics, realizzato nel cuore dell’Italia, dove West ha trasportato il suo studio-laboratorio.
La Genesis Collection di Arik Levy è invece un progetto pensato per Compac, affrontato con il suo tipico approccio artistico e scultoreo al design e all’architettura; l’autore di base a Parigi si è ispirato ai grandi laghi ghiacciati dell’Artico per l’installazione dal titolo Ice, gioco orizzontale e verticale di grandi lastre di quarzo che si sovrappongono facendoci scoprire diverse e sorprendenti applicazioni del materiale.
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