Céline Condorelli

L’artista, architetto e designer di Londra presenta all’HangarBicocca di Milano la sua ricerca molto originale e molto articolata che prende il nome di “Support Structure”.

Céline Condorelli, veduta della mostra bau bau. Courtesy Fondazione HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio
Per motivi che nessuno è mai riuscito a chiarire, e per quanto possa ricordare, ho trascorso gran parte dell’infanzia a disegnare cieli inargentati su carta intestata.
Céline Condorelli, veduta della mostra bau bau. Courtesy Fondazione HangarBicocca
Céline Condorelli, veduta della mostra bau bau. Courtesy Fondazione HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio
Cieli soltanto, trapuntati di nuvole, fiori, cani, gatti, pesci rossi, cuori, pasticcini da tè, mamme e papà con le braccia annaspanti e le gambe penzolanti, pronti a cadere e a rompersi la testa da un momento all’altro. Sebbene traessi grandi soddisfazioni da queste visioni, tutti erano concordi nell’affermare che le cose non galleggiano nell’aria come palloncini gonfiati a elio, facendosi dovere, pennarello nero alla mano, di afferrare per le caviglie i miei goffi scarabocchi e ancorarli saldamente a prati, ali, rami, redini e nidi. Io, atterrita, corrugavo la fronte e scrollavo la testa. Ma un giorno mio padre m’informò senza troppi preamboli che vedersi ciondoloni in quel modo gli dava le vertigini e che avrebbe preferito di gran lunga trascorrere il resto della sua vita sulla terraferma. Anche le stelle cadono, sentenziò. Le sue ragioni mi parvero talmente convincenti che altro non restava se non accettarle. E fu così che, a pezzi e a bocconi, i miei mondi aerei iniziarono a piombare al suolo con colpi sordi, aprendo spiragli alla comparsa d’incerti e malfermi orizzonti.
Céline Condorelli, veduta della mostra bau bau. Courtesy Fondazione HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio
Céline Condorelli, veduta della mostra bau bau. Courtesy Fondazione HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio
Che le cose non galleggiano nell’aria, ma si arrampicano come edera su molti ponti d’appoggio, è un concetto ben saldo nella mente di Céline Condorelli, artista/architetto/designer di Londra che da alcuni anni va conducendo con paziente e incessante assiduità una ricerca molto originale e molto articolata che prende il nome di “Support Structure”. Una formula magica non perfettamente traducibile in italiano, anche per la sua felice componente fonica di suono e significato tutto inglese. Forse “strutture di sostegno” o “strutture di supporto” o “di rinforzo”. Intendendo con ciò gli architravi, i muri, i ponteggi, i pavimenti, le scale di soccorso, i piedistalli, i plinti, le colonne, le colonne sonore, i registri, gli schedari, ma anche le molte forme di arbitraggio e mediazione, gli aiuti umanitari, il lavoro collettivo, le alleanze politiche, l’amicizia, la psicanalisi, o i dispositivi di messinscena di quella complessa macchina produttiva e partecipativa che tiene in piedi un’esposizione d’arte, per esempio. Insomma tutto ciò che sta dietro, sopra, sotto, che viene prima e dopo, che è nascosto, in ombra, invisibile.
Céline Condorelli, veduta della mostra bau bau. Courtesy Fondazione HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio
Céline Condorelli, veduta della mostra bau bau. Courtesy Fondazione HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio
Céline Condorelli è una giovane piena di risorse ed entusiasmo che guarda il mondo a diritto e a rovescio con tanto d’occhi, dissezionandolo in nette incisioni esplorative. Occhi fissi, nerissimi, dall’espressione sicura come una spada giapponese, che non lasciano indovinare i suoi pensieri. A chi le chiede in quale terreno affondino le radici del suo lavoro, lei si stringe nelle spalle e risponde di non amare troppo le scatole e le etichette. Cita il Bauhaus, il Costruttivismo russo, il Neoplasticismo, l’Arte Concettuale e Relazionale, ma anche Hannah Arendt e Mary McCarthy, Virginia Woolf, Samuel Beckett, Bruno Munari e Michelangelo Pistoletto. Riferimenti che, se non traboccano, certamente stillano nella mostra che l’HangarBicocca oggi dedica alla sua recente produzione, accogliendola fino alla prossima primavera nello spazio Shed del museo – il titolo, “bau bau”, ammicca con malcelata ironia tanto all’etimologia tedesca della parola “bau” (che significa “costruzione” ma anche “in costruzione”) quanto al suono onomatopeico italiano che imita il verso del cane (corrispondente al woof woof inglese o al wan wan giapponese). “Un cane che abbia alla Luna”, precisa Condorelli con fare divertito.
Céline Condorelli, veduta della mostra bau bau. Courtesy Fondazione HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio
Céline Condorelli, veduta della mostra bau bau. Courtesy Fondazione HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio
Di questa mostra si possono contare le ossa, non c’è nulla da pizzicare. La sua partitura è una prosa secca e asciutta, molto sofisticata, che rifugge per lo più dall’essere illustrata. Paraventi, tende, sedute, scale, manifesti, insegne elettriche, specchi, lampade, fermaporte. Strutture relazionali per l’ascolto, la lettura, il confronto, l’aggregazione, il riposo, la riflessione (“Structure for…” assurge a titolo di molte opere, così come molte sono le opere “dedicate a…”), nella cui ombra di carestia poetica che apparentemente parrebbero gettare si annida un bestiario di fantastiche presenze. Così, come suggerisce l’artista, l’immagine di un’aurata medusa dalle flautate movenze abbraccia, per esempio, l’opera The Bottom Line (to Kathrin Böhm) (2014), una tenda leggerissima dal morbido drappeggio in metallina dorata, il cui vacillare flessuoso trasforma lo spazio espositivo in una superficie maculata di sole e ombra, giorno e notte. Pure, la visione di un intorpidito elefante africano si deposita placidamente sulle casse acustiche di Structure for Listening (2012), mentre il guizzare molle di un millepiedi color banana-pomodoro aggiunge suggestione alle rosse vetrine in ferro imbullonato di Support Structure (Red) (2012-2014): un archivio contenente molta documentazione storica sull’industria tessile e della gomma, su cui si dispiega come un sipario l’enorme immagine adulterata di un campo di cotone egiziano (White Gold of Egypt, 2012).
Céline Condorelli, veduta della mostra bau bau. Courtesy Fondazione HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio
Céline Condorelli, veduta della mostra bau bau. Courtesy Fondazione HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio
Nella manica d’ombra della mostra riecheggiano e rimbalzano le voci concitate dei burattinai di Siamo venuti per dire di No (2013), variopinta e bellissima videoinstallazione che pizzica le più sentite corde di Conversazioni in Sicilia di Elio Vittorini per intonarle alle trame della trilogia carolingia su cui si basa la tradizione marionettistica siciliana: “Dove siete? Dove siete? È troppo buio”, urla un intimorito Silvestro a un soldato. “Buuuuu Silenzio! Buuuuuu”, ribatte l’indisciplinato pubblico di pupi in controcampo. Poco distante, una luce artificiale piove a intermittenza su un’opera di un certo interesse in questo contesto, poiché unisce l’artista e i lavoratori del Polo Industriale Pirelli di Settimo Torinese nel comune interesse per la produzione del pneumatico. Nerofumo (2014) è un lavoro sfilacciato e disaggregato, che si aggomitola in un’installazione di flosce e rugose cotenne di pneumatico adagiate su una struttura in ferro come pelli di serpente lasciate ad essiccare al sole, per poi serpeggiare lungo il percorso espositivo in forma di tracce, impronte e grumi di copertoni simili a nere meteore cadute.
Céline Condorelli, veduta della mostra bau bau. Courtesy Fondazione HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio
Céline Condorelli, veduta della mostra bau bau. Courtesy Fondazione HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio
In questa oscurità in cui non si brancola ma che tutto ammanta, l’apparizione di Spatial Composition 11 (to John Tilbury) (2014) ha un che di irreale. La testa s’inclina a destra e a sinistra in cerca della giusta inquadratura, mentre gli occhi scivolano esitanti fra le pieghe di una spessa coperta imbottita di feltro e cemento, sotto cui alberga e fermenta l’immagine informe di un objet misterioso. Un’opera di fascino assoluto, che sembra conservare la chiave del proprio enigma in una fotografia di sessant’anni fa – dove l’oggetto sconosciuto si svela e rivela negli interni del Muzeum Sztuki di Lodz, all’interno del progetto “Neoplastic Room” del pittore polacco Władysław Strzemiński – o sotto la sottile pelle di carta increspata di baubau (to James Langdon) (2014), su cui figure larvate dall’ambiguo stato giuridico traspaiono come lievi tatuaggi sbiaditi dal tempo.
Céline Condorelli, veduta della mostra bau bau. Courtesy Fondazione HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio
Céline Condorelli, veduta della mostra bau bau. Courtesy Fondazione HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio
Sospeso al soffitto come un astro incandescente, un lampadario di tubolari colorati al neon (Functional Configurations, 2008) scaglia tutt’attorno le sue lame di luce annunciando una piena di fotoni e una diversa gamma di toni. La notte si rovescia nel giorno. Un applauso prolungato di lampadine a bulbo appese alle pause cadenzate di un pensiero interrotto (I refuse–to be coerced… eccetera, 2014) si riverbera sui muri in tutta la lunghezza, fino a esaurire il suo slancio fra le pagine di un libro che parla di amicizia e lealtà (The Company She Keeps, 2014). Chiazze di sole screziano le lucide foglie a forma di cuore dei filodendri (gli “amici degli alberi”) che ricoprono la scultura esagonale À Bras Le Corps – with Philodendron (to Amalia Pica) (2014), mentre una scala a pioli piantata nel compensato di betulla laminato di due tavoli da ufficio della Royal Mail ER [The Double and The Half (to Avery Gordon), 2014] solleva gli occhi e lo spirito, spianandoli alla visione di uno scorcio di cielo stirato di fresco, ormeggiato a una generosa finestra che l’artista ha conficcato nel fianco del museo (parte dell’opera Alterations To Existing Co  nditions (to Simon Popper), 2014). Un cielo inamidato d’azzurro,che finisce per figurare, seppur fuori scena, fra i pilastri di questa mostra, sulle cui rotaie alabastrine passeggiano silenziosamente, avanti e indietro, all’alba come al tramonto, luccicanti falene, prime stelle e lune rosse, come sospinte da invisibili ventagli d’argento.
© riproduzione riservata
Céline Condorelli, veduta della mostra bau bau. Courtesy Fondazione HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio
Céline Condorelli, veduta della mostra bau bau. Courtesy Fondazione HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio

fino al 10 maggio 2015
Céline Condorelli bau bau
HangarBicocca, Milano
A cura di Andrea Lissoni

Ultimi articoli di Arte

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram