Hyperlinks: il progetto come radar umano

Attraverso l'interazione e lo scambio tra discipline, architetti e designer aprono nuove strade alla sperimentazione e incrementano la qualità del nostro quotidiano

Il progetto ci si fa più vicino. La mostra "Hyperlinks" all'Art Institute di Chicago (aperta fino al 20 luglio 2011), a cura di Zoe Ryan e Joseph Rosa, comprende una miriade di progetti che trovano un'identità comune nella loro qualità di equivalenti contemporanei dei progetti utopici di ispirazione sociale di Le Corbusier, Constant Nieuwenhuys, Archigram e altri. La selezione suggerisce che il progetto è uno dei migliori amici della nostra epoca, che non solo richiede necessariamente l'interazione ma la provoca; che dal punto di vista fenomenologico è un ampliamento artificiale dei confini della biologia; e che soprattutto è uno strumento dinamico e personalizzabile. Lavorare in questo modo richiede un'attenta sensibilità a tutto campo nei confronti delle esigenze e delle fobie umane, per controbattere la natura impersonale della vita contemporanea. È il progetto come radar umano e come sé alternativo, che ne sia protagonista un architetto, un grafico 3D o un progettista dell'interazione.
Matali Crasset. Spring City in Messico, 2008. Private Collection. Courtesy of the Galerie Thaddaeus Ropac, Paris / Salzburg.
Matali Crasset. Spring City in Messico, 2008. Private Collection. Courtesy of the Galerie Thaddaeus Ropac, Paris / Salzburg.
Il concetto di architetto come programmatore di Keiichi Matsuda manda in frantumi queste distinzioni, richiedendo che le soluzioni siano applicabili, non in astratto. Il linguaggio di processo open source elaborato da Casey Reas e Ben Fry – realizzato da Stamen Design con il nome di OpenStreetMap, un sito walking-papers.org con dati topografici liberamente disponibili che gli utenti possono modificare e aggiornare online, personalizzandone le indicazioni geografiche – è stato usato per sostenere azioni di soccorso umanitario, come ad Haiti, e in aree marginali prive di concrete informazioni sul terreno per aiutare i gruppi che si dedicano alla trasformazione dell'infrastruttura urbana.
Arik Levy. Photo Kleinefenn@ifrance.com
Arik Levy. Photo Kleinefenn@ifrance.com
La scelta comprende soluzioni pragmatiche effimere, come per esempio la Lightlane, la pista ciclabile delineata a richiesta con il laser, visibile anche in luce diurna (Evan Gant e Alex Tee) e i nuovi multipli, come le Breeding Tables ("Tavoli da allevamento") di Clemens Weisshaar e Reed Kram, il cui progetto, fondato su un algoritmo, rende superata la standardizzazione della produzione di massa.
Tree (albero) di Simon Hejidens è una falsa foresta che svela la realtà della natura.
Tree (albero) di Simon Hejidens è una falsa foresta che svela la realtà della natura.
La metafora del titolo corrisponde al nucleo centrale dell'impostazione critica di Ryan e Rosa, poiché l'influsso delle biotecnologie e della biomimesi sulle sperimentazioni consentite al design dai nuovi software di modellazione e da altri strumenti digitali si esprime in opere che sfidano l'omogeneità e l'immutabilità degli ambienti contemporanei, come in Tree ("Albero") di Simon Heijdens. L'opera, creata dal computer, viene proiettata sulla parete con un effetto di foglie che volteggiano e cadono a terra, con cui chi passa può giocare. Per la mostra i curatori hanno commissionato a Heijdens la realizzazione di Shade ("Sfumatura"), una vetrata basta su una nuova applicazione dei cristalli liquidi che, attraversati da una corrente elettrica, ne variano l'opacità.
Troika, Plant Fiction, Serie di stampe Lambda C-Type, 2010. Plant Fiction è un'esplorazione nel ruolo della natura nella cultura occidentale
Troika, Plant Fiction, Serie di stampe Lambda C-Type, 2010. Plant Fiction è un'esplorazione nel ruolo della natura nella cultura occidentale
L'opera di Troika, trio multidisciplinare di designer, scandaglia le potenzialità delle forme vegetali sintetiche mentre Mischer'Traxler, diplomati alla Design Academy di Eindhoven, usano l'energia solare per fabbricare oggetti. Nelle mani di certi architetti e di certi designer l'"allevamento" digitale è un omaggio naturale alla mutazione genetica e al potere del computer di alterare la forma, ma anche in questo caso possiamo arrivare ad apprezzare una sedia o un tavolo ispirati alla sinuosa metanarrazione della Batmobile e all'identità della sedia degli Eames del 1948 (Hernan Diaz Alonso).
Studio Makkink & Bey per Prooff
Studio Makkink & Bey per Prooff
L'architettura aspira tradizionalmente a lavorare su grande scala, ma oggi i professionisti presenti a "Hyperlinks" sono in grado di esprimere un poco, per quanto non abbastanza, della loro maggiore capacità di adattamento sociale. Il colonizzatore spaziale PARALing di KOL/MAC è circondato dalle opere di designer come Ross Lovegrove (Alpine Capsule) o da opere di Jurgen Bey, che affronta la potenziale simbiosi di urbanistica, architettura, architettura del paesaggio e product design che si esprime in Prooff, idee per spazi di lavoro provvisori in non luoghi, con mobili come i Work Sofas ("divani da lavoro" dotati di una sporgenza che permette di scrivere delle note), la Ear Chair, la "sedia con le orecchie" le cui prominenze creano una sfera di riservatezza, e la piccola Slow Car, l'auto lenta che corre al massimo a 40 chilometri l'ora.

L'auto lenta è un ovvio aggiornamento dell'utopica intercambiabilità delle strutture della Nuova Babilonia di Constant Nieuwenhuys, che non solo privilegia l'auto come luogo d'abitazione oltre che come veicolo, ma guarda anche al dibattutissimo tema del nomadismo urbano. In più allude al tema dell'Existenzminimum evocato dalla condizione dei senza casa e infine al bozzolo inteso come rifugio della capanna di Laugier.

"Hyperlinks", che mette insieme facili, ironiche reinvenzioni d'uso e sfide più intriganti, parla – si potrebbe nondimeno concludere – della rinascita del progetto, racchiudendo unitariamente metafora e processi della biologia in un'unica cornice con un intento cordiale, esistenziale, "da ritorno a casa" che torna continuamente a risuonare attraverso il paesaggio transdisciplinare del design. Lucy Bullivant

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