99 errori per un padiglione

Errore dopo errore, 99 Failures, il padiglione del Digital Fabrication Laboratory dell’Università di Tokyo svela esperienze strutturali, materiali e di percezione spaziale di profondo carattere immersivo.

“Una parola che fa all’amore con il successo”: così iniziava una conversazione pubblica sull’errore che si è svolta all’Architectural Association (AA) tra il suo direttore, Brett Steel, e l’architetto americano Mark Wigley.

Consapevoli o meno di questa relazione sentimentale, ciò che molti decisamente dimenticano di citare a proposito di questa romantica storia è il fatto che il successo è intimamente legato all’idea dell’errore. In modo quasi masochista gli architetti di successo spesso raccontano la storia della quantità degli edifici non costruiti e dei concorsi cui hanno partecipato per poterne realizzare uno solo. L’educazione ortodossa che ha preceduto l’attuale discorso della progettazione computazionale ha insegnato agli architetti solo ad avere successo senza mai  tener conto dei numeri. Ma il processo cognitivo dell’architettura sta ribaltando quest’idea per gli anni a venire: più si sbaglia più le probabilità di successo aumentano.

99 Failures
The University of Tokyo, Digital Fabrication Lab, 99 Failures Pavilion. Photo Hayato Wakabayashi
Benché nella costruzione finale ci sia poco spazio per l’errore, nel corso del processo, nella ricerca della sinergia tra materiali e strutture innovative, si apre un vasto campo di possibilità. La prospettiva è presente soprattutto nelle scuole d’architettura e non è una novità citare la loro ossessione per la costruzione di architetture programmatiche di piccola scala in forma di padiglioni.
99 Failures
The University of Tokyo, Digital Fabrication Lab, 99 Failures Pavilion. Photo Hayato Wakabayashi

Perciò 99 Failures (“99 errori”) è il nome del terzo padiglione affrontato dal Digital Fabrication Laboratory dell’Università di Tokyo, fondato per iniziativa di Kengo Kuma e di Yusuke Obuchi. Secondo quest’ultimo sbagliare non è una cosa catastroficamente errata, e apre invece la possibilità di nuove indagini. Già Buckminster Fuller sottolineava che nella sperimentazione non esistono errori ma solo risultati inattesi. Secondo Obuchi questo progetto ha decisamente superato la soglia della semplice versione ingrandita di un modello da tavolo, per raggiungere la particolare qualità dell’architettura di piccola scala. Se i precedenti studi del Minimum Surface Pavilion (2011) e del Circle Pack Pavilion (brevemente presentati su Domusweb il 19 novembre 2012) erano una riflessione sulla possibilità di esporre ricerche strutturali in modo pressoché scultoreo, 99 Failures Pavilion svela esperienze strutturali, materiali e di percezione spaziale di profondo carattere immersivo.

99 Failures
The University of Tokyo, Digital Fabrication Lab, 99 Failures Pavilion. Photo Hayato Wakabayashi
Il DNA del padiglione sta nelle ricerche del Lab sul comportamento strutturale e materiale dei sistemi tensintegri. Gli studi sulle strutture in tensione e precompresse risalgono già agli anni Quaranta, e nascono dalle ricerche sul bilanciamento delle forze di tensione e di compressione negli oggetti tridimensionali. Negli anni Sessanta Buckminster Fuller coniò il termine tensegrity per indicare la ricerca sinergica sulla struttura e sulle forme geometriche. Nel contesto della diffusione del digitale del XXI secolo, che ha radicalmente ampliato le ricerche sulle superfici e sulle strutture topologiche, gli studi sui sistemi tensintegri del Digital Fabrication Lab mirano a creare prototipi di geometrie adeguati alla condizione attuale dei limiti di risorse e di materiali. In questo senso il padiglione è stato anche il veicolo concettuale e pratico per la formulazione di una serie di ardui temi di progettazione computazionale, più che della scoperta di soluzioni ingegneristiche immediate per certi problemi relativi alla struttura e ai materiali.
99 Failures
The University of Tokyo, Digital Fabrication Lab, 99 Failures Pavilion. Photo Hayato Wakabayashi
Obuchi sottolinea che i progetti di ricerca possono implicare un livello di complessità limitato, particolarmente in rapporto ai parametri e ai vincoli relativi a ciò che la computazione potrebbe o dovrebbe fare in rapporto alla costruzione reale. Questo genere di ingegneria e di qualità architettonica a venire è stato ottenuto tramite una collaborazione inedita tra il Digital Fabrication Lab, gli ingegneri strutturisti e le imprese del settore delle costruzioni. Uno dei principali collaboratori, la società Obayashi, è stato invitato a contribuire alla scelta di uno dei sistemi tensintegri in vista dello sviluppo di un sistema costruttivo reale e di ulteriori ricerche strutturali. Toshikatsu Kiuchi, assistente per la formazione del Digital Fabrication Lab, osserva che la scelta finale è stata incentrata sulle possibilità di controllare e calibrare la geometria di una forma nel corso del processo costruttivo.
99 Failures
The University of Tokyo, Digital Fabrication Lab, 99 Failures Pavilion. Photo Hayato Wakabayashi
Il Giappone è il paese con il maggior numero di bracci robotici inseriti nelle catene di montaggio industriali, grazie al sostegno di studi avanzatissimi di tecnologia, di ingegneria e di robotica. Al di là dello sviluppo di prototipi d’architettura e di ricerche sui materiali, il Digital Fabrication Lab ha l’ambizione di democratizzare l’uso esclusivamente industriale della robotica per la fabbricazione di componenti per l’architettura. Al momento, come spiega Yusuke Obuchi, gli architetti sono in grado di formulare istruzioni precise sulla geometria dei loro progetti, ma la fabbricazione di grande serie si fonda ancora sui sistemi costruttivi tradizionali.
99 Failures
The University of Tokyo, Digital Fabrication Lab, 99 Failures Pavilion. Photo Hayato Wakabayashi
Dato che la progettazione computazionale è entrata sulla scena architettonica giapponese più tardi che in altri paesi, sarebbe arrischiato prevedere nei particolari in quali nuove direzioni si svilupperà negli anni a venire. Già si assiste a una specialissima riconciliazione tra architetti, processi costruttivi, tecniche e saperi. È certo che chi segue questi percorsi di innovazione continuerà ad assaporare il dolce gusto dell’errore.
Gli autori desiderano esprimere il loro sincero ringraziamento al Digital Fabrication Lab, a Yusuke Obuchi, all’assistente alla formazione Toshikatsu Kiuchi e all’arch. Miguel Puig, corsista del Master.
99 Failures
The University of Tokyo, Digital Fabrication Lab, 99 Failures Pavilion. Photo Hayato Wakabayashi

99 Failures Pavilion
Progetto:
Università di Tokyo, Padiglione 2013 del Digital Fabrication Lab
Gruppo di progetto: Docenti dell’Università di Tokyo: Yusuke Obuchi, Toshikatsu Kiuchi, So Sugita, Hironori Yoshida
Studenti dell’Università di Tokyo
: Christopher Sjorberg, Yeonsang Shin, Miguel Puig, Zhang Ye, Ana Luisa Soares, Ma Sushuang, Tong Shan, Andrea Trajkovska, Quangtuan Ta, Wei Wang, Anders Rod, Benjamin Berwick, Qiaomu Jin, Fawad Osman, Yanli Xiong, Andrea Bagniewski, Kevin Clement, Ornchuma Saraya, Minjie Xu
Obayashi Corporation: Tomoo Yamamoto, Kenichi Misu, Gendai Ono, Yasuo Ichii, Keisuke Fujiwara, Shunsuke Niwa, Tatsuji Kimura, Masaru Emura, Taiki Byakuno, Takahide Okamoto
Ingegneria strutturale: Jun Sato
Realizzazione dei componenti: Tsukasa Takenaka (AnS Studio)
Costruzione: Multibuilder
Realizzazione: Togari Kogyo
Struttura: sistema tensintegro a superficie di forma libera
Materiali: componenti in compressione: lastre d’acciaio dello spessore di  0,5, 0,8, 1,2 e 1,5 mm
Cavi in tensione: cavi d’acciaio del diametro di 3 mm
Anello di base: tubo d’acciaio inossidabile del diametro di 48 mm
Fondazioni: blocchi di calcestruzzo precompresso
Arredamento: compensato verniciato
Peso: 1,5 t (struttura superiore in acciaio inossidabile), 1 t (fondazioni di calcestruzzo)
Fase di progettazione: ottobre 2012 – marzo 2013
Sviluppo, fabbricazione e costruzione del progetto: aprile – novembre 2013
Completamento: 24 novembre 2013

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