Luca Nichetto

Dalla grande installazione per Salviati – 53 totem e 20.000 vetri – a Ventura Centrale al progetto per Moooi con gli scarti del rivestimento dei divani, Luca Nichetto racconta la sua #MDW2017.

In medio stat virtus. La locuzione latina potrebbe ben interpretare la strategia professionale di Luca Nichetto, tra i pochi designer italiani ad aver saputo varcare i confini nazionali per aprirsi a un vero panorama internazionale. Nel farlo, ha più volte intercettato nuovi mercati difficilmente individuabili da una posizione radicata nella stanzialità.
Luca Nichetto, Ben Gorham: Salviati Decode / Recode, Ventura Centrale, via Ferrante Aporti 19-21. Photo Andrea Astesiano
In apertura: Luca Nichetto. Qui sopra: Luca Nichetto, Ben Gorham: Salviati Decode / Recode, Ventura Centrale, via Ferrante Aporti 19-21. Photo Andrea Astesiano
Il suo “guardarsi intorno” l’ha condotto a contesti dove la fascia media di utenza, dalla storica middle class nordica a quella emergente cinese, è tutta da scoprire. I suoi prodotti sono quindi spesso il frutto di una connessione tra persone e luoghi geografici che sono un po’ anche la sua autobiografia. I progetti che espone al Salone raccontano molto di questi anni di mobilità, personale e generale. Con quella punta di nostalgia per la propria terra che accompagna sempre le odissee di chi si apre al nuovo.

Domitilla Dardi: Veneziano, anzi, Muranese, hai scelto di dividerti tra Venezia e Stoccolma. Un po’ per ragioni familiari, per seguire tua moglie che è svedese e lavora come sarta al Teatro dell’Opera, e un po’ per scelta. Com’è avvenuto?

Luca Nichetto: Nella comunità del design italiano se non sei milanese, sei “straniero”. Allora ho deciso di fare di questo il mio punto di forza e di lavorare davvero all’estero da straniero e ho aperto una seconda sede del mio studio a Stoccolma.

 

Domitilla Dardi: E cosa hai trovato lì?

Luca Nichetto: In Scandinavia c’è ancora una classe media molto ampia e diffusa. Quello del design nordico è soprattutto un brand d’immagine perché le aziende scandinave nascono principalmente come evoluzione di Ikea che, grazie alla sua forza distributiva, ha invaso il mondo con un certo tipo di gusto nordico. Questo ha permesso la diffusione di un gusto, ma anche di tipologie di prodotto diverse rispetto a quelle mediterranee o orientali (pensa, per esempio, alle posate rispetto alle bacchette). L’altro punto fondamentale è che noi Italiani siamo estremamente viziati e abbiamo perso terreno.

Domitilla Dardi: In che senso?

Luca Nichetto: In Italia, abbiamo iniziato la nostra carriera con aziende a conduzione familiare, spesso con un referente unico col quale relazionarsi, cosa che nelle realtà internazionali non accade mai. Il problema è che siamo stati abituati troppo bene: per anni il mondo è venuto a bussarci a casa, senza fare alcuno sforzo. Ultimamente, lavoro spesso in Cina e lì mi sono reso conto di quanto siamo arroganti. Perché pensiamo che di design ce ne sia solo uno, il nostro, e siamo prevenuti.

Domitilla Dardi: Quando c’è stato il contatto con la Cina?

Luca Nichetto: Nel 2003 viene presentata O-Space, lampada a sospensione per Foscarini, che mi apre molte porte: arrivano Moroso, Kristalia e, nel 2013, i distributori cinesi di Foscarini che mi propongono una mostra a Pechino. Era aprile e la mostra doveva inaugurarsi a settembre. Chiedo una planimetria dello spazio e loro, dopo un iniziale tentennamento, mi rispondono che non l’avevano perché lo showroom era ancora tutto da costruire. Avevano solo uno spazio a disposizione di 600 mq in un parco nel centro di Pechino. Ho deciso di buttarmi. Era un progetto folle, ma in fondo fattibile. E soprattutto era un’occasione di quelle da non perdere. Questo mi ha aperto moltissimi contatti in Cina.

 

Domitilla Dardi: Per esempio?

Luca Nichetto: Due anni fa, mi contatta via Linkedin un’imprenditrice cinese di 34 anni, Shu Wei, laureata a Stanford, e mi propone di progettare per la sua azienda Zaozuo. Mi spiega che anche in Cina esistono due estremi: il design di alta gamma per un pubblico molto esclusivo e abbiente, e le (brutte) copie. Nel mezzo, il nulla. Mi chiede di pensare a una collezione che vada a coprire il mercato della nuova middle class emergente. Essendo io nato nel 1976, non ho potuto anagraficamente toccare quella classe media che ha costruito il design italiano dei maestri e mi sono reso conto che, quello che in Italia sarebbe stato oggi per me impossibile, poteva divenire reale in Cina. Pur con tutte le differenze e difficoltà del caso.

Domitilla Dardi: Cosa hai scoperto del modo di produrre cinese?

Luca Nichetto: Per esempio, che un’azienda lì non prototipa; non perché non voglia farlo, ma perché ogni loro “prova” produce minimo 20.000 pezzi (se si vuole lavorare su prezzi abbordabili). In questo risiede parte del problema della qualità del design cinese: saltare il passaggio della prototipazione vuol dire che, se hai fatto un buon progetto, puoi risparmiare ottenendo un prodotto di qualità; se il progetto invece è scarso o manca di definizione, immetti sul mercato pessimi prodotti.

Domitilla Dardi: Cosa ti ha insegnato la Cina?

Luca Nichetto: Stare fuori ha allargato la mia visione: ora vedo cosa posso fare bene in Italia e cosa invece posso realizzare all’estero perché in Italia mancano le condizioni. E poi, stare all’estero mi ha liberato dal peso dei maestri.

Domitilla Dardi: E dalla Svezia cosa hai imparato?

Luca Nichetto: La pianificazione. Qui hanno un “piano A” perfetto, ma se c’è un imprevisto si blocca tutto. Il limite di quando vivi in una società che funziona, è che rischi di diventare pigro. In questo caso, la nostra capacità di reazione fa la differenza.

Domitilla Dardi: Alcuni tuoi colleghi direbbero che lavorare in Cina non è deontologicamente etico e andrebbe evitato...

Luca Nichetto: Se parliamo di deontologia e se volessimo essere integralisti, allora al Salone vedremmo tutti prodotti mutilati. Ma non c’è bisogno di andare in Cina per trovare modi scorretti di lavorare. In Italia si lavorava solo col cromo esavalente perché era più brillante, mentre in Svezia, quando sono arrivato, era bandito già da 15 anni in quanto cancerogeno. Il punto è un altro. Io penso che se oggi insegno ai Cinesi un certo tipo di progetto, poi loro non realizzeranno più copie. Non dimentichiamoci che il Veneto era la Cina della Brianza: copiavano tutto. Poi si sono evoluti e dalla copia sono passati a comprendere certe dinamiche e acculturarsi. Messa in grande scala, questa è la storia che riguarderà anche la Cina. Non credo allora di andare lì solo per prendere, ma anche per dare qualcosa.

Domitilla Dardi: Cosa pensi del design limited edition?

Luca Nichetto: Ritengo che anche quando un designer lavora per una galleria poi il risultato dovrebbe confluire nel suo progetto seriale. Perché il design non è arte. E per fare questo genere di ricerca non è detto che l’unico interlocutore sia una galleria. Quest’anno, per esempio, al Fuorisalone realizzeremo con Salviati un’installazione di 700 mq a Ventura Centrale. È una collaborazione con Ben Gorham, che viene dal mondo lifestyle dei profumi di Byredo. Il risultato è una grandiosa installazione con 53 totem e 20.000 vetri che verranno modulati seguendo due linee guida: l’impilaggio del vetro e il layering con filtri stratificati di materiale. Da questo potranno generarsi varie tipologie di prodotto derivate dall’aver spinto al massimo le capacità di Salviati, riportandoli al loro fare artigianale più sperimentale.

 

Domitilla Dardi: L’Italia è sempre molto presente nei tuoi progetti, sia quando lavori con aziende straniere che con quelle nostrane.

Luca Nichetto: Negli ultimi anni, da quando sono diventato papà, la sensazione di essere immigrato e l’amore per la mia nazione si sta facendo sentire come un richiamo fortissimo. La scorsa primavera, ero a Venezia e osservavo come molte persone si siedono a chiacchierare sulle prue delle barche lagunari che hanno colori vivaci e portano stampato il nome. Erano tre anni che Marcel Wanders mi chiedeva un progetto per Moooi e proprio lì mi è venuta un’idea perfetta. Ho pensato a una poltroncina per l’hotellerie che riuscisse a utilizzare le strisce di scarto del rivestimento dei divani, che ricorda proprio le assi colorate delle barche lagunari. Inoltre, m’interessava disegnare pensando al retro della poltroncina, che ricorda la prua di una barca, perché di solito siamo abituati a considerare quasi esclusivamente la vista frontale, mentre in realtà, molto più spesso, è il retro quello che resta visibile (pensa ad esempio alle poltroncine intorno a un tavolo).

Domitilla Dardi: Lavori mai utilizzando fornitori italiani per progetti internazionali?

Luca Nichetto: L’Italia è unica per la sua rete di fornitori e questa per me è una base irrinunciabile. Di recente Pepsi mi ha chiesto di enfatizzare il concetto di Pure Leaf, un loro prodotto a base di tè biologico. Tutto il progetto è basato sul mio network: ho progettato un set per il rito del tè freddo dove i bicchieri sono realizzati a Murano da NasonMoretti, il vassoietto in Canada da Mjolk e i miscelatori a New York da OTHR, esperti in stampa 3D. Quindi nel set ci sono sostanzialmente tre realtà produttive indipendenti, unite dalla mia esperienza personale.

Domitilla Dardi: Allora parte del tuo lavoro è proprio essere il connettore di realtà apparentemente lontane. È la teoria di “Sei gradi di separazione”...

Luca Nichetto: Una delle cose più belle del mio lavoro è proprio sapere che attraverso il mio lavoro collaborano persone geograficamente distanti, ma accomunate da una stessa visione del progetto. Come è accaduto per una lampada fatta per Mjolk: la base è realizzata a Murano, il cappello in Canada e l’abbiamo assemblata a Stoccolma. Non a caso l’ho voluta chiamare Reunion!

© riproduzione riservata

4–9 aprile 2017
Luca Nichetto

Canal Chair for Moooi
Area 56, via Savona 56
con Ben Gorham: Salviati Decode / Recode
Ventura Centrale, via Ferrante Aporti 19-21

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