Cos’è l’architettura passiva e come funziona

Con il costante aumento delle emissioni di anidride carbonica, la progettazione architettonica a minor impatto energetico è un tema sempre più importante nell’ambito edilizio. 

I termini “casa passiva” ed “edificio passivo” sono espressioni che si ritrovano già in una pubblicazione del 1978 dal titolo “Regional guidelines for building passive energy conserving homes” edita dall’AIA Research Corporation. Una decina di anni più tardi, compare invece per la prima volta il titolo di Passivhaus in Germania, con la costruzione nel 1991 nel quartiere Kranichstein a Darmstadt dal Dr. Wolfgang Feist di quattro villette a schiera. Con architettura passiva si identificano le costruzioni capaci di garantire il benessere termoigrometrico, quindi il comfort abitativo, senza bisogno di avere altri sistemi di riscaldamento o raffrescamento.

Insieme a questa terminologia si lega più recentemente anche la “casa attiva”, ovvero un edificio in grado di produrre più energia rispetto a quanto sia necessario per assicurare il suo funzionamento. Tutta l’energia prodotta in eccesso durante il funzionamento dell’edificio – attraverso l’impiego di fonti rinnovabili come banalmente il fotovoltaico – arriva in qualche modo a compensare l’energia prodotta per la costruzione della casa.

  

Che cos’è una casa passiva

Da diversi anni dunque nei campi dell’architettura e dell’edilizia proliferano le ricerche sulle costruzioni passive, sui materiali e le tecniche che permettono di trattenere il calore d’inverno e il fresco d’estate, sulle strategie per riciclare e riutilizzare le materie prime, gli elementi strutturali, gli imballi e persino su quali luoghi privilegiare, per ridurre i costi ecologici (ed economici) dei trasporti. La sensibilità al tema diventa anno dopo anno sempre più importante, considerando anche che il settore dell’edilizia rappresenta quasi il 40% delle emissioni di anidride carbonica nel mondo, l’11% delle quali sono il risultato della produzione di materiali da costruzione come acciaio, cemento e vetro.

Rispondendo a statistiche allarmanti, i governi hanno messo in atto diversi piani d’azione per limitare le emissioni di carbonio e garantire un ambiente sostenibile. Nel luglio 2021, la Commissione europea ha adottato ad esempio un pacchetto di proposte per ridurre le emissioni nette di gas serra di almeno il 55% entro il 2030. Per definizione, la neutralità del carbonio è l’annullamento della quantità di gas serra prodotti dall’attività umana, riducendo le emissioni esistenti e implementando metodi di assorbimento dell’anidride carbonica dall’atmosfera.

Paolo Soleri, Arcosanti, Arizona. Foto Filippo Romano

Anche in Italia, con i recenti provvedimenti come il Bonus facciate 90% – per “interventi finalizzati al recupero o restauro della facciata esterna degli edifici esistenti” – e il Superbonus 110% – pensato per “favorire gli interventi di efficientamento energetico e antisismici” – il tema del rendere gli edifici abitativi, ma non solo, a minor impatto energetico sta prendendo forma anche da un punto di vista normativo. Dall’1 gennaio 2021, ad esempio, gli edifici di nuova costruzione, sia pubblici sia privati, dovranno essere a energia quasi zero, ovvero nZEB (nearly Zero Emission Buildings). La norma in questione definisce l’edificio a consumo energetico quasi zero come “edificio ad altissima prestazione energetica”. Una qualsiasi architettura, in pratica, dovrà essere in grado di compensare, o controbilanciare la quantità di energia richiesta per costruire e operare durante la sua vita in tutti gli aspetti del sito, della fonte, del costo e delle emissioni. In altre parole, l’edificio è in grado di produrre abbastanza energia da rendere minima la quantità di energia necessaria per il suo funzionamento quotidiano.

Una breve storia dell’architettura passiva

Architettonicamente, per garantire l’autosufficienza energetica di un edificio è fondamentale studiare un “involucro” capace di mantenere le temperature interne costanti e confortevoli per tutto l’anno. Ma nonostante infissi ad alta prestazione, isolamenti extra e sistemi di recupero calore siano certamente d’aiuto, le soluzioni da adottare possono essere anche di matrice spaziale, di cui era ricca l’architettura vernacolare. La yakh-chāl ad esempio, antica ghiacciaia persiana, era capace di garantire – grazie al vano sotterraneo associato alla spessa parete termoresistente – la creazione di ghiaccio del caldo torrido della regione ben prima dell’invenzione dell’elettricità.

Francis Kéré, Opera Village, Laongo, Burkina Faso, 2010

Ben più tardi ricordiamo la visione utopica del torinese Paolo Soleri, basata su un sistema in cui costruzione e persona interagiscono come organi in un “essere” altamente evoluto. Arcosanti, insediamento autocostruito nel deserto dell’Arizona, risulta energicamente passivo per le richieste di luce, riscaldamento e condizionamento. Il successo è dovuto in questo caso ai generatore a energia eolica e alla “garment architecture” che, come vuole il nome, si “veste” in base alla stagione: per l’inverno membrane trasparenti che il sole attraversa alterando la temperature interne, per l’estate parasole per avviluppare d’ombra la struttura.

In veste più contemporanea, anche il recente proclamato Pritzker Prize Francis Kéré, fa uso nei suoi progetti di dispositivi spaziali capaci di abbassare la richiesta energetica, riscrivendo un vocabolario elaborandolo ad hoc e recuperano tecniche costruttive che rendono performanti e al contempo espressivi: torri eoliche, gestione dell’illuminazione e della ventilazione, la creazione di camere d’ombra, doppie coperture.

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