Close, Closer

Rispetto al suo intento di formulare domande più che proporre risposte, la Biennale d’Architettura di Lisbona 2013 raggiunge l’obiettivo, rappresentando un’ecologia della differenza ideologica che va al di là dei confini dalla stessa manifestazione.

A meno che la iennale (biennale, triennale...) in questione si svolga in un’isoletta urbanizzata nell’angolo nordorientale d’Italia, è probabile che il rapporto tra la manifestazione e il luogo in cui avviene sia il principale catalizzatore del pensiero e della creatività.
Con una tale complessa topografia distribuita tra tutte le sue mostre e tutti i suoi eventi la Triennale d’Architettura di Lisbona è incentrata fondamentalmente sull’effetto che una manifestazione di queste proporzioni può avere su una città nel corso del tempo. Perciò la maggior parte delle mostre sono pensate per svilupparsi nel corso dei tre mesi seguenti, il che vanifica ogni tentativo di esprimere giudizi di valore sul loro successo o sul loro fallimento (chi, in realtà, può dire se sarà un successo o un fiasco?). Si può invece dedicare uno sguardo critico ai singoli progetti di curatela e al modo in cui rispondono alle ambizioni, ai requisiti e ai vincoli che si sono assunti.
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In apertura: Triennale di architettura di Lisbona, quartier generale. Photo © Delfino Sisto Legnani. Qui sopra: Andrés Jaque Office for Political Innovation, Superpowers of Ten. “New Publics”, mostra a cura di José Esparza. Photo © Miguel de Guzmán
La manifestazione ha molti aspetti diversi: composta com’è da quattro mostre principali e da un ampio programma di iniziative collaterali che vivono tutte in linguaggi, sedi e tempi differenti, è forse più facile affrontare una singola iniziativa del progetto di curatela generale che inoltrarsi nell’eterotopia del discorso. E tuttavia l’ampia gamma delle interpretazioni date ai vincoli della Triennale trova un terreno comune nella schiettezza e nella trasparenza del progettare una visione del futuro profondamente contingente. In questo senso, l’esperienza di ogni mostra è assolutamente particolare e risponde direttamente al proprio contesto specifico.
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Friendly-Fire, Sonda Espacial L.Q.F.U.B. “Reality and Other Fictions”, mostra a cura di Mariana Pestana. Photo © Luke Hayes
Con il titolo “Close, Closer”, a cura di Beatrice Galilee, il terreno comune del discorso architettonico viene affrontato più allestendo un’ampia rete destinata a svelare ciò che realmente esiste e a svilupparne le potenzialità che investendo su specifiche tecnologie per sfruttare una tipologia presumibilmente apprezzata da tutti.
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Cohen Van Balen, Future Perfect And Nowhere a Shadow. Photo © Catarina Botelho
Future Perfect” di Liam Young, allestita in un’ex sottostazione elettrica trasformata in museo, si dedica a materializzare in scala 1:1 il probabile aspetto degli elementi della città futura. La mostra – che si concretizza in robot costruttori, droni di sorveglianza, installazioni luminose interattive, abiti incerati e in una serie di video, tutti inseriti in un bosco artificiale – chiede in definitiva molto al visitatore: non solo che sia ben informato, ma che subordini momento per momento la sua potenziale consapevolezza individuale a questa visione del futuro, assolutamente particolare e in qualche modo iperestetizzante.
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Noam Toran & Onkar Kular, In Dreams I Walk With You. “Reality and Other Fictions”, mostra a cura di Mariana Pestana. Photo © Catarina Botelho
“Reality and Other Fictions” di Mariana Pestana ha sede in un grandioso palazzo già dimora del marchese di Pombal. Allestito in un contesto di decorazione decadente, il lavoro riflette principalmente sulla stravagante bellezza dell’edificio e sulla natura contingente e specifica di ogni cosa bella. Con installazioni dai raffinati particolari, temi come l’incarnazione personale e architettonica del potere, la rivendicazione dei diritti e la sua formalizzazione nelle leggi, l’incarnazione del discorso e la percezione della comodità vengono retoricamente materializzati in modo che un latente processo di autoconsapevolezza venga di fatto indotto nell’esperienza dello spazio.
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Andrés Jaque Office for Political Innovation, Superpowers of Ten. “New Publics”, mostra a cura di José Esparza. Photo © Jorge López Conde
Se si va a visitare “New Publics” di José Esparza, più manifesto programmatico che discorso, francamente c’è molto poco da vedere. Situata in Praça da Figueira, una delle piazze centrali più importanti di Lisbona, Civic Stage di Frida Escobedo, delicatamente illustrata con finezza di particolari, è stata sede di una serie di tavole rotonde, di performance e di spettacoli che si sono svolti in occasione dell’inaugurazione della Triennale. Mentre il palco ospiterà solo occasionalmente delle manifestazioni non ufficiali, questo stesso gesto di assenza e di potenzialità è profondamente affine all’esecuzione musicale di 4’33” di John Cage e all’esposizione della Fountain di Marcel Duchamp, nella sua prospettiva dell’architettura dello spazio pubblico come strumento arbitrario ma indispensabile della rappresentazione sociale.
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Andrés Jaque Office for Political Innovation, Superpowers of Ten. “New Publics”, mostra a cura di José Esparza. Photo © Miguel de Guzmán
Nel rudere contemporaneo di un’ex banca ha sedeThe Institute Effect” di Dani Admiss, in cui istituzioni architettoniche di tutto il mondo si alternano in un medesimo spazio ed esprimono quel che significa e implica gestire e creare un’istituzione. Sviluppandosi attraverso il processo di profonda riflessione implicato dall’occupazione di una tabula rasa, laboratori, incontri pubblici e altre iniziative presentano automaticamente la personale identità di ciascuna istituzione attraverso il modo stesso in cui lo spazio viene occupato.
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“The Institute Effect”. Fabrica workshop. Photo © Miguel de Guzmán

Rispetto al suo originario intento curatoriale di formulare domande più che di proporre risposte, si potrebbe affermare fin d’ora che “Close, Closer” di fatto raggiunge l’obiettivo che si è data, ma che lo specifico significato del porre queste domande dovrebbe forse essere messo in maggior rilievo. La Triennale d’Architettura di Lisbona 2013 è una manifestazione satura di presenza ideologica ma afflitta dall’assenza di egemonia. La mancanza di due vincitori portoghesi del premio Pritzker in una manifestazione architettonica portoghese è lampante. Per quanto dovuta, stando a quel che si è detto, al rifiuto di partecipare degli architetti, la loro presenza è così eminente nell’architettura portoghese contemporanea che il modo in cui il discorso si sviluppa richiede interrogativi più esaustivi.

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“The Institute Effect”. Fabrica workshop. Photo © Luke Hayes
Invece di cercare di convincere chi partecipa alla manifestazione di questo o quell’aspetto della sua forma programmatica di ideologia architettonica, la Biennale d’Architettura di Lisbona 2013 rappresenta forse con il massimo vigore un’ecologia della differenza ideologica che va al di là dei confini dalla stessa manifestazione.
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“New Publics”, Civic Stage. Photo © Catarina Botelho

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