Souto de Moura: “Io sono come un medico, o un albero di mele”

L’approccio portoghese all’architettura raccontato a Domus da uno dei suoi maestri: anti-archistar, pensatore più che comunicatore, pragmatista convinto che cita Calvino e Lukács.

Eduardo Souto de Moura (Porto, 1952) appartiene a quel ristretto gruppo di architetti dei nostri giorni che malgrado la loro fama mondiale rifiutano risolutamente – nel suo caso, più che altro pacificamente – di adattarsi ai meccanismi dell’iper-visibilità della comunicazione contemporanea. In altri termini, e ribaltando la costruzione logica della frase, si deve constatare che il suo riconoscimento globale non è il risultato di una sovraesposizione mediatica.

Souto de Moura è un personaggio solido e schivo, un pensatore e non un comunicatore, un costruttore e non un venditore, un regionalista –del “regionalismo critico” inteso alla Kenneth Frampton – e non un passepartout. Riassume in questo i caratteri tipici della genealogia di architetti portoghesi a cui appartiene, quella Scuola di Porto dai confini sfocati ma di cui sicuramente fanno parte il potenziale capostipite Fernando Tavora (1923-2005) e il diretto maestro di Souto de Moura, Alvaro Siza (1933), con il quale nel tempo ha sviluppato tante e fruttuose collaborazioni.

Intervistare Souto de Moura è un’esperienza atipica, rinfrescante, arricchente. È una conversazione critica e ponderata e non una pragmatica transazione d’informazioni, una riflessione in tempo reale e non la ripetizione automatica di testi già scritti – che sono solitamente quelli semplificati e catchy dei comunicati stampa. Una sorpresa, si potrebbe dire, com’è stata una sorpresa il cambiamento all’ultimo momento del tema della lectio magistralis che ha tenuto alla Sapienza di Roma lo scorso 12 aprile, in occasione del conferimento della laurea ad honorem in Architettura.

  

“Inizialmente volevo parlare di preesistenze e continuità” spiega Souto de Moura “che in effetti significa parlare di tutto in architettura. La mattina stessa ho reimpostato tutto il racconto. Mi sono concentrato sui concetti di leggerezza, intesa come contraddizione della gravità, e di peso, massa, che è connaturata all’immagine finale di un edificio. Ho fatto riferimento a Italo Calvino e all’utilizzo che fa di questi termini per descrivere le due vocazioni opposte della letteratura. E ho costruito un legame tra letteratura e architettura, attraverso il progetto che sto realizzando [con META architectuurbureau, NdR] per il nuovo centro congressi di Bruges. È un edificio massivo ma che sembra non toccare il suolo, quasi paradossale nel suo pesare sul suo basamento completamente trasparente, che è un open space in continuità con lo spazio pubblico della città”.

Lo studio Souto de Moura non ha una pagina web e non è sempre facile rintracciare immagini delle sue realizzazioni. Anche per il centro congressi di Bruges, ancora in fase di realizzazione, è necessario affidarsi ai principali siti di attualità dell’architettura. Interrogato su questa anomalia, sulla sua ritrosia ad apparire, Souto de Moura risponde spostando l’attenzione sul valore civico del lavoro dell’architetto: “Io sono come un melo, un albero che fa le mele” risponde come sempre in perfetto italiano “o se preferisci un medico. Il punto di partenza del mio lavoro è decisamente pragmatico: sono chiamato e pagato per rispondere a un problema civico. Può darsi, poi, che la risposta che io fornisco sia accettata con entusiasmo: l’architettura non è arte, ma può diventarlo se le comunità che la vivono la trasformano in patrimonio”.

  

Esiste nella persona pubblica di Souto de Moura un aspetto sfidante, insofferente alle categorie che gli sono attribuite, che percepisce come sovraimposte a una realtà più complessa. Concorda sul fatto che l’architettura portoghese contemporanea è in grado di mettere d’accordo critica e pubblico, ma mette in discussione la pertinenza del termine Scuola di Porto: “Io non so cosa sia la Scuola di Porto. La Scuola di Porto non è un’assiologia, è piuttosto un ambiente, ma non sono affezionato a questa delimitazione. Tra l’altro, mi chiedo perché non si parli oggi anche di una Scuola di Lisbona, visto che anche a Lisbona esistono molti progettisti di alto livello, che condividono un approccio simile all’architettura. In ogni caso, se l’architettura portoghese piace sia alla critica che al pubblico è perché ha lavorato fin dall’inizio con pochi mezzi, è stata ed è un’architettura ‘dell’economia domestica’, per così dire. È un’architettura concettualmente di piccola scala, come lo stesso Portogallo. Per questo è immediatamente comprensibile a tanti pubblici, anche agli studenti e alle persone lontane da questo ambito. Un concetto fondamentale per descrivere l’architettura portoghese a quello di “adeguamento”, – nel senso inteso da Georg Lukács, che è lo stesso in cui l’utilizza Giorgio Grassi – cioè la capacità di assumere una postura sempre dialettica, e di definire la propria identità in base ai contesti incontrati. È un altro elemento che contribuisce alla sua comprensibilità”.

Sono riflessioni che valgono per le opere di Souto de Moura come per quelle di Siza. Il progetto più ambizioso su cui si sono confrontati è quello per la metropolitana di Porto. Tra il 1997 e il 2005 hanno lavorato congiuntamente sui circa 70 km della rete e sulle sue principali stazioni. “Un architetto da solo non può progettare 70 km e infatti il mio ruolo è stato quello di un coordinatore, di un ‘maestro’ che ha stabilito le regole per tutti gli altri, che hanno sviluppato i progetti puntuali. Ho impostato una sorta di Neufert [il manuale di progettazione più celebre e utilizzato nel mondo occidentale, NdR] della metropolitana, stabilendo un set di elementi, come un mazzo di carte da cui ciascuno poteva pescare”.

Eduardo Souto de Moura, Stadio municiplae, Braga, 2003. Foto © Luís Ferreira Alves
Eduardo Souto de Moura, Stadio municiplae, Braga, 2003. Foto © Luís Ferreira Alves

“Si trattava anche di una questione di budget” prosegue “Non potevamo permetterci di avere 70 corrimani diversi su 70 km di metropolitana, così abbiamo stabilito a monte il dettaglio del corrimano da utilizzare su tutta la linea. Ho anche condotto il dialogo con la città e con tutti i suoi municipi: li ho convinti che la metropolitana era un’occasione e che era necessario investire su di essa e sugli spazi che attraversa. Ho proposto e ottenuto, inoltre, che tutte le sottostrutture e gli impianti fossero rimossi dal sedime dei binari, con un duplice effetto positivo: sul funzionamento della linea, che non viene interrotta dai lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria di altre infrastrutture, e sugli spazi pubblici della città. Anche la necessità di questa operazione pratica, legata al “funzionamento” della città, ha incentivato il ridisegno assolutamente esteso e pervasivo delle vie e delle piazze di Porto”.

Il racconto che Souto de Moura fa di questa esperienza è al tempo stesso lucido e poetico e testimonia della sorprendente capacità di combinare pragmatismo e visione, gestione di processi complessi e costruzione d’immaginari condivisi attorno al progetto.

Immagine in apertura: Eduardo Souto de Moura. Foto © Juan Rodriguez

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