La sfida italiana

Un recente incontro alla Pakjuis De Zwijger di Amsterdam ha offerto interessanti spunti di riflessione sulle differenze creative e metodologiche tra Italia e Olanda. È emerso che a sfatare luoghi comuni e dicotomia è la porosità dei network creativi rispetto ai sistemi politici e burocratici.

Da expat italiano residente ad Amsterdam da qualche annetto, ho una certa familiarità con gli stereotipi che Italia e Olanda si portano appresso. Se nell’immaginario collettivo i Paesi Bassi sono ricchi ma un po’ privi di pathos, lo “stivale” è invece una terra culturalmente vivace, ostacolata però da una preoccupante tendenza a piangersi addosso. Alla fine s’impara a prendere gli stereotipi per quello che sono, certo, ma è forse più raro riuscire a capire come far convergere il meglio di due mondi con ricchezze distinte.
La sfida italiana
“The Granary. Food Security, Cities and Architecture”, il progetto di Wouter Vanstiphout di Crimson Architecture Historians rappresenta l'evoluzione del legame tra cibo e potere
Nell’ambito del suo programma semestrale, “Europe by People: The Future of Everyday Living”, la Pakjuis De Zwijger di Amsterdam ha provato a fare proprio questo tema, organizzando un’interessante serata di confronto tra i due Paesi, attorno a quattro progetti di stampo urbanistico, accomunati dal supporto dell’Ambasciata dei Paesi Bassi a Roma e il Creative Industries Fund olandese. Dopo una breve introduzione della moderatrice Natasja van den Berg, l’esperto di relazioni culturali internazionali Bas Ernst ha spiegato come la collaborazione tra Italia e Olanda sia importante: dal loro punto di vista il Belpaese è il quinto mercato per esportazioni, nonché centro strategico per industrie come la moda e il design, dal nostro l’esperienza e il know-how olandesi sono molto apprezzati. Ernst ha insistito sulla grande vitalità delle industrie creative in Italia e dichiarato come sfida comune la concretizzazione di un maggior numero di progetti, spesso rallentati o bloccati da mancanza di fondi o labirinti burocratici. Martijn van der Mark, capo sussidi al Creative Industries Fund, ha reiterato anche lui quanto la natura stessa delle industrie creative sia internazionale e quanto lavorare all’estero porti un ritorno di investimento già in termini di conoscenza acquisita.
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Il progetto “Il Mercato al Centro” è incentrato sul ruolo del cibo nelle città e sulla riattivazione di spazi
Ed è proprio di conoscenza – anche se forse dovremmo dire coscienza – che si è occupato il primo dei progetti presentati, “The Granary. Food Security, Cities and Architecture”. Come illustrato da Wouter Vanstiphout di Crimson Architecture Historians, il cibo è storicamente legato al potere, a partire dall’architettura. Dagli Inca ai prussiani, il granaio era una costruzione monumentale, un cardine della simbologia cittadina. Oggi, strutture come il Markthal di Rotterdam o il nostrano Eataly esemplificano un rapporto consumistico con il cibo, svuotato del suo potenziale politico. Vanstiphout e il suo studio hanno rappresentato questa evoluzione tramite una monumentale installazione al MAXXI di Roma, un “panorama allegorico” alto 20 metri disegnato a mano sulle pareti del museo durante la mostra “Food, dal cucchiaio al mondo”. Se la collaborazione di Crimson con il MAXXI riguardava temi internazionali e viaggiava sul binario intellettuale (un aspetto per il quale – ha fatto notare Vanstiphout nella discussione finale – il nostro Paese ha uno standard molto alto, a dispetto delle tempistiche di realizzazione a volte poco realistiche), il secondo progetto illustrato alla Pakhuis ha radici decisamente concrete e locali.
La sfida italiana
Il progetto “Il Mercato al Centro” è incentrato sul ruolo del cibo nelle città e sulla riattivazione di spazi
Concepito da UNLAB e presentato come un “laboratorio umano”, Atelier Taranto comprende una serie di iniziative atte a re-immaginare l’infrastruttura della città pugliese, una delle più inquinate d’Europa ma anche un’importante snodo portuale. Lo studio ha isolato diversi elementi urbanistici della città in base alla loro rilevanza sociale, economica e culturale, proponendo approcci specifici al loro miglioramento: reintegrazione sostenibile delle masserie; creazione di spazi pubblici sui tetti delle case della città vecchia, ormai diventata un ghetto; elezione del parco vicino alla fabbrica dell’Ilva a Parco della Memoria; installazione di pannelli fotovoltaici nel porto per sfruttarne la superficie come risorsa energetica. Nel caso di UNLAB e Taranto, la collaborazione italiano-olandese è particolarmente stretta: lo studio, fondato da Andreas Faoro e Francesca Rizzetto, ha sede a Rotterdam e coordina un network di otto studi di architettura, urbanistica e paesaggio, oltre a organizzazioni pubbliche e private attive nel territorio italiano e olandese. Nello specifico, secondo Faoro, l’importanza del progetto è stata quella di avviare una collaborazione con l’autorità portuale attraverso una prospettiva culturale, introducendo il contesto locale al vocabolario del “visionario pragmatismo” olandese. Anche Gianpiero Venturini (curatore dell’associazione culturale “New Generations”) e Carlo Venegoni (architetto indipendente) citano l’importanza di un linguaggio internazionale.
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New Farms for Expo è il progetto di riattivazione delle cascine attorno a Milano
Per “New Farms for Expo”, progetto di riattivazione delle cascine che circondano Milano, hanno organizzato infatti un workshop concentrato su tre strategie: “New Economies”, “New Metabolism” (termine già molto in voga in Olanda, fa notare Venturini) e “New Branding and Storytelling”. Il workshop ha avuto luogo tra la Cascina Corte San Giacomo e l’Ordine degli Architetti, coinvolgendo nel primo caso un gruppo di studenti internazionali selezionati e nel secondo esperti di riattivazione e metabolismi urbani. A culmine del progetto, i curatori hanno pubblicato il volume Re-Act: Tools for Urban Re-Activation, un’antologia di progetti a tema in varie parti del mondo che è un ulteriore segno di una prospettiva internazionale.
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Concepito da UNLAB e presentato come un “laboratorio umano”, Atelier Taranto comprende una serie di iniziative atte a re-immaginare l’infrastruttura della città pugliese
L’ultimo progetto, “Il Mercato al Centro”, è stato anch’esso incentrato sul ruolo del cibo nelle città e sulla riattivazione di spazi. Nato da una collaborazione tra Eutropian, Tspoon e TUTUR, ha preso forma in una conferenza che ha messo in comunicazione esperti che operano in Olanda (Francesca Miazzo, Pinar Balat e Paul de Graaf) con la città di Roma. L’obiettivo, come spiegato da Levente Polyak alla Pakhuis, era di affrontare il problema delle zone sfitte nella capitale. Il programma ha compreso visite a mercati romani e cooperative, lecture e discussioni sulla geografia del cibo in città, catena alimentare corta, agricoltura urbana. Anche in questo caso l’evento ha combinato l’esempio di esperienze estere (per esempio il redesign del mercato di Albert Cuyp ad Amsterdam) con esperienze locali, incoraggiando uno scambio di know-how da far fruttare sul posto, a partire da confronti e conversazioni ma non senza del lavoro manuale. Lo stesso Polyak è stato il primo a rispondere quando, durante il panel seguito alle presentazioni, la moderatrice ha chiesto quali siano i vantaggi di una collaborazione internazionale. Confermando di fatto l’idea già espressa prima del “visionario pragmatismo”, l’urban planner ungherese ha detto che lavorare con gli olandesi permette di pensare in grande, cosa che in Italia viene istintivamente ridimensionata.
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Con Atelier Taranto UNLAB ha isolato diversi elementi urbanistici della città in base alla loro rilevanza sociale, economica e culturale, proponendo approcci specifici al loro miglioramento
Se questo sembrerebbe un vantaggio più per chi beneficia della collaborazione, Wouter Vanstiphout ha aggiunto che dal punto di vista di un professionista olandese ottenere fondi per un progetto all’estero può essere più facile. E l’interesse dell’Olanda nella promozione di operazioni all’estero è stato in effetti un tema di discussione durante il Q&A, quando qualcuno ha chiesto quanto sia significativa la relazione commerciale tra Olanda e Italia nell’allocazione dei fondi. Dal punto di vista di Ernst si tratta di un’opportunità d’investimento, con un ritorno in termini di know-how e realizzazione di progetti che altrimenti resterebbero solo tali. Vanstiphout ha argomentato invece che il legame tra politiche economiche e scambio culturale è sì più forte che in passato, ma proprio per questo la cultura può essere usata per aprire un dialogo e un confronto con progetti di altra natura (concetto confermato anche dalla testimonianza di UNLAB). Insomma, se da un lato l’efficiente pragmatismo degli olandesi e il disincanto politico degli italiani sembrano confermare gli stereotipi nazionali, la porosità dei network creativi rispetto ai sistemi politici e burocratici sfata questa dicotomia. Più che una premessa a un cambiamento futuro, sembra trattarsi del ritratto di una realtà internazionale e interculturale già ben avviata.
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