Dare anima all’artificio

Per raccontare la complessità della cucina, Germano Celant e Silvana Annicchiarico, curatore e direttore dell’ottavo Triennale Design Museum, hanno scelto la dimensione degli elettrodomestici.

Su questo argomento vedi anche L’epos distopico degli elettrodomestici di Silvana Annicchiarico, pubblicato su Domus 990 aprile 2015.

 

La cucina è più di uno spazio dove si prepara e conserva il cibo da consumare: è un crocevia ad alto tasso simbolico di quello che siamo, che appariamo, che vorremmo essere.

Per raccontarne la complessità Germano Celant e Silvana Annicchiarico, curatore e direttore impegnati nell’ottava edizione del Triennale Design Museum, hanno scelto l’angolazione che forse più di ogni altra illumina la trasformazione dalla cucina artigianale a quella industrializzata: la dimensione degli elettrodomestici. Utilizzando la felice metafora degli Ultracorpi, presi a prestito dal romanzo di Jack Finney e dal film di Don Siegel del 1956, Celant fa di questa narrazione sotto forma tipologica una grande epopea dell’evoluzione del fare. Gli elettrodomestici infatti sono più di servi muti che mettono in atto un’azione; essi divengono protesi che amplificano una capacità infrangendo la barriera tra naturale e artificiale.

Arts & Food TDM8
In apertura: la mostra “Arts & Food” nel giardino della Triennale. Al centro, Sarah Lucas, Florian and Kevin, 2013, London, Courtesy Sadie Coles HQ; a destra, Paul McCarthy, Daddies Tomato Ketchup Inflatable, 2007, Courtesy of the artist and Hauser & Wirth, London/Zurich; a sinistra, Renzo e Matteo Piano, Piano Antico Table, Riva1920; in fondo, Giorgio de Chirico, Bagni Misteriosi, 1972-73. Photo © Attilio Maranzano. Sopra: TDM 8 Cucine & Ultracorpi. Photo Gianluca Di Ioia
Sono alieni solo apparentemente a nostro servizio, sebbene il sospetto sia che ci osservino e parlino tra loro ancora prima che con noi. Lungo l’articolato percorso di mostra l’impressione è che, dietro a una apparentemente asettica e scientifica elencazione per generi e tipi, aleggi una lettura animista dell’oggetto che si fa strada in maniera sempre più decisa. L’inanimato prende vita nella maniera più urgente sin dall’inizio del percorso con la sezione dedicata agli allarmi: una galleria stroboscopica fatta di segnali di pericolo ci ricorda quanto l’uso dell’ultracorpo debba essere condotto con cautela. I dati statistici, infatti, dicono che i due quinti degli incidenti domestici avvengono in cucina. 
Arts & Food
Vista della mostra “Arts & Food”. Le Corbusier, Mobilier Cuisine Atelier Le Corbusier Type 1, 1955. Centre Pompidou, Musée national d’art moderne / Centre de création industrielle. A sinistra Le Corbusier, Nature morte au hachoir, 1928, Fondation Le Corbusier; still del documentario Architecture d’aujourd’hui, 1930. Photo © Attilio Maranzano
Altrettanto efficace memento al pericolo è nella sezione dedicata alle lame dei robot da cucina. La relazione con l’umano è presente in tutto il racconto fortemente intriso di riferimenti sensoriali che conducono a un effetto costante di sinestesia: il freddo dei frigoriferi, il caldo dei fuochi, l’olfatto delle caffettiere e delle macchine per il compost per le quali l’imperativo categorico del riciclo contemporaneo non può più fare a meno. “Teatralizzata e diversamente animata – sostiene Annicchiarico – la cucina disegna una pluralità di paesaggi possibili, polimaterici e plurisensoriali”. E dei cinque forse il senso più progettato in mostra è quello dell’udito. Da quando John Cage si esibì nel suo 27 sounds manufactured in a kitchen – vero concerto per posate e pentole ricordato in catalogo da un bellissimo saggio di Patrizia Scarzella – il rumore domestico accompagna le nostre vite come una colonna sonora di fondo che, per l’occasione, è stata riscritta dal designer-musicista Lorenzo Palmeri in una partitura che immerge il visitatore nel mondo sonoro del nostro vissuto.
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Vista del Triennale Design Museum 8 “Cucina & Ultracorpi”, Triennale di Milano. Photo Gianluca Di Ioia
Il grande caleidoscopio degli ultracorpi parla e narra molto di noi attraverso di sé anche grazie alle straordinarie invenzioni allestitive di Italo Rota. Ultracorpi a loro volta, installazioni dove la parte sta per il tutto, affabulatrici e piene di immaginazione più letteraria che tecnica. Un abaco diviso per sottocategorie tipologiche che “spingono la persona a transitare da un oggetto all’altro, trasformando la cucina in un’entità abitata da protesi con cui la condizione corporale e comportamentale deve sintonizzarsi” (Celant). Se costante è il riferimento alla science fiction degli anni ’50 e ’60 – non a caso gli anni in cui l’elettrodomestico sboccia in tutta la sua potenza – sotteso è l’eco del passato, in particolare del delicato momento in cui l’uomo si è confrontato con la ragion pratica del passaggio dal fatto a mano al fatto a macchina. L’Ottocento è il momento epico nel quale i nodi vengono al pettine: qui il bivio si divide tra la macchina come super corpo, protesi che amplifica le potenzialità naturali; e l’artificiale che è oltre il corpo, l’alieno, l’altro da sé accompagnato da tutto il timore che questo può generare. È quello che già nel 1817 la geniale Mary Shelley aveva identificato come il mostro della meccanizzazione, quel Frankenstein troppo artificiale per essere integrato e troppo umano per non muovere un desiderio animista.
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Vista del Triennale Design Museum 8 “Cucina & Ultracorpi”, Triennale di Milano. Photo Gianluca Di Ioia
Accanto a questi temi portanti scorrono piani di lettura paralleli e altrettanto interessanti: quello della pubblicità, intesa sia nel senso della storia della grafica, sia di quella del costume sociale. In particolare, in quest’ultimo caso, strettamente intrecciata alla storia dei diritti civili delle donne e alla loro posizione in una società che storicamente le vede protagoniste dell’ambiente cucina, confine dorato di più ampie ambizioni, e quindi referente primario del messaggio pubblicitario. Ovviamente in mostra non mancano materiali storici di ampia provenienza. La dimensione postmoderna del labirinto enciclopedico mette in dialogo molti riferimenti, passando con disinvoltura dai frigoriferi storici alle unità di Sottsass per The New Domestic Landscape, dalle centinaia di varianti di utensili meccanici agli apparecchi per compostaggio di Gabriele Fiocco dall’estetica primitiva e basica.
Arts & Food
Vista della mostra “Arts & Food”. Volskwagen Samba 23 Vetrini, 1961, C.M.A.E. Club Milanese Autoveicoli d’Epoca, Milano; (all’interno) camicie e tessuti originali anni’60-’70, Collezione Italo Rota; (a destra) James Klosty, “John Cage searching mushrooms”, 1972, courtesy of the artist. Photo © Attilio Maranzano
Un dato emerso dai saggi in catalogo merita una riflessione che trapela anche nelle scelte curatoriali: i tre progetti maggiormente citati sono la Frankfurt Kitchen di Margarete Schutte-Lihotzky, la Casa Elettrica di Figini e Pollini e la Mini Kitchen di Joe Colombo (alla quale in mostra è dedicata una messa in scena “cosmonautica”). Tre progetti che pongono al centro dell’attenzione la principale ambizione della tecnologia dell’uomo contemporaneo, ovvero il concentrare il maggior numero di funzioni nel minor spazio possibile. Il sogno elettrico di possedere sistemi in grado di governare quelle funzioni ultra corporee, da un lato desiderate e dall’altro temute, vede nel contenimento spaziale una possibile illusione di controllo. Tema, questo del controllo possibile o della sua negazione, che può essere una chiave di lettura anche per le tante tavole degli elementi che compongono l’universo in mostra sia nella messa in scena allestitiva che nella abbondanza dei materiali scelti. Forse la macchina, una volta smembrata e scomposta nelle sue componenti, può essere analizzata e vivisezionata senza pericolo di ritorsioni. O almeno ce lo auguriamo.
Arts & Food
Vista della mostra “Arts & Food”. Mario Merz, Igloo del pane, 1989. Collezione Merz, Torino. Photo © Attilio Maranzano
L’elenco come metodologia progettuale, individuata da Bruno Zevi come prerogativa dell’architettura contemporanea, può forse allora essere esteso come approccio anche alle modalità curatoriali degli ultimi anni. Un’impostazione che, applicata a un tema tipologico ben definito come quello della cucina e del suo elettrodomestico, funziona come reagente culturale in grado davvero di attivare riflessioni multiple e di rivolgersi ai molti livelli di lettura che una mostra del genere si prefissa. Soprattutto in un’ottica come quella di Expo e del suo pubblico generalista. Più difficile forse da comprendere nei risultati se applicata a un tema diffuso e macroscopico come quello di “Arts & Foods”, l’altra grande mostra curata sempre da Celant per lo stesso pubblico che, più che di un elenco come metodo progettuale, avrebbe potuto trarre beneficio da un indice selezionato per argomenti in grado di guidare in un argomento di per sé sconfinato.
© riproduzione riservata
Triennale Design Museum 8
Vista del Triennale Design Museum 8 “Cucina & Ultracorpi”, Triennale di Milano. Photo Gianluca Di Ioia

fino al 1° novembre 2015
Arts & Foods – Rituali dal 1851
fino al 21 febbraio 2016
TDM 8: Cucine & Ultracorpi
Triennale di Milano

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