Wunderkammer per collezionisti

Alcune riflessioni a freddo dopo il miart e il Salone sul futuro del design. Come vanno ridefinendosi ruoli, canali e interazioni in una filiera complessa e sempre più articolata? Affezione e passione; fisicità degli oggetti e degli spazi: queste sembrano le carte (ancora) vincenti delle gallerie.

Subalterno1, Milano Primo esemplare serie Fossili Moderni parete-libreria modulare di Massimiliano Adami, 2005
Mentre va lentamente depositandosi il pulviscolo di stelle che ha pervaso Milano per una decina di giorni, tra miart – la fiera d’arte – e il Salone del Mobile, vien da chiedersi cosa si dissolva e cosa sedimenti a beneficio del futuro del design. E come vanno ridefinendosi ruoli, canali e interazioni all’interno di una filiera complessa e sempre più articolata.
Ci si chiede, per esempio, quale futuro per le gallerie di design, in un mondo così proiettato verso la comunicazione virtuale, tra nuove piattaforme e aste online. Lo scorso autunno in un incontro coordinato da Domitilla Dardi per il TDM alcune delle galleriste più influenti sulla scena milanese (e internazionale) erano apparse piuttosto pessimiste sugli spazi di manovra ancora disponibili. Del tutto aperta e con molte carte da spendere sembrerebbe invece ancora la partita, a giudicare da quanto si è visto in questi giorni.

La collocazione ravvicinata tra le due iniziative, se da una parte ha costretto le gallerie partecipanti a entrambe le iniziative a un vero tour de force, ha sottolineato l’intensità di molte proposte. Le stanze di un ideale collezionista – allestite su sollecitazione della stessa Dardi, curatrice della sezione “Object” anche per questa edizione di miart – ne hanno restituito una visione vivace e variegata, tra sperimentazioni equilibrate e felici innesti storici. Fatto fuoco sul proprio “collezionista ideale”, stimolo fondamentale del design in edizione limitata e della riproposizione storica, ognuna di esse ha messo in scena elementi d’arredo, lampade e oggetti d’arte secondo una chiave interpretativa personale, ma che può essere ricondotta a più generali posizionamenti.

Ecco quindi il mix sapiente di design storico e contemporaneo connotato dal gusto sicuro di Rossella Colombari, Luisa Delle Piane, Nina Yashar/Nilufar –  influente più che mai anche sulle piattaforme virtuali.

Matilde Cassani, <i>Welcome</i>, 2015. Mostra “The man who sat on himself”, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino. Photo Matilde Cassani
In apertura: primo esemplare serie "Fossili Moderni", parete-libreria modulare di Massimiliano Adami, 2005 (Subalterno1, Milano). Qui sopra: Matilde Cassani, Welcome, 2015. Mostra “The man who sat on himself”, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino. Photo Matilde Cassani
Ecco il confronto serrato e disinvolto di Dimore Gallery tra l’opera dei Maestri e la rilettura del duo Emiliano Salci e Britt Moran titolare di Dimorestudio, e la classicità reinterpretata nella galleria Giustini Stagetti di Roma. C’è l’attenta ricucitura con la grande tradizione di un precursore delle edizioni: Paradisoterrestre ripropone pezzi del catalogo Gavina e Simon, cui affianca nuove proposte come il francese Pierre Gonalons. C’è poi chi ha privilegiato la lettura tipologica: come la fiorentina Antonella Villanova che nei gioielli si è ritagliata una posizione di rilievo internazionale; o il bresciano Luciano Colantonio che, per l’occasione, ha proposto il tema degli specchi, con il concittadino Otto Berselli in colloquio con Gio Ponti. O la galleria Christine Park di Londra che espone i lavori della ceramista coreana Yikyung Kim eseguite secondo tecniche tradizionali. Chi ha spinto sulla ricerca espressiva dei materiali, come la giovanissima Colleoni Arte di Bergamo, che ha chiamato cinque designer e studi di design/architettura del panorama italiano contemporaneo – tra cui Servomuto e Matilde Cassani – a reinterpretare gli elementi tipici dell’abitare attraverso il tessuto. O invece l’aretina Nero Design Gallery, per la quale Duccio Maria Gambi realizza tre sedute misurandosi con la pietra di Luserna (anziché con l’amatissimo cemento) e con il linguaggio del design storico delle avanguardie – a lui il Premio CEDIT per “Object” al miglior designer emergente italiano, assegnato per la prima volta a miart 2017.
Troviamo infine chi ha saputo inventarsi un ruolo del tutto originale, come la londinese Matter of Stuff, vera e propria agenzia di coordinamento tra progetto, realizzazione e narrazione, presente quest’anno anche con tre tavoli frutto di un interessante lavoro di ricerca sulle tecniche esecutive e sulle finiture del duo canadese UUfie – subito intercettati da Rossana Orlandi, che ha saputo trasformare gli spazi dell’antica fabbrica di cravatte in una meta imprescindibile dei pellegrinaggi internazionali.
Erastudio Apartment-Gallery
Erastudio Apartment-Gallery
Spiccava la proposizione in chiave museal-teatrale, con allestimento di Nanda Vigo, di Erastudio Apartment-Gallery, concentrata sul decennio Settanta-Ottanta con un incredibile trono realizzato da Riccardo Dalisi, due sedute di Ugo Marano ed Urano Palma, e un dipinto di Kenny Scharf. Vere e proprie esposizioni sono anche l’esito della sperimentazione eclettica di Subalterno1, che in miart creava una Wunderkammer provocatoriamente “povera” nei materiali utilizzati dai nomi storici (Ponti, Schirolli, Rinaldi, BBPR…) in conversazione con oggetti autoprodotti, storici e contemporanei, questi di nuovo protagonisti della collettiva “Anthropocene” inscenata in galleria la settimana successiva.
Premio CEDIT per Object: acquisita per il Triennale Design Museum
L'opera Retrostorico | Zuperfici Collection, 2017 del designer italiano emergente Duccio Maria Gambi (Nero design gallery di Arezzo) è la vincitrice del Premio CEDIT per Object. L'opera è stata acquisita da Florim Ceramiche e sarà successivamente donata alla Collezione Permanente del Triennale Design Museum di Milano
E, fuori dal perimetro della fiera, di mostre è specialista la galleria di Antonia Jannone che periodicamente ospita anche oggetti d’affezione, come ora le ceramiche Indian Memory di Sottsass, consentendoci di ricostruirne appieno la genesi e di assistere perfino alla loro produzione.

Di sole ceramiche e d’arte, ovviamente, tratta lo spazio aperto da poco più di un anno da Salvatore Lanteri in un luogo letteralmente eccentrico, già officina meccanica: luminoso e scabro accoglie in questi giorni una riflessione a più voci sui materiali plasmati dalla mano o dall’occhio dell’artista, dalla mescola di schiume e cementi del già citato Gambi, alla scagliola di Odd Matter, ai graniti sintetici di DWA Design Studio.

Affezione, intesa come passione; fisicità degli oggetti e degli spazi: queste sono le carte (ancora) vincenti delle gallerie.

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