Fra questi, il più noto è di certo l’americano Ryan McGinley (1977), sul cui lavoro Sylvia Wolf, curatrice della sua personale al Whitney Museum nel 2003, scriveva: “Nel primo McGinley, skateboarder, musicisti, graffitari e gay sono del tutto consapevoli di essere fotografati [...] I soggetti che ritrae performano davanti e per la macchina fotografica, esplorando se stessi con lucida auto consapevolezza. Comprendono pienamente la loro cultura visuale di appartenenza, consci di come l’identità possa essere, non solo comunicata, ma anche creata” (fonte Wikipedia).
L’altro italiano in mostra, Antonio Rovaldi (1975), scrive il suo diario sul manubrio della propria bici e non appunta altro che orizzonti: novanta sono le foto che compongono la serie Orizzonte in Italia (2011–2015), allineate lungo quella linea immaginaria che divide il cielo dal mare. Nel centro esatto, una si discosta dalle altre: si legge una frase: “Nient’altro che noi”; accanto è scarabocchiato un cuoricino (il destinatario della dedica resta sconosciuto). Ed ecco che, dagli spazi siderali, l’orizzonte si avvicina, è alle porte, e diventa quello più prossimo dei sentimenti. Dal 2001 al 2008, il cinese Wen Ling (1976) fa del blog Ziboy.com il suo personale diario (qui ne è esposta una piccola parte).
E se Ling propone insipide vedute di quartieri e raduni, di gente che mangia e che corre, il giapponese Kenta Cobayashi (1992) riflette sì, come il primo, sul mezzo digitale, ma usando la distorsione come cifra stilistica – di una sua foto si può riconoscere solo un orecchio, un ciglio. E come Ling, anche l’altra giapponese, Izumi Miyazaki (1994), si affida a un blog (su Tumblr) per veicolare le sue foto (tutti autoritratti), e come Cobayashi le “trucca” – eccola sdoppiarsi, volare, ecco la sua testa decapitata sanguinare sul tappeto. Sua è l’immagine della réclame della mostra: qui la si vede stretta in un primo piano, occhi fissi al soffitto, mentre le vengono tagliati i capelli con un taglierino da ufficio.
Rivolgono la macchina fotografica verso se stessi l’olandese Melanie Bonajo (1978), che riconosciamo in un catalogo di guance rubizze e occhi gonfi – l’artista si è fotografata ogni volta che ha pianto nell’arco di dieci anni (2001–2011) e il risultato è Thank You for Hurting Me I Really Needed It (2008–2016), un parato di sessanta selfie che fa tutt’uno con il muro e pure con il maniglione anti panico dell’uscita di sicurezza; e il portoghese Tomé Duarte (1979) che, scaricato dalla fidanzata, ha deciso di mettersi, letteralmente, nei suoi panni (indossando tutti i vestiti di lei trovati nell’armadio) fotografandosi, così grottescamente agghindato, in ogni angolo della casa dove aveva abitato con l’amata.
Sulle tensioni alla base delle relazioni, non solo di coppia, torna la polacca Joanna Piotrowska (1985) con Frowst (2013–2014), una serie che combina gesti correnti di conoscenti reiterati nella loro intimità ad altri più propriamente terapeutici messi appunto dallo psicologo Bert Hellinger per potare a galla i traumi più reconditi. Al passato guarda anche l’americano Greg Reynolds (1958), il quale dissotterra e ri-presenta sotto il titolo di Jesus Days, 1978–1983 (2016) alcune foto risalenti al periodo in cui – erano gli anni Settanta – ricopriva il ruolo di pastore all’interno di una comunità cristiana evangelica, prima di dichiarare la sua omosessualità e trasferirsi a New York per studiare cinema.
Infine, il titolo di questa esposizione: “Give Me Yesterday”, pizzicato da una vecchissima canzone di Harry Macdonough and the Orpheus Quartet,Turn Back the Universe and Give Me Yesterday (1916!). Così il curatore ha voluto chiarirci come siano di inchiostro fresco (di ieri) le pagine di diario appiccicate sulle pareti, pure di fresco intonaco, del nuovo Osservatorio di Prada. Pagine tutt’altro che segrete, che ci parlano di vite quotidiane un po’ disfatte, un po’ banali, decisamente smagate, che sembra non abbiano – intenzionalmente – molto da dirci e poco da spartire, riposte in un cassetto chiuso a chiave, con la chiave lasciata in bella vista.
fino al 25 marzo 2017
Give Me Yesterday
Osservatorio Prada
Curatore: Francesco Zanot