Le voci parlanti

Con le sue immagini in bianco e nero, Luigi Spina prova a svelare quante città sono racchiuse nel Camposanto di Messina, seguendo un percorso fra i tanti possibili e raccontando dei suoi “incontri”.

Luigi Spina, Monumentale
Il Gran Camposanto di Messina, che mi ostino fin dall’inizio a chiamare Monumentale, è un luogo immenso.

Comincio a muovermi fra busti, medaglioni, sculture dedicatorie e angeli. Dappertutto è possibile leggere storie di vite, pene, affanni, gioie e dolori. Sono circondato dal silenzio e sembra che non accada nulla eppure basta cominciare a leggere che questo luogo si riappropria della sua identità culturale, storica e sociale di tutta quella gente che ha vissuto prima di noi.

Come in una sorta di girone dantesco inizio questo viaggio in un paesaggio fatto di fusti di colonne e tronchi d’albero, cappelle gentilizie, busti marmorei e statue ambientati in una vegetazione fitta e incolta, testimonianza della passione e l’amore per l’arte di artisti, artigiani e committenti.

Luigi Spina, <i>Monumentale</i>
Luigi Spina, Monumentale

Il fatto è che comincio a leggere, sempre con maggiore frequenza, 28 dicembre 1908.

Questa data è il simbolo di una frattura, che si percepisce in tutta la sua immane tragedia, qui, nella città dei morti.

Vi è una densità della terra, si ha la percezione della catastrofe sismica. Intere generazioni decapitate. Eppure, è nel Monumentale che si compie l’atto finale; è in questo luogo che si comprende come, ancora oggi, Messina sia una città interrotta.

Luigi Spina, <i>Monumentale</i>
Luigi Spina, Monumentale
Il Famedio, il Pantheon dei messinesi, è l’ombra del monumento che fu. Una volta doveva svettare come un Partenone sullo stretto di Messina, immagino che fosse visibile come un grande tempio bianco imponente, un’icona della città. Eppure, quando mi avvicino alle scale del monumento, vedo davanti a me una grande spianata: solo capitelli e colonne tronche. L’intero fabbricato è stato spazzato via. Il sisma ha certamente interrotto una storia, una vicenda viva, ma l’incuria e l’oblìo degli anni successivi hanno decapitato il Famedio e la cultura messinese. La quantità di decorazioni bronzee e in ferro arrugginito che giacciono sul manto di erba incolto è angosciante. Sotto i nostri piedi, avvertiamo continuamente la presenza degli elementi decorativi e architettonici dei monumenti. La natura ha ripreso il sopravvento.

 

Avrei voluto svelare quante città, quante Messina, sono racchiuse in questo simulacro. Quante vite dissolte con tutti i loro sogni, le speranze ma anche con le cose più semplici più umane che ognuno di noi potrebbe fare ogni giorno. Tutto ciò mi ha spinto a seguire un percorso, uno fra i tanti possibili. Ho costruito la mia storia, ho raccontato dei miei incontri, le cose che ho veduto, le voci che ho sentito.

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