Così, se all'interno dei Giardini si possono visitare i padiglioni degli stati che da cent'anni rappresentano i punti di riferimento dell'assetto mondiale, per visitare gli altri bisogna uscire dalle grandi sedi storiche della Biennale e percorrere l'intera città.
D'altra parte, per chi, la Biennale, la visita, questi padiglioni costituiscono un punto di riferimento importante; quest'anno in particolare le sorprese positive sono numerose anche per chi si limiti a visitare i Giardini.
A partire dagli Stati Uniti, il cui padiglione si staglia in fondo al viale principale dei Giardini; qui il duo di artisti originari di Puerto Rico, Allora & Calzadilla, si annuncia sin dall'esterno dell'edificio con una spettacolare installazione consistente in un carro armato rovesciato in cima al quale è collocato un tapis roulant. Ogni ora il carro armato si risveglia, i cingolati del mezzo girano a vuoto fragorosamente, e per alcuni minuti un atleta dal fisico atletico corre sul tapis roulant.
Il senso di ossessione che ne spira si ritrova, in una diversa accezione, nel padiglione tedesco che sorge poco lontano. Dedicato a Christoph Schlingensief, cineasta morto al termine di una malattia dopo essere stato invitato a rappresentare la Germania, di nuovo il padiglione risulta completamente stravolto. La sua struttura interna è stata trasformata in una chiesa, teatro di una dolorosa, personalissima riflessione, da parte dell'artista, sul ciclo della vita, sul disfacimento e sulla morte. Film, video, elementi pittorici distribuiti nello spazio concorrono a infondere allo stesso un soverchiante senso di fine.
Ed è ancora un senso di negazione a spirare dal padiglione svizzero, affidato quest'anno a Thomas Hirschhorn; ma questa volta, nella voluta, impressionante, irriverente ridondanza di elementi disposti dall'artista in maniera apparentemente precaria, a sgretolarsi è la possibilità di un pensiero semplice e stabilmente lineare; sostituito qui da un approccio più vitale, aperto, dinamico.
Così, se la forma della sua opera è quella di una performance estesa nel tempo ed affidata a numerosissimi attori, il padiglione diventa luogo teatrale ed è accuratamente, benché sobriamente, allestito, con libri, testi, video, angoli di lettura e piattaforme pronte per presentazioni e discussioni.
In occasione della Biennale, Venezia si trasforma in un modello in scala ridotta della situazione geopolitica globale; e i nuovi equilibri mondiali, facendosi tangibili, generano nuovi padiglioni nazionali
Gli artisti coinvolti sono numerosi e le opere eccezionalmente pregnanti; tra le altre troviamo le storie a fumetti di Robert Crumb: parodie estreme che, intrise di umorismo fosco, trasgrediscono ogni possibile tabù; i disegni di Tala Madani, iraniana, che raccontano la libertà di espressione soffocata in società che agli individui richiedono sottomissione; i dittici di Zhang Dali, che investiga la relazione tra la storia e l'immagine fotografica, ed espone una serie di fotografie, ognuna delle quali presentata in due diverse versioni: quella ufficiale, dell'epoca di Mao, destinata ad essere diffusa pubblicamente, e quella originale tratta dai negativi dell'epoca ritrovati dall'artista attraverso una serie di ricerche di archivio. La discrepanza tra le due versioni risulta estremamente eloquente. Esposti anche i film di Jan Svankmajer, straordinarie metafore dei meccanismi di ingegneria sociale e delle politiche sottilmente coercitive messe in atto da sistemi oppressivi. In particolare il suo The Garden, del 1968, fa riferimento alla situazione della Cecoslovacchia dell'epoca. Sul fianco al padiglione, come un vero e proprio parassita, campeggia una struttura con un gigantesco megafono: uno "Speaker's Corner" costruito da Thomas Kilpper come esplicito invito a "farsi sentire".
Gli altri artisti presenti nel padiglione sono Agency, Ayreen Anastas e Rene Gabri, Stelios Faitakis, FOS, Sharon Hayes, Han Hoogerbrugge, Mikhail Karikis, Runo Lagomarsino, Wendelien van Oldenborgh, Lilibeth Cuenca Rasmussen, Taryn Simon, Johannes af Tavasheden, Tilman Wendland.
Emoziona anche il progetto di Yael Bartana, artista israeliana che rappresenta la Polonia con un'opera tra le più potenti di questa biennale: la trilogia "And Europe will be Stunned" composta dai video "Mary Koszmary" (Nightmares), "Mur I Wieza" (Wall and Tower) e Zamach (Assassination). Il lavoro è stato girato dall'artista in Polonia e rappresenta una sorta di versione alternativa della storia dei rapporti tra il Sionismo e la Diaspora ebraica. Con un allestimento che ricorda i chekpoint israeliani e un linguaggio filmico accuratissimo, che evoca il genere documentario ma include stilemi della propaganda comunista e sionista degli anni Quaranta e Cinquanta, l'artista crea una fiction in cui si fondono elementi legati all'antisemitismo europeo e alla Shoah, alle utopie socialista e sionista, al tragico rapporto che lega attualmente israeliani e palestinesi. Il racconto, straordinario per capacità sintetica, per densità di significato e per qualità visionaria, si sviluppa in un tono alto e drammatico sulla base di un immaginario politico che non teme di affrontare i traumi più profondi del passato e i nodi più complessi del presente; che nasce dall'esasperazione nei confronti di un'attualità inaccettabile e che invita a pensare che proprio laddove ogni soluzione tentata abbia fallito, è al coraggio e all'immaginazione che dobbiamo fare appello. Ma, evocando la tensione e le tragedie dovute all'incapacità di convivere, la metafora costruita da Bartana risuona assai al di là della storia recente, e trascendendo la contingenza acquista un significato universale. Invitando questa artista, la Polonia prova di aver avviato un percorso di riflessione sulla relazione ebraico - polacca.