Miami Design District

Mentre la fiera Design Miami/ festeggia dieci anni, il Miami Design District cresce con commissioni sempre più ambiziose: da Marc Newson ad Aranda Lasch e Konstantin Grcic. Per chiudere con la riproduzione del Fly’s Eye Dome di Buckminster Fuller.

Marina Abramovic Institute presents/ Counting the Rice
Mentre la fiera Design Miami/ festeggia i suoi primi dieci anni con una passerella di personaggi illustri che va dall’artista Marina Abramovic all’architetto Peter Marino – sua la mostra al Bass Museum of Art a cura di Jérôme Sans – il Miami Design District (MDD), con cui condivide lo stesso patron Mr. Craig Robins, cresce con commissioni sempre più ambiziose. I dieci anni della fiera sono l’occasione per fare il punto, anche se nel distretto si guarda indietro solo per immaginare il futuro.
Miami Design District presents/ ZAHA HADID 2005-2014
In apertura: il Fly’s Eye Dome di Buckminster Fuller. Qui sopra: vista della mostra "Zaha Hadid Ten Yoars on/"

“Dieci anni fa il MDD era solo una visione: oggi è diventato realtà”, sottolinea il costruttore e collezionista Robins. Tutto è iniziato da qui: in occasione della prima edizione della kermesse del design, Zaha Hadid inaugurò nel 2005 il Moore Building con l’installazione Elastika, ossia un intervento fluido all’interno dell’atrio dello stesso edificio: si diede il via allo sviluppo incessante del distretto del design di Miami, da allora mai più uscito dai riflettori.

Zaha Hadid è presente anche quest’anno con la retrospettiva “Zaha Hadid: 2005-2014”, mentre questo dicembre negli spazi del Moore Building ha trovato una sede temporanea la prestigiosa istituzione ICA Miami – Institute of Contemporary Art con due mostre personali dedicate rispettivamente agli artisti Andra Ursuta e a Pedro Reyes.

Design Visionary/ Peter Marino
Design Visionary/ Peter Marino
Attraversata la strada, troviamo un altro intervento pioniere della storia di questo quartiere, il Dash Fence firmato da Marc Newson, premiato Designer of The Future nel 2006: un cancello ondulato e ritmato che circonda la Design and Architecture High School, terminato nel 2007. Per una ricorrenza così importante sono molti gli incarichi che il MDD ha affidato a nomi autorevoli del panorama internazionale del design e dell’architettura. Mi trovo in compagnia del giapponese Sou Fujimoto quando vede per la prima volta terminata la sua facciata, parte dell’area pedonale di Palm Court. “Ho ricevuto una telefonata di Robins tre anni fa, ero entusiasta della proposta; per me allora si trattava del primo edificio negli Stati Uniti – ora ne sto costruendo altri due a Los Angeles – l’estensione del Long Beach Art Museum e una struttura residenziale privata – e uno a New York, gli interni di un negozio a Brooklyn”.
Il Fly’s Eye Dome di Buckminster Fuller
Il Fly’s Eye Dome di Buckminster Fuller
Si tratta di una struttura su due piani in acciaio e vetro dalle diverse tonalità di blu: “Volevo riprodurre il cielo di Miami e rendere l’idea della trasparenza che, ovviamente, rimanda all’acqua, sempre così presente in questa metropoli. Volevo combinare pioggia e sole. Sono soddisfatto della realizzazione, desideravo che queste arcate riproducessero l’illusione di camminare sotto una cascata.” E, proprio nel cuore della piccola piazza, circondata da uno specchio d’acqua (vero), sorge la riproduzione del Fly’s Eye Dome di Buckminster Fuller, mentre poco distante svetta il Design District Event Space, spazio di oltre 400 mq dedicato a esposizioni temporanee, progettato dagli architetti Aranda\Lasch di base a New York, un chiaro omaggio al cosiddetto modernismo tropicale: “È sempre il contesto che ispira l’architettura. I decori delle facciate rimandano all’architettura tradizionale della città. Questo edificio riflette a pieno la nostra visione di Miami, un luogo che permette all’architettura di essere aperta; per questo motivo abbiamo realizzato un sistema modulabile di porte scorrevoli in legno massello di Merbau capaci di scomparire completamente. L’America ha una brutta reputazione in merito agli spazi pubblici”, spiega Benjamin Aranda.
Jonathan Muecke, Design Miami Pavilion (DMP)
Jonathan Muecke, Design Miami Pavilion (DMP)
Dall’edificio di Aranda\Lasch, grazie a una serie di scale mobili, si passa all’installazione outdoor Netscape di Konstantin Grcic, anche questa frutto del premio assegnato al designer tedesco nel 2010. Il suo intervento è una serie di sedute in rete a forma di stelle a sei punte, su cui si ci può dondolare e di cui ne esiste una seconda versione nella splendida terrazza del Pérez Art Museum Miami (PAMM), completato lo scorso anno a Downtown Miami, costruito dai giganti Herzog & de Meuron per contenere la collezione personale di Mr. Pérez oltre a mostre temporanee.
Il Dash Fence firmato da Marc Newson
Il Dash Fence firmato da Marc Newson. Photo Robin Hill
Rimanendo nel design district: per festeggiare l’eccellenza delle sue automobili (quasi su misura) Bentley Motors presenta la prima edizione della serie Bentley Elements dal titolo Light, lavoro dell’artista italiano Massimo Uberti. L’installazione luminosa costituita da tubi al neon soffiati e assemblati direttamente a Miami riproduce la sagoma dell’area del controllo qualità della casa automobilistica (con tanto di desk e relativa seduta), ultimo passo da superare prima che la vettura possa uscire dalla fabbrica di Crewe, nel Regno Unito. A cura del duo Campbell-Rey, l’opera sta a significare il connubio tra innovazione, tecnologia e artigianalità.
Massimo Uberti, <i>Light</i>
Massimo Uberti, Light
Louis Vuitton dà vita a Playing With Shapes, un progetto del 1972 di Pierre Paulin pensato allora per il gigante americano del furniture Herman Miller e mai realizzato: 18 pezzi dal format modulare componibili in più schemi per creare living space – il modello originale, correlato da disegni e studi preliminari è oggi parte della collezione del Centre Pompidou di Parigi. La facciata del JBL Building è opera dello studio K/R, Terry Riley partner di Keenan Riley di base a New York; Riley si è trasferito da New York City. Per 14 anni direttore del dipartimento di design e l’architettura del MoMA, poi direttore del Miami Art Museum oggi vive nella Courthouse (ispirazione Mies van der Rohe), abitazione da lui stesso progettata “con il cielo che entra direttamente in casa”, racconta. “Robins ha usato questo quartiere come un laboratorio all’area aperta: forse questo esperimento poteva succedere soltanto qui. Nel 2006, c’era un solo ristorante aperto, Michael’s Genuine. Ora tutto è diverso, in tanti vogliono abitare qui; mi ricorda Soho a New York qualche anno fa. La combinazione d’importanti investimenti economici, la qualità curatoriale delle proposte e la passione hanno fatto oggi del MDD un arricchimento culturale per tutta Miami”, aggiunge Riley.
Massimo Uberti, <i>Light</i>
Massimo Uberti, Light
Dieci anni fa, sembrava un sogno che l’investimento creativo e interventi dal forte carattere artistico fossero in grado di trasformare completamente questa area urbana. L’idea di base era di creare un mall all’aria aperta (un’eccezione negli stati Uniti), offrire arte pubblica, creatività e cultura, e invitare a una promenade tra grandi marchi, progetti site-specific e alta gastronomia. In poco più di una decade, il DMM è riuscito a catalizzare gran parte dei brand più importanti del lusso internazionale e del design (sono 120 i negozi in programma nel prossimo anno, la metà già aperti), facendo di queste strade oltre il ponte di Miami Beach una destinazione imprescindibile per la città, gli Stati Uniti e il sistema globale della cultura contemporanea.
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