Storie d’Interni

Il libro a cura di Fulvio Irace, Storie d’Interni, ha l’obiettivo di dimostrare come l’architettura d’interni, una volta riconnessa al più ampio dibattito del mondo del progetto dalla seconda metà del Diciannovesimo secolo a oggi, si sveli come uno snodo di ricerche e scelte cruciali.

Fulvio Irace, Storie d'Interni
Diffusione degli elettrodomestici. Nuove definizioni funzionali dei percorsi e degli ambienti. Successo degli arredi low cost. Utilizzo dei componenti prefabbricati. Da qualunque prospettiva si osservi l’architettura d’interni, i mutamenti nei modi di vivere l’ambiente domestico nell’ultimo secolo e mezzo appaiono strabilianti. Capaci di rivaleggiare e forse persino superare, in termini di profondità e diffusione, le innovazioni prodotte dall’architettura in senso stretto. Si può certo ancora abitare in edifici dai muri antichi: ma qualcuno può davvero dire di vivere in interni dallo spirito pre-moderno?
Fulvio Irace, a cura di, Storie d'Interni, Carocci Editore
In apertura: dettaglio del disegno di Alessandro Mendini per la copertina del libro Fulvio Irace, a cura di, Storie d'Interni, Carocci Editore
Eppure, ragiona Fulvio Irace nell’introduzione a Storie d’Interni (Carocci Editore, Novembre 2015), la storia dell’architettura d’interni spesso fatica a trovare una propria espressione autonoma. Schiacciata da un lato tra una descrizione dell’architettura “come un’astratta concatenazione di volumi e di vuoti interni in cui il progetto dell’allestimento funzionale degli ambienti interni rimane su uno sfondo vago e di secondaria importanza”. E dall’altro da una storia del design che quasi sempre propone sequenze di “oggetti isolati […] consegnati all’immagine di un museo della creatività alla piccola scala”.

A saper guardare meglio, appare evidente come ci troviamo di fronte a una storia fondamentale. La quale va molto oltre a meri elenchi di “gusti in transizione” nel settore dell’arredamento. Proprio questo è l’obiettivo di Storie d’Interni: dimostrare come l’architettura d’interni, una volta riconnessa al più ampio dibattito del mondo del progetto dalla seconda metà del Diciannovesimo secolo a oggi, si sveli come uno snodo di ricerche e scelte cruciali.

Il volume curato da Irace raccoglie i contributi di un gruppo di critici italiani e docenti di università di design. A ogni firma è affidato almeno un capitolo di quella che il curatore precisa voglia essere “una storia del progetto domestico, più che una storia dell’interno abitato”. Nel suo insieme, si tratta di una raccolta di “figure”, ovvero saggi in cui la casa si presenta di volta in volta come “liberata", “razionale”, “sociale”, “scomposta”, “in mostra”, “del futuro”, o “d’artista”.

Fulvio Irace, a cura di, Storie d'Interni, Carocci Editore
Fulvio Irace, a cura di, Storie d'Interni, Carocci Editore
Storie d’Interni non nasconde il suo approccio narrativo, né la sua scelta di interpretazioni spinte “ai limiti della deformazione”. Il primo racconto, “La casa decorata”, dello stesso Irace, si appoggia inizialmente a una cronologia consolidata, che a partire dall’Esposizione Universale di Londra del 1851 affronta per contrasto, in modo progressivo, la coincidenza tra etica ed estetica propugnata dal movimento Arts&Crafts, fino a esplorare le ricche stanze di Palais Stoclet a Bruxelles (1905–11). Ma poi il saggio prende un taglio inaspettato. Dimostrando come, negli stessi decenni in cui “la ricerca di un ascetismo estetico […] fece dell’azzeramento delle arti decorative un punto di principio morale prima ancora che produttivo”, in Italia si coltivava una diversa interpretazione del moderno, più conciliatoria rispetto al passato.
Fulvio Irace, a cura di, Storie d'Interni, Carocci Editore
Fulvio Irace, a cura di, Storie d'Interni, Carocci Editore
Decisivo nella formulazione del tema della “Casa all’italiana” è Gio Ponti, con la sua ammirazione per Carlo Mollino e soprattutto con il piano di Villa Planchart a Caracas, attraverso il quale il maestro milanese, a metà anni Cinquanta, rivendica il “diritto alla decorazione”, pur collocandosi tra i membri dell’élite architettonica internazionale. La decorazione è un “gesto inutile”, certo, ma proprio per questo è “fra i segni più squisiti dell’allontanamento progressivo dell’uomo dall’animale, che è quanto dire civiltà”. E questa presa di posizione, i cui prodromi si scorgono nell’editoriale scritto da Ponti sul primo numero di Domus, nel 1928, ritornerà a fine secolo con le “stanze” affollate di segni e richiami d’arte di Alessandro Mendini, che si distendono fino al presente.
Fulvio Irace, a cura di, Storie d'Interni, Carocci Editore
Fulvio Irace, a cura di, Storie d'Interni, Carocci Editore
Le “figure” su cui si imperniano le Storie d’Interni sono sincroniche, non diacroniche. Così le letture più interessanti sono quelle che incrociano i temi, e i capolavori dei maestri. Adolf Loos che realizza la dimora di Tristan Tzara a Parigi nel 1925–26. Bruno Taut che scrive “l’architetto propone, la casalinga dispone” ed elabora strategie per razionalizzare il lavoro domestico, inserendo l’emancipazione del lavoro femminile tra i massimi obiettivi di design. Joe Colombo alla mostra “Italy: The New Domestic Landscape” al MoMA. Fino al Premio Pritzker 2016 Alejandro Aravena, il cui Elemental è considerato da Maria Teresa Feraboli come una tra le più convincenti reinterpretazioni contemporanee del filone della “casa prefabbricata” (altrove invece declinata in veste di oggetto da collezione, come nel caso delle microhouses realizzate da Jean Prouvé o Shigeru Ban, messe in vendita a Design Miami Basel 2015).
La “casa sociale” è forse la circostanza nella quale gli ideali del movimento moderno appaiono oggi più offuscati. Nella sua analisi, Graziella Leyla Ciagà ipotizza allora sia in corso uno spostamento del tema progettuale dall’hardware dell’architettura al software, “cioè il sistema delle attrezzature che rendono l’architettura confortevole e abitabile, ossia il mondo dell’arredo”. Individuati come rappresentanti di questa tendenza ci sono, ciascuno a suo modo, una multinazionale del mobile (IKEA), e la collezione “Hartz IV Moevel” di Van Bo Le-Mentzel, designer tedesco nato nel 1977. Ed è su dualismi del genere che si potrebbero giocare le Storie d’Interni del futuro prossimo.
© riproduzione riservata

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram