Mozzarella in carrozza

Presentato alla Biennale di Venezia, il volume Mozzarella in carrozza racconta l’amicizia che lega la curatrice Silvia Macchetto e 40 artisti, invitati a un grande banchetto immaginario. #fridayreads

Silvia Macchetto (a cura di), Mozzarella in carrozza. Ricette d’artista, Design Nero, 2017, 130 pp.
Silvia Macchetto (a cura di), Mozzarella in carrozza. Ricette d’artista, Design Nero, 2017, 130 pp.

 

In romanesco si dice: “Che, abbiamo mai mangiato insieme io e te?”. Lo si usa per intendere che la confidenza tra due persone è piuttosto relativa. Consumare un pasto, è infatti, un atto intimo, privato, un momento di cura di noi stessi e di piacere, che ci si riserva di condividere solo con le persone più care.

 

Mozzarella in carrozza, racconta proprio questo sentimento privato, l’amicizia che da anni lega la curatrice del volume Silvia Macchetto e i 40 artisti da lei invitati a partecipare al suo grande banchetto immaginario. Non è un caso, dunque, che la prima sia una ricetta tanto semplice quanto speciale perché legata al ricordo di un bambino: Profumo del sud. Spaghetti aglio, olio, peperoncino e acciughe, riportano la mente di Mario Airò ai giorni in cui lui e i suoi fratelli, rimanevano soli con il papà. Un piatto che, dice l’artista, non proveniva né dall’entourage della mamma lombarda, né da quello della nonna, ma apparteneva soltanto al padre, un’invenzione culinaria ricca di tutto il sapore e della nostalgia per il sole e il calore arso del Dud.

Le pietanze che nascono da ricordi d’infanzia sono diverse. Ricetta classica cremonese 1604, di Ettore Favini, racconta dell’innamoramento visivo dell’artista per la mostarda, cibo tabù per i bambini, con i suoi colori sgargianti e il sugo lucido e zuccheroso. O, ancora, i fusilli di Loredana di Lillo, invenzione di sua nonna dei tempi della guerra, che nei colori richiamano la palette essenziale usata dagli antichi: bianco di Milo, giallo di Atene e nero carbonella. Esemplare è un caso di lessico domestico: La tradizionale minestra di ceci della famiglia Migliora. Nell’introduzione l’artista stessa specifica: “Vengo da una famiglia di contadini, che mi ha insegnato che il cibo veicola l’amore. Il cibo a casa mia era medicina per tutti i mali, nutrimento, cura, dedizione, frutto sacro del lavoro della terra. Rispettare il cibo significa rispettarsi”, spiega l’artista protagonista di una mostra personale a Cà Rezzonico.
Silvia Macchetto (a cura di), <i>Mozzarella in carrozza. Ricette d’artista</i>, Design Nero, 2017, 130 pp.
Silvia Macchetto (a cura di), Mozzarella in carrozza. Ricette d’artista, Design Nero, 2017, 130 pp.
Poi ci sono i riferimenti favolistici, colti e raffinati, come la storia del cocktail Negroni di Lara Favaretto che trasporta la nostra fantasia a Firenze nella seconda metà dell’Ottocento, quando il conte Camillo Negroni e il barman Fosco Scarselli s’incontrarono al banco del bar Casoni. Un giorno imprecisato tra il 1917 e il 1920, il conte viaggiatore, chiese a Fosco d’irrobustire il suo tanto amato Americano che gli ricordava le fragranze e i profumi dell’Italia; unico nel suo sapore dolce e amaro al tempo stesso, come la vita. Oppure il Salmagundi di Giovanni Ozzola. L’origine del nome pare venga da una contessa, signora d’onore di Maria de’ Medici, che durante il periodo in cui Maria fu Regina di Francia, si dice abbia inventato questa ricetta di varie carni e sottaceti in una nave in mezzo al mare durante una delle prime lunghe spedizioni alla scoperta di terre ancora non conosciute.

 

Il tema del viaggio torna con un prelibato drink: la Caipirinha a Rio de Janeiro di Sarah Ciracì. In questa ricetta, il ricordo del luogo esotico si traduce in consigli e chicche da insider del posto. Ad esempio la Cachaça meglio cercarla da Tacacá do Norte, rua Barão do Flamengo 35R; lì preparano il vero Açai e si può essere certi di trovare una Cachaça proveniente dalla foresta amazzonica. Fondamentale è combinare tutti gli ingredienti a ritmo di samba e dopo aver consumato la bibita, correre a ballare al Vaca Atolada nel quartiere di Lapa.

Suona di oriente e di terre lontane anche la zuppa Pho Bo di Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini, nella ricetta l’elemento centrale è la pazienza e la giusta tempistica e dose nell’intreccio combinatorio degli ingredienti. Un brodo che cuoce con un filo di fiamma per otto ore condito con ogni genere di spezia profumata tra zenzero, anice stellato, chiodi di garofano, lime, basilico thai, cannella e peperoncino.

In tema di risveglio di appetiti – e non solo di palati – c’è la Minesta afrodisiaca di Hilario Isola che prescrive: “Mangiare e poi fare sesso”.

A questo punto, arrivano i piatti minimali: la Fetta di carne di Lorenzo Scotto di Luzio, Le Stelline in brodo per me di Marisa Merz e la Pasta con la bottarga di Nunzio, la cui riuscita, oltre che dal giusto dosaggio degli ingredienti, sarà determinata come in una corsa, dalla rapidità di esecuzione.

I provocatori sono capeggiati da Enzo Cucchi con la sua Zuppa di cuoio, dove gli unici ingredienti sono 6,5 litri d’acqua e 2 tomaie in pelle di vecchie scarpe. Il Pastifero di Ontani, consiste in una foto dove l’artista è vestito di sola pasta e regge su una picca, quasi come uno stemma regale, un unico lucente maccherone. A seguire la Cena arancione di Vedova Mazzei, con ogni ingrediente, dall’antipasto al dolce, rigorosamente monocromatico compreso il menù scritto con un pennarello dal pennino cicciotto. E ancora la Gallina lessa di Stefano Arienti che allega in testa alla ricetta una foto dell’animale vivo e scorrazzante nell’aia e contempla la possibilità di passare un pomeriggio facendo l’autopsia al pollo se ruspante.

Ci sono anche quelli per cui mangiare in sostanza è una perdita di tempo, una semplice necessità per sfamarsi, impiegando il minor tempo e impegno possibile. Liliana Moro dice di possedere solo quattro ricette personali e propone la più golosa: la Crema pasticcera, mentre Flavio Favelli riporta le Banane con lo zucchero, consumate per 1,50 euro alla trattoria Ferro di Cavallo a Palermo e di cui esiste anche una versione con zucchero di canna, ma lui preferisce la ricetta classica con zucchero bianco.

Per finire con una piccola fiaba Massimo Bartolini racconta la rocambolesca storia dell’artista del digiuno, il quale non essendo mai riuscito a trovare del cibo che veramente gli piacesse finisce per morire di fame.

Mozzarella in carrozza è insomma un cocchio magico, un nuovo talismano della felicità, che racchiude un ricettario prezioso, dove, proprio come nella celebre opera di Gino de Dominicis, che il libro cita nel titolo, il segreto sta nella freschezza delle idee oltre che degli ingredienti. Nella installazione del 1970 l’artista marchigiano presenta una antica carrozza che conteneva, adagiata sul sedile, una vera mozzarella da sostituire quotidianamente.

In un momento in cui il cibo è diventato soggetto tanto radical chic, quando nazional popolare, la sobrietà, l’ironia e l’eleganza di questo piccolo volume sorprende, riportandoci al contatto con la vera genuinità che come sempre nasce solo dai più autentici sentimenti.

© riproduzione riservata

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