Parkour in Palestina

Ispirati dalla nascente disciplina del parkour, i fondatori del Gaza Parkour Team hanno iniziato a guardare al tessuto urbano di Gaza come fosse un campo di gioco, attraverso il quale muoversi in modo fluido usando il corpo, invece di armi ed esplosivi, per superare ostacoli e barriere.


Questo articolo è stato pubblicato su Domus 966, febbraio 2013

Nel suo saggio Hollow Land, autorevole analisi dei metodi visibili e invisibili con i quali Israele controlla i palestinesi, dentro e fuori i territori occupati, Eyal Weizman racconta del modo in cui “elementi comuni, come pianificazione e architettura, sono diventati strumenti tattici e mezzi di espropriazione”. Nell’analisi di Weizman, Gaza è il luogo in cui è nata una nuova dottrina militare/urbanistica, astuta e brutale, in base alla quale il campo di battaglia viene esteso a comprendere gli elementi più ordinari del tessuto urbano: le abitazioni, i negozi e le botteghe, in cui si svolge la vita di tutti i giorni. Così come le forze armate israeliane hanno imparato a muoversi direttamente attraverso i muri, aprendosi varchi a suon di esplosivi nel cuore della città, stanza per stanza ed edificio per edificio, nel 2005 alcuni giovani residenti nella Striscia hanno avuto una simile rivelazione. Ispirati dalla nascente disciplina del parkour, nata nelle banlieues parigine, hanno iniziato a guardare al tessuto urbano di Gaza come fosse un campo di gioco, attraverso il quale muoversi in modo fluido usando il corpo, invece di armi ed esplosivi, per superare ostacoli e barriere. A otto anni dalla nascita, il dialogo che segue traccia le origini del Gaza Parkour Team, attraverso la voce dei suoi fondatori.

20 dicembre 2012: Abdullah Anshasi, membro del Gaza Parkour Team, si allena nei pressi del campo profughi Khan Younis, nella zona sud della Striscia di Gaza. Fotografia di Antonio Ottomanelli

domus Com’è nato il Gaza Parkour Team? Che cosa vi appassiona nel parkour e nel free running?
muhammed aljkhbeir
 La squadra è stata fondata nel 2005. Abbiamo conosciuto il parkour grazie a un documentario intitolato Jump London, che abbiamo visto su Documentary Channel di Al Jazeera. Questo sport ci ha affascinato per le sue componenti di rischio e avventura, ma anche perché rappresenta un nuovo stile atletico. All’inizio, Abdullah e io formavamo il team. A quel tempo, il parkour era ai primordi e, in Palestina e nel mondo arabo, praticamente sconosciuto. Otto anni dopo, possiamo dire che qui esiste una solida base per il parkour, disciplina ormai diventata popolare tra i ragazzi.
abdullah anshasi
 Ti fa provare un senso di libertà, nonostante le innumerevoli restrizioni a cui sei sottoposto se vivi a Gaza: i blocchi, l’occupazione, la mancanza di lavoro e di luoghi di svago per i giovani. Col parkour possiamo divertirci. Ti dà una libertà che per noi possiede un sapore speciale.

domus Chi sono i vostri modelli?
aa
 Le squadre internazionali di parkour. Vorremmo tanto rappresentare la Palestina nelle gare internazionali. I nostri idoli sono i campioni di questa specialità.
ma
 Sono David Belle, Daniel Ilabaca, Ryan Doyle, Erik Mukhametshin, Phil Doyle, Sébastien Foucan.
20 dicembre 2012: Abdullah Anshasi, membro del Gaza Parkour Team, si allena nei pressi del campo profughi Khan Younis, nella zona sud della Striscia di Gaza. Fotografia di Antonio Ottomanelli


domus Il parkour è l’arte di superare ostacoli e confini. Senza alcuna attrezzatura, a corpo libero. Gaza è una città definita da ostacoli e confini. Esiste un rapporto tra le due cose? È per questo motivo che avete scelto di praticare il parkour?
ma
 C’è di sicuro un legame tra il parkour e le barriere che racchiudono la Striscia di Gaza. C’è il blocco, muri dappertutto. Persino il mare, che normalmente è associato alla libertà, per noi è simbolo della nostra condizione di carcerati. Anche per chi pratica il parkour, Gaza è motivo di dolore, apprensione, tensione psicologica. C’è un sacco di violenza: guerre continue, bombardamenti, saccheggiamenti dei terreni agricoli, uccisioni di civili e bambini—un assedio soffocante che ci fa sentire come se ci trovassimo all’interno di una gabbia fabbricata dall’esercito israeliano.
Il parkour ci offre un senso di libertà, ci permette di sopportare queste condizioni, senza cadere nella depressione più profonda.

domus Sulla copertina di questo numero c’è una tua foto, mentre ti alleni sulle dune di sabbia di Nuseirat.
aa  Gaza è una prigione in cui la gente deve continuamente inventarsi degli espedienti per sopravvivere, anche se sa che è difficile.
Da noi, superare ostacoli è uno stile di vita. Per noi, parte del problema è che Gaza è così sovraffollata che non ci sono molti spazi vuoti. Abbiamo trovato un insediamento abitato fino al 2005 dagli israeliani e oggi abbandonato. Gli abitanti di Gaza non vi possono costruire nulla perché è molto difficile trovare materiali edili. Così lo usiamo per allenarci.
ma
  Paragonata ai luoghi in cui, di solito, si pratica il parkour, Gaza presenta un ambiente particolarmente difficile. Gli unici posti in cui possiamo allenarci sono il cimitero di Khan Younis, le rovine delle abitazioni e, a volte, le scuole dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione (unrwa). Abbiamo avuto un sacco di problemi, quando abbiamo tentato di usare i tetti delle case e altri edifici nei campi profughi. La reazione della gente non è stata positiva, perché ci vedevano come intrusi, oppure pensavano fossimo dei ladri. Ecco perché posti come i cimiteri vanno bene: sono sempre tranquilli e defilati. Tenersi in forma non è per niente facile.
20 dicembre 2012: Abdullah Anshasi, membro del Gaza Parkour Team, si allena nei pressi del campo profughi Khan Younis, nella zona sud della Striscia di Gaza. Fotografia di Antonio Ottomanelli


domus La vostra attività è autorizzata? Siete mai stati fermati da Hamas o dagli israeliani?
ma
 Certo, è un’attività legale. Pratichiamo senza far male a nessuno e senza danneggiare la pubblica proprietà. Tuttavia, ogni tanto la polizia fa storie, quando ci alleniamo nei cimiteri, negli ospedali e anche per strada.
aa I luoghi disabitati di Gaza sono usati anche come campi di addestramento dalla resistenza. A volte, i militanti di Hamas ci fermano perché temono che i droni israeliani ci vedano e registrino che ci stiamo addestrando per azioni di guerriglia. È molto pericoloso, ma è l’unico modo, perciò continuiamo così. Amiamo la vita e dobbiamo viverla—qualunque cosa accada.


domus Ci raccontate qualche episodio particolare avvenuto durante i vostri allenamenti?
ma
 Ci sono stati numerosi incidenti—esplosioni e cose del genere—molto vicino ai luoghi in cui ci allenavamo. Quello più significativo è avvenuto durante l’ultimo conflitto. Eravamo assieme a un gruppo di ragazzini che si esercitano con noi e, all’improvviso, le forze di occupazione hanno iniziato a bombardare a pochissima distanza.
aa Era un F16 israeliano, ha bombardato un terreno disabitato a circa 500 metri da dove ci trovavamo. Eravamo terrorizzati, ma abbiamo continuato ad allenarci.
ma
 Ci è venuto il panico e temevamo che i soldati israeliani ci prendessero di mira. È una cosa che non dimenticheremo facilmente. L’abbiamo documentata con una videocamera.

20 dicembre 2012: Abdullah Anshasi, membro del Gaza Parkour Team, si allena nei pressi del campo profughi Khan Younis, nella zona sud della Striscia di Gaza. Fotografia di Antonio Ottomanelli

domus Parlateci del vostro logo e dell’abbigliamento. Chi li ha disegnati?
ma
 Quando abbiamo cominciato la nostra attività, producevamo i nostri video con un logo speciale, ma dopo qualche tempo un’amica australiana, Chantal Barty, si è offerta di disegnarci un logo per il team. Ora è il nostro simbolo ufficiale. In seguito, abbiamo deciso di mettere assieme delle divise in piena regola. Abbiamo fatto una colletta tra i membri della squadra e prodotto una serie di magliette con il nostro logo. Speriamo in futuro di poter avere una divisa completa, in modo da sembrare una squadra seria.

domus Avete fondato una scuola di parkour a Khan Younis. Che cosa vorreste ottenere? Qual è il vostro sogno?
ma
 Abbiamo cominciato in due e, poi, piano piano abbiamo iniziato a pensare di addestrare un altro gruppo, per rafforzare la squadra, aumentare il numero di soci, creare uno spirito competitivo e alzare il livello qualitativo. Nella speranza che, se noi non possiamo continuare con questo sport, almeno altri possano farlo. La società palestinese ci chiede di concentrarci sul futuro e dedicare le nostre vite al lavoro e alla famiglia. Questo significa che, se per il momento continuiamo a praticare il parkour, un giorno dovremo abbandonarlo. Così abbiamo pensato di accrescere il numero dei nostri membri. Ora speriamo di poter fondare una scuola ancora più grande a Gaza, per istruire una nuova generazione e diffondere il parkour tra i ragazzi e le ragazze di tutta la Palestina. 
aa
 Sogniamo di trovare qualcuno che ci aiuti a costruire una scuola o un club, per poter finalmente praticare il nostro sport in sicurezza. Anche se a Gaza i posti sicuri non esistono.

Questa intervista con Muhammed Aljkhbeir e Abdullah Anshasi è stata realizzata da Joseph Grima e Antonio Ottomanelli nel gennaio 2013.

20 dicembre 2012: Abdullah Anshasi, membro del Gaza Parkour Team, si allena nei pressi del campo profughi Khan Younis, nella zona sud della Striscia di Gaza. Fotografia di Antonio Ottomanelli

Il collettivo Gaza Parkour Team è stato fondato nel 2005 a Khan Younis, nella Striscia di Gaza, da Muhammed Aljkhbeir e da Abdullah Anshasi, ai quali si sono aggiunti, nello stesso anno, Ibrahim Aburahal e Jehad Abusulttan. Conta attualmente 12 membri. Si ringraziano per l’aiuto il giornalista Majed Abusalama e Yehya Shraim, studente all’Islamic University of Gaza

20 dicembre 2012: Abdullah Anshasi, membro del Gaza Parkour Team, si allena nei pressi del campo profughi Khan Younis, nella zona sud della Striscia di Gaza. Fotografia di Antonio Ottomanelli

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