Fotografia: il presente

Al MACRO di Roma, i lavori selezionati nelle varie sezioni della quattordicesima edizione del festival internazionale “Fotografia” offrono una ricognizione sull’identità contemporanea italiana.

Se si potesse dare un secondo titolo alle cose, sarebbero ancora più chiare e incredibilmente dirette. La quattordicesima edizione di “Fotografia. Festival Internazionale di Roma”, organizzata da Zètema Progetto Cultura e aperta fino al 17 gennaio negli spazi del MACRO, un primo titolo ce l’ha ed è anche abbastanza forte: “Il Presente”.
“Se dovessi, però, ribattezzare questa nuova edizione del festival, opterei per Ricognizione sull’identità contemporanea italiana”, spiega da Belgrave Square, bellissima piazza poco lontana da Hyde Park, Marco Delogu, direttore artistico del Festival e, dallo scorso luglio, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Londra. “Quest’anno, per me, è fondamentale l’italianità, perché quello che manca oggi nel nostro Paese è una vera e propria scuola di pensiero e un’identità come gruppo. I lavori selezionati nelle varie sezioni del Festival, ospitate al Museo di Arte Contemporanea di Roma, sono accomunati da questo filo conduttore e da questa ricerca”.
Fotografia. Festival Internazionale di Roma
In apertura e qui sopra: Olivo Barbieri, Site-specific ROMA 04
“Il Presente” o, appunto, la Ricognizione sull’identità contemporanea italiana, è il focus tematico della collettiva che presenta opere di Olivo Barbieri, Fabio Barile, Federico Clavarino, Nicolò Degiorgis, Stefano Graziani, Allegra Martin, Domingo Milella, Francesco Neri, Sabrina Ragucci, Flavio Scollo, Giovanna Silva e Paolo Ventura. E, ancora, le mostre personali di Paul Graham, Rachel de Joode, Kai Wiedenhöfer, Giovanni Cocco & Caterina Serra, Joachim Schmid, Martin Bogren, Mohamed Keita, e la XIII Commissione Roma affidata quest’anno a Hans-Christian Schink e Paolo Pellegrin.
Fotografia. Festival Internazionale di Roma
Giovanni Cocco, Displacement

“Da tutti questi lavori”, continua Delogu, “ovviamente in maniera diversa, emerge un bisogno fortissimo d’identità attraverso una fotografia del presente che sappia raccontare una storia. Per poter riprendere possesso della nostra vita, si rivela necessario rifiutare a priori questa ossessività del passato e guardare il presente come una possibilità per abbandonarvisi”.

Molti i fotografi chiamati a interrogarsi sul tema, come Olivo Barbieri che, nel nuovo lavoro dalle grande dimensioni Site-specific Roma 14, si rifà a quello precedente realizzato per la Commissione Roma 2004. Se allora aveva fotografato Roma da un elicottero con la tecnica del fuoco selettivo, mostrando la città come un grande plastico in scala, oggi, dieci anni dopo, fotografa dall’alto il plastico dell’urbe conservato al Museo della Civiltà Romana.

Fotografia. Festival Internazionale di Roma
Giovanna Silva, New Al Monshah
“Si tratta di un lavoro concettualmente molto interessante che si ricollega – i festival servono anche per fare crossing – al progetto Acqua Claudia di Hans-Christian Schink, al quale ho chiesto di fotografare proprio quel Museo della Civiltà di Roma di Barbieri”, chiarisce il direttore artistico del Festival. La ricerca dell’artista tedesco, influenzato alla Scuola di Düsseldorf, si lega alle tracce della presenza e dell’azione umana sul paesaggio naturale e artificiale. Le due serie in mostra, una sull’archeologia di epoca romana e una sulla fase imperiale del fascismo nei paesaggi alienanti e metafisici dell’EUR, rappresentano questo dialogo. “Il bello è capire il presente, evitare le ansie legate al futuro, senza quell’aspetto nostalgico e depressivo di quanto erano belli i vecchi tempi. Ovviamente, il passato esiste e non si può dimenticarlo in una città come Roma. Questo abbandono al presente è di fatto un lasciarsi andare che crea le premesse per poter coltivare fra loro storie, racconti, geografie e tutto quello che ha a che fare con la vita”.
Fotografia. Festival Internazionale di Roma
Giovanna Silva, New Al Monshah
Ed ecco, quindi, i nuovi insediamenti fotografati da Giovanna Silva nel lavoro Narratives/ Relazioni, oppure l’essenza di Roma, ritrovata in una famiglia rom nel progetto Sevla di Paolo Pellegrin. Flavio Scollo, invece, in Omo fa un lavoro sulle orme antiche lasciate su un complesso vulcanico del casertano, usando la fotografia per capire chi è e da dove viene; Francesco Neri ritrae, attraverso il grande formato 8x10, le facce del nostro tempo di saunderiana memoria nel lavoro Farmers: contadini accanto a casa sua che coltivano il grano e zappano la terra. Domingo Milella in Index fotografa le coste della Puglia alla ricerca delle sue origini; Paolo Ventura in Homage à Saul Steinberg si chiude con il figlio su un set e s’interroga sulle contraddizioni del presente nel rapporto adulto-bambino.
Fotografia. Festival Internazionale di Roma
Paolo Pellegrin, Sevla

Visitando l’esposizione, la sensazione è strana. È quella di un presente troppo presente da voler ammettere, di uno specchio fotografico che non si vuol guardare. “Non è disagio”, ci tiene a sottolineare Delogu, “è vero, da sempre, l’Inferno piace e affascina di più, ma in questi lavori c’è un incredibile bisogno di luoghi e identità”.

Come in uno dei lavori più veri, Displacement – New Town No Town di Giovanni Cocco e di Caterina Serra. Il progetto, dove le fotografie sono accompagnate da epigrafi poetiche, racconta i nuovi luoghi dell’Aquila: dopo il terremoto del 2009, la popolazione ha perso il suo centro ed è stata trasferita nelle new town, costruite nelle periferie, piene di alienazione e smarrimento.

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