Un grattacielo ‘odiato’

di Federico Bucci

The Pan Am Building and the shattering of the Modernist dream, Meredith L. Clausen The MIT Press, Cambridge (Mass.)-London 2005 (pp. 477)

“Quale sfinge di cemento e alluminio gli ha sfracellato il cranio e gli ha divorato il cervello e l’immaginazione?/ Moloch! Solitudine! Lerciume! Schifezza! Spazzatura e dollari inafferrabili! Bambini che strillano nei sottoscala! Ragazzi che singhiozzano negli eserciti! Vecchi che piangono nei parchi!/ Moloch! Moloch! Incubo di Moloch! Moloch spietato! Moloch mentale! Moloch duro giudice di uomini!/ (...) Moloch la cui mente è puro macchinario! Moloch il cui sangue è denaro che scorre! (...)/ Moloch i cui occhi sono mille finestre cieche! Moloch i cui grattacieli sorgono in lunghe strade come Jehovah senza fine!”.

Con questa citazione, tratta da Howl di Allen Ginsberg, Meredith Clausen comincia il suo poderoso studio sul Pan Am Building (oggi Met Life Building) di New York. La vicenda della costruzione di questo grattacielo è ricca di spunti di riflessione e la Clausen, docente di storia dell’architettura all’Università di Washington e già autrice di una bella monografia su Pietro Belluschi, riesce a raccontarla in 470 pagine tenendo sempre vivo l’interesse del lettore, grazie al sapiente intreccio di differenti percorsi di ricerca.

Innanzitutto ci sono il luogo e il contesto storico: la Grand Central Station e Park Avenue a New York, tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta. Poi, i protagonisti: Erwin Wolfson, l’imprenditore edile; James Ruderman, l’ingegnere strutturista; Walter Gropius, Pietro Belluschi e Emery Roth & Sons, gli architetti; Juan Trippe, capo della Pan American World Airways; Douglas Haskell, Wolf von Eckardt, Peter Blake, Ada Louise Huxtable, Sibyl Moholy-Nagy, Jane Jacobs e Bruno Zevi, i critici. Infine, i contenuti della vicenda: la trasformazione di un’area nevralgica della metropoli, la cultura americana e il suo rapporto con la storia, la supremazia dell’iniziativa privata sull’interesse pubblico, il declino dell’industria ferroviaria e l’ascesa del trasporto aereo, l’immagine aziendale, la costruzione, la forma e il significato del grattacielo, il lavoro dei grandi studi d’architettura americani e il coinvolgimento di due architetti di chiara fama (sia in campo professionale sia nell’ambiente accademico), il ruolo della critica architettonica e soprattutto, come recita il titolo del libro, la frantumazione del sogno modernista.

La costruzione del Pan Am Building comincia nel 1958 e termina nel 1963. Il progetto iniziale è dello studio Emery Roth & Sons, ma Walter Gropius e Pietro Belluschi hanno un ruolo determinante nell’assegnare all’edificio l’immagine architettonica definitiva e infatti la critica si concentra sul loro ruolo e in modo più specifico sulle responsabilità di Gropius. Va detto che, lungo l’asse di Park Avenue, pochi blocchi prima del Pan Am Building, nel 1958 termina la costruzione del Seagram Building di Mies van der Rohe, mentre l’anno successivo, Frank Lloyd Wright (morto nel mese di aprile) per poco non aveva fatto in tempo a inaugurare il Guggenheim Museum, il suo ultimo capolavoro. Nello stesso periodo, dall’altra parte del mondo, Le Corbusier è impegnato nell’avventura di Chandigarh. Basterebbe pensare a questi progetti per riflettere sui diversi tragici destini dei “Four Great Makers of Modern Movement”: il bianco museo di Wright rappresenta l’ultimo canto al potere dell’individuo; il nero grattacielo di Mies “fa un passo indietro e tace” di fronte al caos urbano ritirandosi nella sublime perfezione intellettuale del ‘Baukunst’; Le Corbusier contorce il cemento armato in forme poetiche per riscattare la storia di un’altra civiltà; mentre Gropius accetta di mettersi al servizio della nuova tecnocrazia americana.

Il grattacielo di Gropius e Belluschi è alto 246 metri e si sviluppa su 59 piani. In origine il suo nome era quello di Grand Central City, ma nel 1960 la Pan American World Airways sigla un accordo con Wolfson per l’affitto degli ultimi quindici piani dell’edificio e per l’inserimento sulla cima del famoso logo “Pan Am” (sostituito nel 1981 da quello del nuovo proprietario, Metropolitan Life Insurance Company). Il Pan Am Building rappresentava così anche la supremazia del trasporto aereo americano: dal 1965 era attivo un servizio di trasporto in elicottero, che in sette minuti, dalla pista collocata sulla copertura, portava all’aeroporto JFK; servizio interrotto nel 1977 a causa di uno spettacolare incidente. Tra gli altri ‘eventi’ che hanno segnato la storia di questo grattacielo, si possono citare le installazioni artistiche di Lippold, Kepes e Albers nelle sale d’ingresso, oltre all’affollatissima conferenza stampa di Jimi Hendrix tenuta nel 1968.

Meredith Clausen racconta tutto questo, ma soprattutto spiega perché il Pan Am Building ha sollevato numerose polemiche nella cultura architettonica internazionale e contemporaneamente è diventato il grattacielo “più odiato” dai cittadini di New York. La sua forma è chiaramente ispirata al progetto di Le Corbusier per un grattacielo ad Algeri (1938-42) e al grattacielo Pirelli costruito nel 1960 da Gio Ponti e Pierluigi Nervi a Milano. La pianta dell’edificio di Gropius e Belluschi è, come quella del grattacielo milanese, a forma di ottagono allungato e il suo caratteristico prospetto sottolinea le linee verticali con pannelli prefabbricati di cemento, il cui ritmo è visivamente spezzato da due linee vuote orizzontali e concluso prima della copertura. Ma è la relazione con l’intorno a essere messa all’indice dalla critica architettonica americana, che per la prima volta si oppone ai meccanismi della rendita privata sollevando i problemi del rapporto con le preesistenze storiche e del disegno urbano. In sintesi, si legge da più parti, l’enorme mole dell’edificio schiaccia con violenza la vecchia stazione e chiude la visuale di Park Avenue ridicolizzando la snella torre del Grand Central Terminal Office Building di Whitney Warren.



“Marvel or Monster?” così Ada Louise Huxtable, sul New York Times del 24 gennaio 1960, apre il coro delle critiche al Pan Am Building, a cantiere ancora aperto. Un coro formato da nomi illustri come Douglas Haskell di The Architectural Forum, Peter Blake, fino ad arrivare al nostro Bruno Zevi che, sulle pagine dell’Espresso, sei mesi dopo l’inaugurazione dell’edificio, dedica parole durissime al “testamento che non convince” del maestro tedesco: “Nulla è più doloroso della stanchezza che coglie i nostri vecchi maestri. Walter Gropius, l’animatore del Bauhaus, non è stato un grande artista creativo, ma l’appassionata vocazione didattica e la fedeltà ai principi dell’urbanistica e dell’edilizia moderna bastavano a farne un sicuro punto di riferimento etico. (...) Oggi anche il mito di Gropius decade. Il Pan Am Building costruito a New York sopra la Grand Central Station è un’assurdità urbanistica che nessuna argomentazione dialettica riuscirà a giustificare”. Gropius risponde puntualmente alle critiche di Zevi (cfr. L’Architettura. Cronache e storia, aprile 1964), ma la condanna del Pan Am Building sembra essere unanime (tranne qualche rara eccezione) e senza appello e non risparmia certo gli architetti che hanno reso possibile l’operazione: Gropius e Belluschi, tra l’altro entrambi presidi di scuole d’architettura, sono accusati di aver tradito il compito civile dell’architetto moderno, piegando la propria arte agli interessi di un profitto economico impegnato in un’opera di distruzione dell’ambiente urbano e della sua storia. In realtà, la posizione di Gropius è in questo periodo esplicita non solo nelle forme del Pan Am Building. Nell’ottobre 1965, la nuova serie della rivista Casabella, diretta da Bernasconi dopo l’improvviso allontanamento di Rogers, ospita un lungo saggio di Walter Gropius intitolato “L’architetto e la società” in cui il maestro tedesco, dopo aver enunciato i compiti dell’architetto, scrive: “Non mi è pertanto possibile sottoscrivere il verdetto dei critici secondo cui proprio alla professione dell’architetto, in quanto tale, andrebbe addossato tutto il biasimo, sia per la discontinuità d’impronta delle nostre metropoli, sia per il disordinato e dilagante insinuarsi dei centri urbani nelle circostanti campagne. Come noi tutti ben sappiamo, l’architetto, o l’urbanista, non ha quasi mai ricevuto un mandato dalla popolazione per ideare la migliore cornice possibile e adeguata a un auspicabile modo di vita. Quanto egli riceve, di norma, non è altro che una semplice commessa individuale, e con obiettivi molto limitati, da parte di singoli clienti che si sono finalmente decisi a crearsi un loro posto al sole”. Sembra una ulteriore difesa dalle critiche al Pan Am Building, in realtà è la resa incondizionata dell’architettura moderna di fronte a una società, in particolare quella americana, che traduce lo spazio urbano, lo spazio della socialità, in termini puramente economici. Con cinico realismo, Walter Gropius smette i panni dell’intellettuale europeo e in America chiude il sogno modernista di una società liberata dalla tecnica. Resteranno i poeti a urlare contro il Moloch.

Federico Bucci Docente di Storia dell’Architettura Contemporanea

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram