The Grand Budapest Hotel

Il corposo volume di Matt Zoller Seitz è una sorta di tesi semiseria strutturata in tre atti, ognuno dei quali si sviluppa intorno a un’intervista lunga e approfondita al regista Wes Anderson.

Matt Zoller Seitz, <i>The Grand Budapest Hotel</i>, Abrams Books, New York 2015.
Matt Zoller Seitz, The Grand Budapest Hotel, Abrams Books, New York 2015, pp. 256.

 

The Grand Budapest Hotel è molto simile a una torta nuziale a 12 strati”. Esordisce così Matt Zoller Seitz nella monografia omonima dedicata all’ottavo film di Wes Anderson, vincitore di quattro premi Oscar e pubblicata lo scorso febbraio negli Stati Uniti. L’autore e scrittore, nonché caporedattore di RogerEbert.com e critico televisivo del New York Magazine, autore del precedente The Wes Anderson Collection, pubblicato sempre da Abrams nel 2013, continua spiegando la similitudine da fine pasticceria contenuta nella prefazione del libro. “Quando mangi una torta nuziale a 12 strati non fai caso a tutto il lavoro che si nasconde dietro, pensi solo e soltanto a quanto sia deliziosa. Ecco, così accade anche con i film di Wes Anderson”. E forse succede anche con il libro in questione. Puoi mangiarne una fetta, anche due, puoi solo guardarla o non averne voglia, fatto sta che il volume, per forma e contenuto, soddisfa ogni appetito.

Matt Zoller Seitz, <i>The Grand Budapest Hotel</i>, Abrams Books, New York 2015.
Matt Zoller Seitz, The Grand Budapest Hotel, Abrams Books, New York 2015.
Saranno contenti soprattutto i wesandersoniani, perché il corposo volume – di circa 300 pagine e dalle grandi dimensioni – è una sorta di tesi semiseria strutturata in tre atti, ognuno dei quali si sviluppa intorno a un’intervista lunga e approfondita al regista. Colori e grafica à la Wes Anderson, ovviamente, con fotografie inedite durante le riprese, poi pagine tratte dalla sceneggiatura, schizzi delle sequenze, storyboard, analisi e saggi di scrittori e critici importanti, miniature e modellini di set e le illustrazioni di Max Dalton, graphic artist che vive fra Buenos Aires, Barcellona, New York e Parigi.
Matt Zoller Seitz, <i>The Grand Budapest Hotel</i>, Abrams Books, New York 2015.
Matt Zoller Seitz, The Grand Budapest Hotel, Abrams Books, New York 2015.
Fra le pagine, ad esempio, si ritrovano anche le curiose immagini delle cartoline degli inizi del Novecento da cui il regista americano ha preso ispirazione, conservate nella Biblioteca del Congresso, all’interno della PhotoChrome Print Collection. La collezione conta oltre 6.000 vedute d’Europa, fotografie in bianco e nero poi colorate, che immortalano alberghi lussuosi e di gran classe, oggi scomparsi, fatiscenti o totalmente rinnovati.
Matt Zoller Seitz, <i>The Grand Budapest Hotel</i>, Abrams Books, New York 2015.
Matt Zoller Seitz, The Grand Budapest Hotel, Abrams Books, New York 2015.
Il libro, ovviamente diventato best seller, offre una lettura approfondita dell’incredibile microcosmo di Wes Anderson, ne scandaglia l’universo fra influenze letterarie, visuali e cinematografiche. Dal capitolo su Stefan Zweig, l’autore viennese morto suicida a cui il regista si è ispirato per scrivere la sceneggiatura, alle note sull’eco kubrickiana deja vu nei tappeti del corridoio più famoso della storia del cinema, quello dell’Overlook Hotel di Shining. Trovano spazio anche gli espedienti tecnici che hanno reso Anderson non solo un regista, ma anche uno stile cinematografico riconoscibile ovunque, quindi le analisi sulla sua meticolosa attenzione per le riprese e per i particolari, la geometria delle scene e le architetture dei set, passando per i costumi del film. Fra le interviste anche una premonizione. Ricordano qualcosa, infatti, le risposte del regista nella prima intervista Un’idea di Europa a proposito del concetto stesso di Europa, soprattutto alla luce dei recenti fatti sulla situazione greca. Se è vero infatti che il film è ambientato in un’Europa non reale, andata perduta e tratteggiata con toni nostalgici, un luogo dove tutto è finito e dove resta il fittizio – dalle torte di Mendle’s alla Repubblica di Zubrowka in cui si svolge la storia – viene da chiedersi se non è forse l’Europa di oggi a essere forse finta e senza contenuti.
Matt Zoller Seitz, <i>The Grand Budapest Hotel</i>, Abrams Books, New York 2015.
Matt Zoller Seitz, The Grand Budapest Hotel, Abrams Books, New York 2015.
Sezione corposa del libro, poi, è quella dedicata ai costumi, ricca di bozzetti e schizzi. S’inizia con l’intervista a Christopher Laverty, consulente e costumista del film, autore del seguitissimo blog Clothes on film e attualmente alle prese con un libro dedicato alla moda nel cinema. L’attenzione è sugli abiti che nei film di Wes Anderson hanno un ruolo fondamentale, basti pensare al mantello di velluto e all’abito dorato in stile Klimt di Madame D, Tilda Swinton, che racchiude nella stoffa e nei disegni un mondo di ricchezze, feste, champagne, dipinti e fois gras.
Matt Zoller Seitz, <i>The Grand Budapest Hotel</i>, Abrams Books, New York 2015.
Matt Zoller Seitz, The Grand Budapest Hotel, Abrams Books, New York 2015.
E proprio dal bozzetto di quell’abito parte la singolare intervista con Milena Canonero, la famosa costumista torinese che dopo una formazione genovese e londinese si è ritrovata a Hollywood a vincere meritati Oscar per i favolosi costumi di Arancia Meccanica –icona indiscussa, ad esempio, l’uniforme della banda dei Droog – Barry Lyndon o Shining. Collaborazioni con i grandi nomi, Hudson, Coppola padre e figlia, Louis Malle, Polanski, e da ultimo Wes Anderson con Le avventure acquatiche di Steve Zissou, il Treno per Darjeeling e The Grand Budapest Hotel. “Wes è particolare sui dettagli, così come lo sono io”, racconta la costumista italiana nell’intervista sul film, “è un tipo molto caratteristico ma allo stesso tempo lascia molto spazio, vuole idee e input sui look dei personaggi. Quando il costume non viene specificato nella sceneggiatura, possono nascere discussioni infinite. Personalmente lavoro a stretto contatto con il production designer e con il direttore della fotografia in modo tale che tutto nasca insieme, in linea con la tavolozza di colori del film. I colori, infatti, hanno una musica personale, e Wes si preoccupa molto che quella musica abbia le note giuste”.
Matt Zoller Seitz, <i>The Grand Budapest Hotel</i>, Abrams Books, New York 2015.
Matt Zoller Seitz, The Grand Budapest Hotel, Abrams Books, New York 2015.
A proposito di production design, interviene Adam Stockhausen, designer di produzione di film come Synecdoche, New York e 12 anni schiavo “Nel set tu crei ogni cosa, perché hai a che fare con un mondo totalmente inventato (quello di Wes). Finisci per disegnare il film frame dopo frame, scatto dopo scatto, attraverso ogni sequenza. Anche se si basa sulla realtà, tutto è una creazione”. Comprese monete e banconote, boccette di profumo, le perfette scatole rosa della pasticceria Mendle’s, disegnate e ridisegnate infinite volte da un team di designer.
Può dirsi, per concludere, raggiunto l’obiettivo del libro nell’intento del suo autore Matt Zoller Seitz, ovvero quello di possedere lo stesso senso di architettura che appartiene agli indimenticabili film che lo hanno ispirato. Insomma, un libro multistrato e minuzioso nei particolari, in cui è bello viverci dentro. Proprio come nei film di Wes Anderson.
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