Sections of Autonomy

I due curatori della mostra al Pastificio Cerere Luca Galofaro e Choi Won-joon raccontano il percorso professionale di sei giovani architetti coreani, inquadrando il contesto che li ha formati.

Sections of Autonomy
Dedicata all’architettura coreana contemporanea, la mostra “Sections of Autonomy” al Pastificio Cerere racconta attraverso immagini, fotografie, disegni e modelli, il lavoro di sei giovani progettisti tra i più rilevanti del panorama nazionale. Choi Moon-gyu (Ga.A Architects), Jang Yoon-gyoo (Unsangdong Architects Cooperation), Kim Jong-kyu (M.A.R.U.), Kim Jun-sung (Architecture Studio hANd), Kim Seung-hoy (KYWC Architects), Kim Young-joon (YO2 Architects) hanno tutti esordito professionalmente tra la fine degli anni Novanta e i primi anni del 2000, un periodo particolarmente significativo per la Corea perché caratterizzato da una crescente libertà politica e culturale.

Come emerge dalla conversazione tra i due curatori, Luca Galofaro e Choi Won-joon, “Essi rappresentano la prima generazione di architetti coreani non condizionati da pressioni ideologiche e, dunque, liberi e capaci di esprimere completamente la propria individualità, radicata nella cultura locale, ma consapevole della ricerca architettonica internazionale. Come progettisti hanno saputo allontanarsi da un sistema di riferimenti e di valori prefissati, per elaborare i temi del presente attraverso le modalità, diversificate e amplificate, del linguaggio architettonico”.

L’allestimento di studio LGSMA (Luca Galofaro Stefania Manna e Associati) prevede un percorso lineare che si apre con un’introduzione alla mostra di Choi Won-joon nella prima sala, per poi proseguire con sei isole, ognuna dedicata a un architetto.

 

Luca Galofaro: Ho sempre guardato con interesse all’architettura coreana, e sono spesso stato a Seul dove ho anche realizzato un piccolissimo edificio. Ogni volta che ho visitato il paese ho scoperto costruzioni nuove, che esercitavano su di me un forte fascino. Sono contento che oggi molti di questi edifici siano esposti nella mostra “Sections of autonomy”. Quali influenze hanno assorbito dalla generazione precedente questi “sei architetti coreani”? Come si esprime la tradizione coreana nelle loro opere?

Choi Won-joon: L’aspetto tradizionale riguarda la ricerca dell’identità e i sei architetti rappresentano una generazione che sotto questo aspetto ha segnato un punto di svolta. Prima di loro l’interpretazione moderna della tradizione e la ricerca della specificità coreana erano i temi preminenti dell’architettura, di cui determinavano l’incidenza sociale. Ma per la nuova generazione l’identità – o il carattere regionale – non veniva considerata l’obiettivo principale, bensì il logico risultato di una prassi professionale attenta alla realtà della produzione architettonica, oltre che alle condizioni del sito, agli agenti meteorologici, alla tecnologia, all’economia e alle normative.

Sections of Autonomy
Jang Yoon-gyoo (Unsangdong Architects Cooperation): Culture Forest, Seoul, 2009-2010

Luca Galofaro: Molti di questi architetti hanno studiato e lavorato all’estero. In che modo secondo te queste esperienze hanno cambiato la loro idea di architettura?

Choi Won-joon: Trascorrere gli anni di perfezionamento post laurea e gli inizi della formazione professionale negli Stati Uniti e in Europa certamente li ha messi in contatto con il mondo più vasto, esperienza negata alla maggior parte dei loro predecessori. Il che non vuol dire che subissero direttamente l’influsso delle tendenze occidentali. Piuttosto ha conferito loro uno spirito cosmopolita, a suo agio nella condivisione dei temi, dei metodi e dei linguaggi internazionali dell’architettura, benché con i vincoli imposti dalle condizioni del loro paese.

Luca Galofaro: Anche in Italia molti professionisti hanno rapporti con la ricerca, la formazione e la diffusione del sapere, il che dà occasione di discutere la nostra disciplina da punti di vista differenti. Come si confrontano tra loro gli architetti coreani? Condividono un terreno comune?

Choi Won-joon: Negli anni Novanta i giovani architetti, compresi i protagonisti di questa mostra, hanno preso parte a programmi alternativi di formazione all’architettura, che fungevano da laboratorio per lo scambio di idee sperimentali non solo sulla didattica, ma sull’architettura in generale. Oggi molti di loro hanno un posto all’università, ma questo spazio di discussione e di dibattito pare essere sostanzialmente scomparso. Forse oggi ideali, metodi e gusti  individualisti sono troppo diversi per dar luogo a un terreno comune.

 

Luca Galofaro: Come affrontano gli architetti le dinamiche urbanistiche della Corea del Sud? Tenendo anche presente l’incredibile tasso di urbanizzazione, ho avuto la sensazione che in Corea l’architettura sia per definizione un sapere urbanistico.

Choi Won-joon: Benché in Corea le discipline dell’architettura e dell’urbanistica siano nettamente separate dal punto di vista disciplinare come da quello della professione, gli sforzi per colmarne il divario sono stati numerosi, specialmente a partire dalla fine degli anni Novanta. Gli architetti non solo hanno tenuto conto del contesto urbano nel progetto dei loro edifici, ma hanno sviluppato progetti urbanistici sperimentali. I risultati più interessanti in questo senso sono Paju Book City e Heyri Art Valley. Ideate da un gruppo di architetti di cui facevano parte anche quelli presenti in questa mostra, queste città nei loro principi ispiratori rifiutavano la consueta zonizzazione funzionale, andando invece alla ricerca di un’integrazione tra architettura e paesaggio per tutelare la condizione naturale del territorio, e dando agli ideali comunitari la priorità sugli interessi privati.

Luca Galofaro: Il paesaggio coreano è anche ampiamente rappresentato sullo sfondo, oltre che in primo piano, nelle fotografie in mostra. Ritieni che il paesaggio abbia avuto qualche influsso sull’evoluzione dell’architettura coreana e dello stile degli architetti selezionati?

Choi Won-joon: A differenza di altre grandi città Seul è segnata dalla presenza di ampi rilievi montani. Se il ruolo fondamentale dei punti di riferimento di un territorio sta nel fornire un’esperienza visiva comune a una società in cerca di un’identità condivisa, l’architettura di Seul può fare a meno di questa funzione perché è già la natura a fornirla. Molti credono che questo sia il motivo per cui la città manca tradizionalmente di edifici simbolo, e cercano tuttora di elaborare progetti che si fondono nel contesto più che emergerne.

 

Luca Galofaro: Perché la mostra si intitola “Sections of Autonomy”? Quali aspetti dell’autonomia, secondo te, l’architettura coreana sta attualmente sviluppando?

Choi Won-joon: In quanto attività culturale inserita nella moderna società capitalista l’architettura dà periodicamente vita a discorsi nuovi. A volte questi discorsi si fanno tanto predominanti da sembrare che bastino da soli a ridefinire l’architettura e la sua importanza sociale. Tuttavia l’architettura è partecipe della costruzione della società attraverso la presenza fisica, con il proprio linguaggio formale, spaziale, funzionale, materiale e tettonico. Solo quando questa autonoma sfera dell’architettura ha solide fondamenta le sue idee si possono mettere in un rapporto significativo con la realtà.  

© riproduzione riservata

3 – 21 febbraio 2017
Sections of Autonomy. Six Korean Architects
Fondazione Pastificio Cerere
via degli Ausoni 7, Roma    
Curatori: 
Choi Won-joon e Luca Galofaro 
Allestimento: LGSMA           

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