Il cuore oltre l’ostacolo

Affidata allo sguardo curioso e trasversale di Beppe Finessi, la settima edizione del Triennale Design Museum punta oltre la crisi e pone l’accento sulla natura policentrica della creatività italiana.

“Il design italiano oltre le crisi”: lanciando il cuore oltre l’ostacolo, Triennale Design Museum esorcizza le difficoltà attuali del sistema affidandone la salvezza a un ottimistico OLTRE. La nuova interpretazione, la settima, affidata allo sguardo curioso e trasversale di Beppe Finessi – che governa anche l’ottimo catalogo (edito da Corraini su progetto di Italo Lupi) – cerca di individuare nelle vicende degli ultimi ottanta anni le qualità che, in altre difficili congiunture, hanno consentito la resilienza del sistema.
VII Triennale Design Museum. Il design italiano oltre le crisi. Autarchia, austerità, autoproduzione
La densa indagine, corroborata da zoom tematici (ed è leggibile come tale anche la piccola mostra aperta al museo del Novecento su Munari politecnico), sfugge alle insidie della mostra a tema, cui pure sembra alludere il titolo; offre molteplici suggestioni e pone diversi interrogativi, che richiederanno certamente altri tempi di lettura per essere valutati appieno.
Installazione di Duilio Forte

Radici: una creatività policentrica

L’inventario messo in scena da Finessi pone meritoriamente l’accento sulla natura policentrica della creatività italiana: da Torino, antesignana della valorizzazione de “l’arte come mestiere” e dell’autonomia artigiana, a Trieste, luogo d’azione della poliedrica Anita Pittoni, che tra le due guerre “utilizza il filo come i pittori usano il colore”. Dedica spazio alla cultura artistica nutrita da altissimo artigianato della Sardegna e al precipitato unico di lavoro materia e arte rappresentato dal distretto del marmo di Carrara, emblematico esempio dei distretti produttivi disseminati nel Paese.

VII Triennale Design Museum. Il design italiano oltre le crisi. Autarchia, austerità, autoproduzione

Il progetto con quel che c’è: reinventare i materiali

Autarchia, austerità, autoproduzione: tre temi, tre soglie storiche (gli anni trenta; gli anni settanta; la contemporaneità) scandiscono una narrazione continua da Depero ai giorni nostri, formulata da Philippe Nigro in un allestimento fluido e serrato, eppure articolato come percorso urbano con sentieri, pareti, palazzi, marciapiedi, scale, piazze.

La prima indagine esemplifica le risposte del mondo del progetto, nel momento in cui le circostanze imponevano in Italia un radicale ripensamento dei materiali impiegati. Negli anni trenta architettura – alle varie scale – e moda sono i veicoli del processo di modernizzazione: il settore delle costruzioni e quello tessile procedono in quegli anni oscillando tra un discorso “avanzato” di ricerca e un discorso di “emergenza” di stampo più o meno autarchico. Il palazzo Montecatini progettato da Gio Ponti si pone come il catalogo più completo delle novità edilizie, arredo incluso, del suo tempo; Ferragamo realizza calzature con gli involucri di cellophane delle caramelle, e Marinetti canta Il vestito di latte (messo in pagina da Munari) per la nuova fibra Lanital. La presenza sul mercato di una miriade di prodotti dai nomi alati si colloca a metà tra la libera invenzione e la risposta autarchica per affrancarsi dai brevetti stranieri, ma testimonia soprattutto l’estrema frammentazione del panorama produttivo nazionale.

VII Triennale Design Museum. Il design italiano oltre le crisi. Autarchia, austerità, autoproduzione

Il progetto con quel che ci sarà: ridisegnare i comportamenti

Negli anni settanta, la proposta originale del design italiano, più che dall’austerità introdotta dalla crisi petrolifera, è stata influenzata da componenti ideologiche che intrecciavano spinte libertarie, artistiche, politiche. Un’austerità che vale in termini linguistici e di mezzi dispiegati, e per alcuni progettisti, in quelli etici. La Proposta per un’autoprogettazione di Enzo Mari (anticipatore anche di modalità “social”  di fruizione) mette le competenze a servizio di un soggetto collettivo sollevato dal destino di mero consumatore o futuro design victim. Altri protagonisti, con la medesima attitudine critica condita di ironia e di poesia in dosi diverse, indagano il sé e il mondo circostante: il progetto è una impronta lieve sull’ambiente, è disegno delle relazioni, minimo aggiustamento di tiro dell’esistente – non merce. Viene da accostarsi con pudore alle proposte metaforiche di Sottsass, qui restituito nella dimensione più intima e poetica. Abitare è essere ovunque a casa propria, sottolineava Ugo La Pietra, mentre reinventava quella dimensione urbana dell’abitare che oggi il mondo globalizzato impone di riconsiderare.

VII Triennale Design Museum. Il design italiano oltre le crisi. Autarchia, austerità, autoproduzione

Il progetto senza: ridisegnare il sistema

Analizzato in forma estesa da Andrea Branzi nella seconda edizione del Museo (2010) come coppia Serie fuori serie, il tema della tormentata relazione del mondo del progetto con quello della produzione industriale torna in questa edizione come chiave di lettura degli ultimi trent’anni. Ma, a differenza di quella interpretazione – che declinava in tutte le posizioni le possibilità contemplate dalla relazione (piccola serie, serie numerata, grandi serie, fuori serie, serie personalizzata…) – questa edizione si concentra sul secondo termine, e ripropone, accanto agli episodi fondativi della sperimentazione borderline (per tecniche, concetto e figurazione) delle imprese italiane degli anni Settanta/Ottanta, un’ampia ricognizione della produzione sempre più “indipendente” svolta a partire dalla metà degli anni novanta dagli allora “giovani designer”, fino ad arrivare ai giovanissimi di oggi.

VII Triennale Design Museum. Il design italiano oltre le crisi. Autarchia, austerità, autoproduzione

L’autoproduzione, fenomeno oggi sotto i riflettori di tutti i media, coesiste da sempre in relazione dialettica con la produzione seriale: che la si intenda come fase transitoria nell’attesa dell’eventuale produzione, o corrisponda a scelta ideologica radicale, o all’urgenza o al piacere dell’espressione artistica. Nella sua storia l’industria italiana ha guardato con attenzione la produzione indipendente e si è offerta come centro di elaborazione di nuove visioni, dimostrando di essere più avanti, a volte, degli stessi designer. Lo ha dimostrato Alberto Alessi nel 2012, sempre in Triennale, ne “La fabbrica dei sogni”, ne testimoniano in mostra il caso di Danese, anticipatore della formula dell’impresa-editore; Bracciodiferro, “braccio armato” della ricerca di Cassina, o Zabro, la “prima fabbrica postindustriale” allestita da Zanotta.

Il design italiano, per come viene riconosciuto internazionalmente, è un sistema complesso che vede in prima fila il mondo del progetto, centri di ricerca, imprese, tecnici, artigiani, curatori, scuole, editori e tanti altri coinvolti in un processo collettivo di ricerca sui sogni e i bisogni delle persone. Oggi, sembra dire la mostra, quel rapporto va ridisegnato: sul versante creativo, il sistema è attrezzato; alle imprese e agli altri soggetti il compito più arduo, quella di immaginare una nuova (e probabilmente diversa) modalità di relazione. Pena l’esclusione.

© riproduzione riservata

Fino al 22 febbraio 2015
VII Triennale Design Museum
Il design italiano oltre le crisi. Autarchia, austerità, autoproduzione

Triennale di Milano
viale Alemagna 6, Milano


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