Antonella Dedini: L’idea è nata da un documentario che abbiamo visto due anni fa, durante la Biennale di Venezia 2012 – nell’ambito di un evento portato dalla fondazione americana Design Onscreen che si occupa di produzione, esecuzione e conservazione di importanti pellicole cinematografiche sull’architettura e il design.
Questa fondazione aveva portato a Venezia diversi film; ho assistito per caso a una proiezione, non conoscevo, diciamo, questo tipo di strumento per far comprendere il mondo del progetto. Era un film su Carlo Scarpa (The Architecture of Carlo Scarpa, 1996, regia Murray Grigor, 57 min. ndr), che raccontava molto bene tutto il suo mondo attraverso interviste fatte agli artigiani con cuo lavorava. Poi conobbi il presidente di Design Onscreen e gli chiesi aiuto per portare il documentario al festival.
Domus: Delle tre discipline del progetto che vengono raccontate attraverso il festival – cioè architettura, design e anche città (urbanistica) – quale secondo voi quella si presta meglio al racconto attraverso questo tipo di linguaggio?
Silvia Robertazzi: Credo che siano tutte raccontate in modo efficace. Noi riteniamo che il linguaggio audiovisivo sia il futuro dell’informazione. Analogamente alla parola, che si declina in prosa, poesia, racconto, notizia, articolo, anche l’audiovisivo si declina in tanti modi: può essere una pubblicità, ma anche uno spot musicale, un cortometraggio, una fiction; può essere fatto per la televisione, per la web TV, per la televisione on demand o per il web informativo.
Racconteremo anche questo al festival nel corso dei workshop: per esempio, ci sarà un video su un progetto di design che racconta come un oggetto viene pensato, prodotto in diverse fasi e come, successivamente, è ambientato nelle case. Il video riesce a raccontare, magari in due o tre minuti, cosa c’è dietro al progetto, e lo fa comprendere in una maniera così immediata da far vedere un certo oggetto in modo diverso.
L’urbanistica è sempre un’occasione per affrontare punti di vista molteplici. L’anno scorso abbiamo proiettato il film The Human Scale in cui è ben raccontato il pensiero dell’urbanista Jan Gehl. Il film è anche un’occasione di denuncia sociale, un racconto efficace della percezione che le persone hanno della città che abitano.
Domus: Come raccogliete questi documentari, qual è il sistema che li produce e li distribuisce?
Antonella Dedini: La fase della ricerca è la più bella e interessante. C’è una redazione, in cui oltre a me e Silvia, c’è la grande cura di Porzia Bergamasco, che oltre a essere giornalista è artista del design, e l’occhio di Letizia Cariello, un’artista contemporanea che lavora sul linguaggio e nella prossima edizione del festival curerà una sezione su architettura e musica. Quindi la ricerca è fatta da me e Silvia con i curatori, attraverso vari canali. Si va ai festival internazionali – come Montreal, la Berlinale, Cannes e Venezia –, non solo di settore; i festival del nostro settore nel mondo sono molto pochi, 6 o 7. L’anno scorso Sacro GRA ha vinto a Venezia, noi lo avevamo richiesto prima del premio, e l’abbiamo presentato alla prima edizione del festival.
Non ci sono case di produzione dedicate a questo mondo, di solito sono le stesse case di produzione o distribuzione del grande cinema. Abbiamo due persone che si occupano solo di questo e paghiamo, come di norma, i diritti d’autore.