Sabine Marcelis

Dalle lampade in marmo per Bloc Studios agli specchi all’Atelier Clerici: per Sabine Marcelis la sfida è fare amicizia col materiale e ascoltarne profondamente il suggerimento. #MDW2017

Sabine Marcelis Bloc Studios
Mettere in risalto le qualità di una materia è un’arte di equilibrio. Sabine Marcelis, giovane progettista olandese con collaborazioni importanti al suo attivo, utilizza forma, colore e luce per ottenere questo risultato. La novità non è quindi negli strumenti, ma nelle quantità che Sabine ha imparato a dosare, un po’ attraverso l’esperienza e molto grazie a una sensibilità naturale.
I tagli puri dei volumi di un blocco di marmo, per esempio, vengono attraversati da cerchi luminosi che ne esaltano le venature, tracce che raccontano la sedimentazione del tempo e che divengono leggibili come linee della mano per il chiromante. È quanto emerge dal lavoro per Bloc Studios nel progetto Marble Matters, per il quale ha disegnato le Voie Lights, collezione di tre lampade che fanno vivere la magia del marmo grazie al passaggio del neon. Ogni volta la sfida è quella di fare amicizia col materiale e ascoltare profondamente il suggerimento che questo offre. Come quando Marcelis lavora col vetro, una delle sue materie prime d’affezione, che la designer riconduce sempre alla sua natura primigenia, liquida. La sua installazione per Frame-Aesop ne è una chiara esemplificazione: ancora una volta la luce fa da reagente per rivelare la traslucenza e la fluidità del vetro.

 

Domitilla Dardi: In molti tuoi lavori compare il vetro. Cosa ti attrae di questo materiale?

Sabine Marcelis: Amo sia il vetro sia la resina, materiali che nascono liquidi e divengono solidi, ma sempre mantenendo la memoria di quella liquidità primordiale. Sono materie prime che puoi cercare di controllare, giocando sulla loro lucentezza o opacità. In generale, quello che m’interessa sono le materie che possono avere un passaggio “on-off”, un cambiamento, una trasformazione. Questo mi permette di fare risaltare il fatto che nei miei oggetti c’è sempre qualcosa di vitale. Uno dei miei progetti di tesi, per esempio, era un tavolo realizzato con un vetro che poteva diventare trasparente o opaco, cambiando a seconda delle occasioni o delle fasi della giornata. Dimostrava che per me un oggetto, anche se non è cinetico, è in realtà sempre in movimento. Basta guardare come reagisce allo spazio circostante, alla luce naturale o artificiale.

Domitilla Dardi: Infatti la relazione tra oggetto, spazio e persona è centrale in molti tuoi lavori. Penso, per esempio ai tuoi specchi e a come lavorano sulla rifrazione.

Sabine Marcelis: Lo specchio sembra un oggetto molto semplice, ma in realtà si rivela quando accade qualcosa. È lì che si genera un piccolo momento di meraviglia, qualcosa d’inaspettato che cattura la tua attenzione. Fino a quel momento era un semplice oggetto, ma quando tu inizi a muoverti nello spazio, la tua interazione con esso crea la sorpresa e lì accade qualcosa. Generare questa dinamica con gli oggetti m’interessa molto.

 

Domitilla Dardi: Rispetto ai progettisti della tua generazione, infatti, non sembri molto concentrata sulle potenzialità tecnologiche, quanto su un’interazione basica; perché?

Sabine Marcelis: È vero, non sono interessata a utilizzare una tecnologia spettacolare. Penso che si possa essere estremamente efficaci utilizzando solo due strumenti: luce e vetro, oppure spazio e specchio. Per me ha molto a che fare con il concetto di limite, di condizione restrittiva che definisce a volte il progetto; è in questo che il progetto viene attivato a dare il meglio.

Domitilla Dardi: Che tipo di percorso formativo hai seguito?

Sabine Marcelis: Sono nata in Olanda e poi emigrata con i miei genitori in Nuova Zelanda. Ho vissuto lì tutta la mia adolescenza e durante il liceo mi sono dedicata molto allo snowboard: è stato davvero il mio primo amore! Contemporaneamente ho sempre voluto fare delle cose con le mie mani: facevo piccoli gioielli e borse e li vendevo nel negozio di fiori dei miei genitori. Poi, sono tornata in Olanda dove ho preso la laurea in Industrial design e completato i miei studi a Eindhoven. Il mio progetto di laurea era un set per realizzare il vino a casa: ero intrigata dal fatto che il processo per realizzare il vino fosse così bello, ma gli strumenti per renderlo possibile fossero così brutti. Ero affascinata dalla trasformazione degli elementi, dalla fermentazione. Poi nel 2012 ho aperto un mio studio.

Domitilla Dardi: Di recente, hai collaborato in diverse occasioni con lo studio OMA e anche al Salone 2017 sei intervenuta nello stand per Knoll firmato da loro. Come si svolge questa collaborazione?

Sabine Marcelis: OMA mi ha dato l’opportunità di essere coinvolta nel progetto per Knoll sin dallo scorso anno. Anche se non sono un architetto, e quindi non m’interessa creare lo spazio nella sua interezza, amo la collaborazione con questi architetti esperti coi quali troviamo un nostro modo di unire le reciproche specificità in una sorta di materioteca comune. Mi piace anche lavorare in una dimensione effimera, nella quale posso contribuire con una piccola iniezione della mia visione progettuale senza dover pensare che questo debba durare per sempre.

 

Domitilla Dardi: Preferisci lavorare su committenza o in autonomia?

Sabine Marcelis: Dopo gli show al museo Boijmans a Rotterdam e a Design Miami ho ricevuto moltissime committenze private. Questo mi ha dato l’opportunità di conoscere le case, le persone, le loro collezioni, i loro gusti in modo da creare qualcosa di molto specifico per ciascuno. Non mi piace progettare un oggetto che può andare bene ovunque: amo, al contrario, poter rispondere a un contesto e una condizione peculiare.

Domitilla Dardi: Quanto è importante per te la funzionalità?

Sabine Marcelis: Ovviamente, il design deve essere funzionale, ma cosa s’intenda per funzionale dipende molto anche dal mercato di riferimento. Se penso alle persone con le quali collaboro e per le quali disegno ritengo che la questione estetica sia estremamente funzionale e primaria. M’interessa la funzione a partire dall’esperienza del fruitore. Ma non si tratta di industrial design. Per funzione è anche come gli oggetti si relazionano con lo spazio, tra di loro e con l’utente. Per me, è importante conoscere come si esperiscono gli oggetti.

Domitilla Dardi: Finora non hai mai lavorato per la serie industriale. È un campo che non ti attrae o, semplicemente, ancora non c’è stato l’incontro giusto?

Sabine Marcelis: Non sono interessata alla produzione di massa e a lavorare per le industrie. Questo perché da un lato non voglio contribuire ad aumentare la quantità di cose che già esistono in un mondo che non necessita di altro. Dall’altro lato, preferisco concentrarmi su poche cose, davvero speciali. Penso che produrre merci in quantità sia un obiettivo che molti designer possano perseguire molto meglio di me. Io ho bisogno del mio tempo e quindi progettare serie molto piccole di cose speciali è quello che mi addice di più.

Domitilla Dardi: Quali sono i campi del progetto sui quali ti piacerebbe intervenire?

Sabine Marcelis: Mi piacerebbe disegnare accessori per la moda: scarpe in edizione limitata o occhiali da sole. Al tempo stesso, l’opportunità di lavorare su una scala più grande come quella architettonica mi ha fatto capire che vorrei proseguire in questa direzione più installativa. Magari anche lavorando su scenografie teatrali o per il mondo musicale, con artisti o musicisti. Ma, in generale, mi piace collaborare con persone che sono piene di talento nella loro disciplina e poter imparare da loro un approccio differente alle cose. Il bello delle collaborazioni di gruppo, dove ognuno ha la sua specificità, è che si possono creare cose più grandi di quelle che ognuno potrebbe fare da solo. Non si tratta solo di addizionare competenze, ma di creare insieme qualcosa di più grande.

© riproduzione riservata

3–9 aprile 2017
Sabine Marcelis

Lucent
Foyer Gorani, piazza Gorani 5/6
Marble Matters

Martina Gamboni, Piano attico (10° piano), via De Amicis 19
Clock. Light. Mirror. Deux mirrors

Atelier Clerici, Palazzo Clerici, via Clerici 5

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