"Se sei un architetto, che cosa ci fai qui?": una domanda (o un'accusa) generica che pareva particolarmente appropriata sulla bocca di David Suzuki, militante ecologista e conduttore della trasmissione televisiva The Nature of Things della CBC. Lo incontrai casualmente all'aeroporto di Coca, nell'Amazzonia ecuadoriana. Lui era arrivato con una troupe di National Geographic. Quanto a me, ero in missione per conto di me stessa, con le uniche credenziali di un paio di pantaloni color cachi, che mi ero comprata nel tentativo di essere all'altezza della situazione.
L'Ecuador è uno dei punti caldi del mondo, dove la biodiversità della foresta pluviale è interessata dalla pressione dello sviluppo. Poiché il tasso di deforestazione del Paese è secondo solo a quello del Brasile, la presenza di un architetto in questo luogo è forse giustamente inquietante. I progettisti, quando non sono i tirapiedi degli immobiliaristi, spesso rispondono a situazioni ingarbugliate, come quelle che si incontrano in Amazzonia con l'autoincensamento o con un piano regolatore salvifico. Il mio obiettivo, invece, era scoprire se non possiedano una competenza perversa, magari favorita dalle cattive compagnie che frequentano. Dato che gli architetti sanno come spingere avanti la macchina edile, non potrebbero riuscire anche a inserire la retromarcia? Non potrebbero progettare e promuovere non solo l'addizione dello sviluppo urbano, ma anche la sua sottrazione?
Un protocollo sottrattivo può essere adatto a molte parti del mondo in cui, per esempio, l’eccesso di costruzioni affronta dei mercati inefficienti