La rivoluzione del design di Shenhzen

L'apertura del Shekou Design Museum a Shenzhen, prevista nel 2017, in partnership con il V&A potrebbe ratificare la transizione della città da incubo dickensiano a polo creativo.

Sergey Ivanov, Shenzen, 2011
In tre decenni della sua vita di metropoli Shenzhen non ha trovato molto tempo da dedicare allo sviluppo di un’infrastruttura culturale.
Questa città di 18 milioni d’abitanti nel Sud della Cina – non più di un villaggio di pescatori prima che Deng Xiaoping vi introducesse la sua riforma liberista nel 1979 – deve la sua fama alla condizione di luogo simbolico della produzione industriale di un paese che produce e monta circa il 90 per cento dell’elettronica mondiale. Ma intanto il contributo della città al dibattito internazionale è molto più limitato. Almeno a prima vista.
In buona misura Shenzen è il genere di luogo che agli stranieri scettici sullo sviluppo della Cina – compresi quelli dell’altra riva, quelli di Hong Kong – piace denigrare. Identità urbana a zero, folle di lavoratori incolti, architettura generica e paesaggio inquinato: tutti questi fattori si prestano facilmente a ritrarre la città come un posto deprimente, alla Dickens. La durezza delle condizioni di lavoro in aziende come la Foxconn, produttrice di elettronica che rifornisce società come Apple e HP, per molti non è che la conferma di questa opinione.
Ma in continente le cose appaiono molto diverse. Lontana dalle élite politiche, economiche e culturali di Pechino e di Shanghai, Shenzhen può apparire come un luogo di libertà populista per le masse contadine, molto più aperta agli imprenditori, compresi quelli del settore culturale. C’è la possibilità di un’ ‘innovazione’ alla cinese e l’assenza di regole predefinite fa di Shenzhen un bel posto per molti. Mentre a poco a poco la regione del delta del Fiume delle Perle passa dalla produzione in serie alle attività dei terziario e all’artigianato, Shenzhen inizia a distinguersi come polo della creatività.
Xiquinho Silva, 2009
Top: Sergey Ivanov, Shenzen 2011. Above: Xiquinho Silva, Shenzen, 2009. Both images from flickr under creative commons license
Innumerevoli città del mondo vantano il delinearsi di uno scenario di piccole imprese e studi di design: in realtà si tratta delle condizioni prevalenti del marketing urbano contemporaneo che si ispira a Richard Florida. Tuttavia pochissime delle stesse metropoli possono unire a questa presenza creativa una base produttiva colossale come quella di Shenzhen: tanto più notevole in quanto uno dei settori di ricerca più redditizi del prossimo futuro si chiama Internet delle Cose. Già oggi Shenzhen totalizza uno dei PIL pro capite più alti della Cina, paragonabile, secondo i dati della Brookings Institution, a quello di Lisbona e di Budapest. È qui che la “Rivoluzione del design cinese”, come l’ha definita Lorraine Justice in un celebre libro del 2012, sta avendo luogo.

Finora, però, Shenzhen non ha mostrato grandi qualità culturali di livello mondiale, o comunque lo ha fatto solo in collegamento con Hong Kong. A parte un’esplosione di biennali e triennali sperimentali, certi studi d’architettura come Urbanus e la sede locale delle rete nazionale dell’OCAT la città viene identificata come un’area produttive poco interessante, come nei ritratti tipologici alla Edward Burtinsky, più che come una metà di ricerca culturale.

L’inaugurazione del Museo del design di Shekou, prevista per i primi mesi del 2017, rappresenta un’onda di marea che preannuncia il cambiamento. La novità dà una sostanziale scossa allo scenario, perché il nuovo centro, che intende offrire alla classe lavoratrice di Shenzhen un polo culturale di livello mondiale, sarà direttamente associata, almeno per i primi anni di vita, con una delle istituzioni più autorevoli d’Europa: il britannico Victoria & Albert Museum.

Connie, Shenzen
Connie, Shenzen, 2008. Image from flickr under creative commons license
Il Museo del design di Shekou fa parte dell’iniziativa più vasta di uno dei principali protagonisti della finanza e dell’edilizia cinese: il China Merchants Group (CMG). Shekou è il nome di un quartiere che sta subendo un massiccio processo di ristrutturazione, la cui ubicazione accanto al collegamento dei traghetti tra il continente e Hong Kong ne fa una scelta commerciale conveniente oltre che un’accorta affermazione geopolitica. Il risultato finale dell’investimento della CMG sarà un gigantesco complesso dedicato al libero commercio, dotato di spazi di vendita e di parecchi spazi espositivi che costituiranno il Seaworld Arts and Culture Centre. Tra questi ultimi quello gestito dal Victoria & Albert avrà una posizione di punta. Il museo sarà ospitato in un edificio progettato dallo studio d’architettura giapponese Maki & Associates, attualmente in costruzione. 
Maki and Associates, Shekou Design Museum
Maki and Associates, Shekou Design Museum
Nonostante la somiglianza con altri progetti già inaugurati oppure attualmente in corso di costruzione – e in ritardo – in altri luoghi (il Guggenheim e il Louvre di Abu Dhabi sono gli esempi più ovvi) il Museo del design di Shekou è qualcosa di diverso. Il Victoria & Albert è stato invitato a partecipare alla realizzazione del nuovo centro, ma non intende aprire una succursale nel Sud della Cina. Anzi, questa collaborazione tra la statale CMG e il Victoria & Albert, istituzione pubblica che riceve circa il 60 per cento dei fondi dallo Stato britannico, difficilmente potrebbe essere definita una forma di ‘collaborazione intergovernativa’ applicata al settore culturale. L’impegno del partner londinese sarà provvisorio, durerà fino al 2019 e ufficialmente si regge su tre pilastri. I primi due riguardano la fornitura di servizi di consulenza su questioni di gestione museale e l’allestimento di un paio di mostre itineranti. La terza, forse quella più ambiziosa, riguarda la realizzazione della V&A Gallery, un museo del design contemporaneo che esporrà pezzi internazionali provenienti dall’enorme collezione permanente della casa madre. Quel che i tre pilastri dovrebbero sorreggere è l’espansione della portata del marchio britannico sul mercato asiatico, con l’aspettativa che un maggior numero di visitatori cinesi facciano sosta in Cromwell Road nel loro prossimo viaggio nella capitale inglese.
Maki and Associates, Shekou Design Museum
Maki and Associates, Shekou Design Museum
In una serie di conversazioni in esclusiva con Domus Ole Bouman, fondatore e direttore del Museo del design di Shekou, e due delle figure principali della V&A Gallery – Luisa Mengoni e Brendan Cormier – hanno svelato le sfide e gli obiettivi più importanti di questa impresa, i cui particolari non sono stati ancora annunciati. Il progetto non rappresenta solo la prima cooperazione internazionale del Victoria & Albert, ma anche uno dei più importanti progetti culturali che colleghino Cina ed Europa. Non c’è da sorprendersi che Xi Jingping e il principe britannico William si siano incontrati per contemplare i primissimi pezzi selezionati per la V&A Gallery di Shenzhen, come la Sedia di plastica in legno di Maarten Baas, in occasione della solenne visita del presidente cinese a Londra alla metà di ottobre.

“Il nostro punto di vista sarà diverso da quello della maggior parte dei musei, non sarà tanto concentrato sugli oggetti, sugli autori, sulle acquisizioni e sulle altre categorie della pratica museale”, dichiara Bouman, architetto olandese già direttore del Nederlands Architectuurinstituut e curatore nel 2013 della 5a Biennale Bi-City Shenzhen/Hong Kong: “Cercheremo di concentrarci su valori, questioni, emergenze, e quindi di metterci in sintonia con la realtà. Shenzhen è il luogo perfetto per questo scopo perché da quando ha cominciato a crescere trentacinque anni fa ha superato qualunque categoria urbanistica esistente”.

“Il nostro obiettivo è creare a Shenzhen qualcosa di simile a ciò che abbiamo a Londra: un polo di manifestazioni, non solo uno spazio espositivo”, aggiunge Mengoni, curatrice di origini italiane e studiosa d’arte cinese. “Contemporaneamente il nostro museo deve affrontare l’eccezionale complessità del discorso contemporaneo del design in Cina, che sta attraversando contemporaneamente tutte le fasi che abbiamo vissuto nella storia europea dal XX secolo a oggi: quella industriale, quella postindustriale e quella digitale, l’attenzione alla tradizione e il desiderio di ottenere un’identità sovranazionale.”

Maki and Associates, Shekou Design Museum
Maki and Associates, Shekou Design Museum

Mengoni ha il ruolo di direttrice della V&A Gallery, i cui oggetti sono stati scelti dagli archivi del Victoria & Albert, tra gli altri nei dipartimenti di Arredamento e Design di prodotto, Moda, Fotografia, Teatro e performance. “Considero il nostro lavoro in questo centro espositivo come una ricerca sul nostro modo di misurare il valore delle cose, punto cruciale per la cultura del progetto contemporanea in Cina”, afferma Cormier, canadese d’origine e primo curatore della collezione di design contemporaneo. “L’affermazione della borghesia sta delineando nuovi stili di vita nella società. E intorno a questo fenomeno parecchio di quel che accade ha a che fare con il design. Negli affari, nella percezione di questa attività da parte del governo e anche nel mondo della formazione.”

“Quel che spesso prevale nel paese è una concezione del design orientata al consumatore, nel senso che il design viene considerato uno strumento per dare visibilità a una condizione sociale”, prosegue Cormier. “Con il nostro lavoro speriamo di favorire una percezione pluridimensionale. I designer trovano legittimazione a vari livelli, e perciò stiamo lavorando a un percorso espositivo che li incrocerà tutti, tenendo conto di variabili come l’identità, l’innovazione dei materiali, il problem solving, le strategie di comunicazione e la bellezza.”

La Cina conta oggi due milioni di designer ma non ha una cultura progettuale altrettanto sviluppata

L’istituzione del Museo del design di Shekou mira anche a influire sul dibattito nazionale in materia di formazione al progetto. “Da una parte il Partito Comunista ha investito massicce risorse nella gestione delle scuole di design. D’altro canto il modello di business a livello industriale è rimasto inalterato. Il risultato è che la Cina di oggi conta due milioni di designer ma non ha una cultura progettuale altrettanto sviluppata”, afferma Mengoni. Coma ha testimoniato il più recente Global Grad Show di Dubai, tra molti altri esempi, gli studenti di design cinesi che raggiungono il successo sono sempre più numerosi. E tuttavia, quando vogliono lavorare nel loro paese è probabile che debbano affrontare un mercato profondamente conservatore.

“Molte imprese cinesi trovano ancora più conveniente copiare il design occidentale e rifarlo a prezzi inferiori”, dice Cormier: “Se solo un piccola parte di quei due milioni di designer volesse fondare nuove società dovrebbe convincere i produttori a investire finalmente sul design. Ed è qui che la nostra presenza vuol essere di qualche aiuto. È interessante notare che qualcosa di simile è accaduto all’inizio del Novecento in America. All’epoca, di punto in bianco, per ottenere buoni risultati di mercato i designer hanno dovuto trasformarsi in narratori”.

Quale storia racconterà la V&A Gallery? Una prima panoramica dei 250 oggetti selezionati, scovati grazie a uno dei frequenti post di Cormier su Instagram, non mostra alcuna intenzione di sottovalutare il ruolo critico dell’Europa e dell’America nel conferire al XX secolo la fisionomia del ‘secolo del design’. Contemporaneamente i curatori dedicano grandi energie a costruire una collezione che è una sfida alla prospettiva occidentalizzante. Pur navigando nei depositi di arti applicate asiatiche conservati a Londra, le cui origini risalgono all’epoca coloniale vittoriana, lavorano anche a stretto contatto con designer, intellettuali e artisti cinesi. Negli scorsi mesi Cormier e Mengoni hanno viaggiato per tutta la Cina, incontrando esponenti del design, della tecnologia e delle nuove imprese. La loro permanenza nella regione del delta del Fiume delle Perle, documentata sul blog del Victoria & Albert, individua questo panorama volatile e mutevole in una Shenzhen meno controllata da attori istituzionali di quanto non lo siano città come Pechino, Shanghai, Hangzhou e perfino Hong Kong.
Maki and Associates, Shekou Design Museum
Maki and Associates, Shekou Design Museum
Il diffuso e popolare dinamismo manifatturiero di Shenzhen – rappresentato da figure come Li Ta-wei, fondatore dell’importantissimo laboratorio di maker di Xinchejian, e Hao (Eric) Pan, uno dei padri della Makers Faire di Shenzhen – fa sembrare la città il luogo adatto a preannunciare il futuro della creatività. L’arte nobile della Cina del XXI secolo forse viene da Pechino; i marchi del lusso di domani da Shanghai. Ma se la Cina può coltivare una significativa cultura del progetto, indirizzata allo stretto rapporto tra oggetti e servizi, il luogo più fecondo è Shenzhen. Il fatto che nel settore dell’informatica i più importanti produttori di acceleratori fisici come HAX e Highway1 abbiano sedi e tengano corsi di formazione tanto a San Francisco che a Shenzhen è il segnale di un legame sempre più forte tra la grande industria e i giovani maker di due luoghi distanti.
All’osservatore occidentale che ancora fatica a cogliere lo spirito di Shenzhen si può suggerire di pensare al contrasto tra la Londra di oggi e la Manchester dell’Ottocento, e magari di considerare l’identità sfrenata di una metropoli come Los Angeles all’inizio degli anni Sessanta. “Di certo realizzare un museo del design qui è un atto liberatorio”, confessa Cormier. “Il design in Cina viene considerato sempre più uno strumento per risolvere grandi problemi, dall’urbanesimo alla tutela dell’ambiente, alle questioni sociali. E Shenzhen è una base molto stimolante per queste riflessioni”, aggiunge Mengoni.

Il successo del Museo del design di Shekou si potrà misurare solo nel lungo periodo, non solo come progetto curatoriale ma anche in quanto piattaforma per la trasformazione dello spazio urbano ed economico della regione del delta del Fiume delle Perle. La presenza del Victoria & Albert sarà cruciale per eliminare gli squilibri culturali tra Shenzhen e altre città di primo piano. “A Pechino e a Shanghai si può contare sulla fedeltà di una cittadinanza che darà vita a un pubblico di visitatori dei musei” spiega Cormier: “A Shenzhen il compito vero è costruire da zero questa cittadinanza. Anche questo fa parte della nostra missione, consistente nel favorire la crescita di una cultura del progetto”.

“Da un certo punto di vista si parla di Shenzhen come di un ‘deserto culturale’ per l’assenza della tipica infrastruttura della cultura”, afferma Bouman; “Tuttavia, se diamo prima di tutto uno sguardo alla spinta di emancipazione della città e di conseguenza alle innumerevoli vie in cui quest’impulso trova strade creative nel settore della cultura, diventa evidente che il futuro appartiene a Shenzhen”.

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