Effetto terra

La X edizione di Fotografia Europea a Reggio Emilia, coordinata da Dufour, Grazioli, Guadagnini, indaga il rapporto tra uomo e natura, l’impatto antropico sull’ambiente, i sottili equilibri tra uomo e territorio, il dominio degli elementi naturali sulla specie umana.

Nina Berman, From the series Fractured, the shale play, dettaglio
Aldous Huxley diceva che la coerenza è contraria alla natura e alla vita e che gli unici coerenti sono i morti. La natura è madre o matrigna? Dispensatrice di nutrimento, divoratrice o palcoscenico indifferente alle vicende umane?
L’astrazione da qualunque giudizio dogmatico sulla vocazione teleologica della natura – e della terra come suo elemento primario – è il leitmotiv che attraversa la X edizione di Fotografia Europea 2015, a Reggio Emilia dal 15 maggio al 26 luglio.
Olivo Barbieri, ERSATZ LIGHTS, Milano, 1989
In apertura: Nina Berman, From the series Fractured, the shale play, dettaglio. Qui sopra: Olivo Barbieri, Ersatz Lights, Milano, 1989
“Effetto terra” – in parallelo con Expo di Milano – è il titolo della manifestazione che attraverso esposizioni, installazioni, eventi, indaga il rapporto tra uomo e natura, dall’impatto antropico sull’ambiente, ai sottili equilibri tra uomo e territorio, al dominio degli elementi naturali sulla specie umana. In ogni caso, il tentativo è di costruire un legame con la terra – sia essa Pachamama o Belzebù – che affranchi l’uomo dalla transitorietà e che traduca in una prova dell’esistenza il fare parte di un meccanismo che, proprio perché in perenne trasformazione, può sopraffare la morte.
Pep Bonet, From the series Steamland geothermal energy in Iceland
Pep Bonet, From the series Steamland geothermal energy in Iceland
In alcuni casi, la natura è scenario impotente di fronte a una devastazione tanto spinta da espellere con forza perfino chi l’ha perpetrata. Nella collettiva No man nature a Palazzo Da Mosto, la natura si trasforma in un mondo sanza gente inquietante ma di potente fascinazione, portando in collisione la bellezza dell’arte con vicende drammatiche: le foreste di alberi morti delle città siberiane ritratte da Darren Almond nella serie Night + Fog sono dita scheletrite e nere che graffiano il cielo e gridano il dolore della natura violentata e dell’uomo nei gulag; la mostra A NOOR Journal on the Changing Planet ai Chiostri di S. Pietro denuncia i disastrosi effetti dei cambiamenti climatici, portando microscopicamente alla luce la perdita di identità dei luoghi, la dissoluzione dei sistemi comunitari, il disorientamento sociale.
Yuri Kozyrev, From the series Yamal Peninsula
Yuri Kozyrev, From the series Yamal Peninsula
Un rapporto faticoso e di delicato equilibrio tra l’uomo e il territorio è espresso invece da autori che analizzano i paesaggi urbani. Olivo Barbieri in ERSATZ LIGHTS case study # 1 east west ai chiostri di S. Pietro rivolge il focus sul paesaggio antropico dominato dalla luce artificiale, dalle megalopoli orientali, alle periferie europee, ai paesaggi italiani. Daniele Lisi in Cluster|New Jersey Counties ai Chiostri di S. Domenico racconta la provincia americana: le rigorose geometrie di Meadowlands disegnano in verità una città surreale nella sua perfezione e adombrano il sospetto, come nel film American Beauty, di una realtà ben più irrequieta dietro le quinte.
Jon Lowenstein, From the series In the Oil Sands
Jon Lowenstein, From the series In the Oil Sands
Infine, la natura è anche protagonista incontrastata di fronte alla risibile temporaneità della presenza umana nel pianeta: il tempus edax rerum (il tempo che divora tutte le cose) si avverte nella decomposizione della materia artificiale a cui sopravvive il rinnovamento degli elementi naturali. È il punto di vista di Joan Fontcuberta che, in Gastropoda al Palazzo dei Musei, legge nelle fameliche lumache che divorano la sua posta nelle settimane di assenza l’incedere della natura che “digerisce” i manufatti umani; come anche del fotografo Marcello Grassi che, in Herculaneum al Museo dei Frati Cappuccini, riporta alla luce i resti di Ercolano, suggerendo una riflessione sulla precarietà dell’uomo di fronte alla storia e alla natura.
Joan Fontcuberta, Gastropoda
Joan Fontcuberta, Gastropoda

Non meno significativi sono i contributi del circuito OFF, la selezione collaterale del Festival di Fotografia Europea.

La natura è una Wasteland negli scatti di Carlo Vannini che in Cupi fantasmi di una vita perduta registra ghost towns dove affiorano fosche tracce dell’opera umana e di Michael Kenna, che descrive un mondo naturale di una bellezza inquietante, sospeso in un tempo in cui la luce deve ancora manifestarsi.

Il rapporto uomo-natura viene tracciato con consapevole realismo, senza elegiache visioni, da Esko Männikkö che, alla Collezione Maramotti con Time flies. A highlight, racconta la solitudine delle persone nei paesaggi antropizzati intorno alla capitale finlandese; oppure, con più affettuosa indulgenza, da “Sidi” Luciano Scarpa in Nuda terra che rivela terre arate dall’uomo e dal vento, frutto dell’instancabile lavoro e dell’amore per la terra.

Kadir van Lohuizen, From the series Wind Energy in China
Kadir van Lohuizen, From the series Wind Energy in China

Infine, la natura è sovrana negli scatti di Carlo Vannini allo spazio Corsiero Editore, dove con I maestri muti dell’appennino pietre, sassi e alberi sono presenze estatiche al di là del tempo e dello spazio e di Acua Aura che con No fly zone. Birthplace racconta luoghi fisici e dell’immaginario di insuperata bellezza.

Una disinvolta euforia per la post-produzione caratterizza, a parte alcune eccezioni, molti scatti di questa edizione di Fotografia Europea che nel complesso risulta di grande intensità espressiva: nonostante la diversità dei contributi, trasversali a tutte le interpretazioni artistiche restano comunque, per parafrasare Federico García Lorca, la consapevolezza che il cuore dell’uomo è sotto terra e la speranza che gli alberi, frecce del cielo, riescano a sentirne il battito.

© riproduzione riservata

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