Non sono uno sciatore. Vivo in un Paese piatto, che si trova sotto il livello del mare. Finora, in montagna c'ero stato solo d'estate, in vacanza. Naturalmente, avevo visto le foto della montagna in inverno, per lo più pubblicità di vacanze sulla neve. Queste immagini, di solito, propongono piccoli gruppi di sciatori che si lasciano scivolare su un tranquillo paesaggio invernale, o giovani sportivi che fanno salti spettacolari sullo sfondo di una montagna nuda, dove l'uomo non sembra essere mai stato prima. La sera, sembrano tutti godersi una vita lussuosa in chalet pittoreschi, sotto spessi strati di neve.
La mia prima volta in montagna d'inverno non ha avuto nulla a che fare con gli sport invernali: ero andato a trovare degli amici sulle Alpi Francesi. Dopo essere tornato diverse volte, un giorno, è stato inevitabile trovarmi con gli sci ai piedi, in mezzo a sciatori allegri e rumorosi impianti di risalita, in una stazione sciistica francese.
Fin dalla mia prima visita, sono stato – e lo sono ancora – colpito dalla scala industriale di ciò che dovrebbe essere un'attività del tempo libero: la macchina necessaria per fare salire tutte queste persone in cima alla vetta, il "formicaio brulicante" di sciatori che si getta giù per le piste, intere cittadine costruite per ospitarli, nutrirli e farli divertire. Tutto all'interno di uno spettacolare e incantato paesaggio invernale. Un'altra cosa che mi ha stupito è stato lo strano mix di pianificazione attenta e "Far West architettonico": alcuni resort sono ben progettati per inserirsi nel loro ambiente naturale, mentre altri sono soltanto un ammasso di edifici in stile chalet che, nonostante la sedicente architettura "tradizionale", non hanno il benché minimo rapporto con il paesaggio originale.
Ho intitolato questa serie The Skiable Landscape ("Il paesaggio dello sci"), poiché è stata proprio la capacità di ospitare le piste e le strutture per lo sci a essere decisiva nel destino di molte zone di montagna. Goos van der Veen