La città a fumetti. Intervista a Francis Rambert

Il co-curatore della mostra "Archi et BD, la ville dessinée" racconta gli scambi e le reciproche influenze tra architettura e fumetto.

Architettura, città contemporanea e fumetti sono i tre argomenti dichiarati fin dal titolo della mostra che ha curato con Jean-Marc Thevenet. Scendendo più nel dettaglio, mi può spiegare di cosa si parla?
La mostra "Archi e BD la ville dessinée" (alla Cité de l'Architecture fino a fine novembre, ndr) racconta la storia della città interpetata dagli autori di fumetti. Il vero soggetto della mostra è insomma la città, molto più dell'architettura. È una mostra con un percorso cronologico; comincia ai primi del Novecento con Winsor McCay, l'inventore di Little Nemo, un personaggio mitico che "vola" tra gli edifici di Chicago. All'ingresso, un affresco, che abbiamo commissionato all'artista francese François Olislaeger, è una libera interpretazione di un secolo di architettura e fumetti, mette insieme i personaggi dei fumetti più emblematici e alcuni edifici-icona del XX secolo. Come l'arco di Rem Koolhaas a Shanghai appoggiato sull'edificio di Ricciotti a Aix en Provence, la Caixa Forum di Herzog & deMeuron a Madrid e l'uomo ragno che si getta dal trampolino di Zaha Hadid a Innsbruck. È uno scambio reciproco tra due discipline che non hanno nulla in comune, nel corso di un secolo.

Con quali obiettivi avete allestito una mostra come questa?
Il nostro scopo (e dovere) è quello di attirare il grande pubblico. Spingere tutti – e non solo gli architetti, i designer o le persone di cultura – a guardare e capire l'architettura in un altro modo, a sollevare lo sguardo quando si trovano per le vie, a fermarsi davanti a un edificio. La Cité ogni anno ha circa 500.000 visitatori: in questo grande luogo dedicato all'architettura scoprono un mondo straordinario. Se facciamo venire alle persone voglia diguardare l'architettura, allora abbiamo raggiunto il nostro obiettivo. Pensiamo che la visione utopica, che sia sotto il mare o sulla terra con la Walking City, è importante per mostrare che gli architetti hanno questo grande potere di immaginare la città del futuro.

Rispetto ai disegnatori di fumetti gli architetti sono molti meno. Perché?
Ci sono 350 tavole di fumetti e solo un centinaio di disegni d'architettura per 150 autori. Gli architetti, infatti, non hanno l'obiettivo di divertire le persone, il loro mestiere è quello di costruire e immaginare. Quello che vogliamo mostrare è l'importanza del loro potere di immaginare la città e di disegnarla, la loro capacità di interrogare la società contemporanea. Ed è proprio su queste visioni che gli autori di fumetti e gli architetti si incontrano. Come curatore della sezione di architettura, mi sono divertito a infiltrare l'architettura tra le tavole di fumetti. Così, dopo Winsor McCay, troviamo le visioni urbane di Antonio Sant'Elia; e poi Friedrichstrasse, il mitico progetto di Mies van der Rohe, che mostra fino a che punto questo edificio sia radicato nell'immaginario. Marc-Antoine Mathieu, un giovane autore francese, ha fatto un omaggio a McCay trasformando un grattacielo in letto. Nella serie di Madelon Vriesendorp per Delirious New York c'è un celeberrimo adulterio tra grattacieli. È la dimostrazione che anche gli architetti scrivono sceneggiature sulla città.

Forse gli architetti non conoscono il fumetto abbastanza da usarlo?
Gli architetti hanno in effetti più che altro una grande cultura cinematografica e letteraria. Questi sono i loro punti di riferimento. Pensiamo a quanto registi come Wim Wenders, Michelangelo Antonioni, Jean-Luc Godard e Ridley Scott possono avere influenzato architetti come Jean Nouvel, Christian Portzamparc o Bernard Tschumi.

Visto che i nuovi autori di fumetti si nutrono sempre più dell'architettura contemporanea, il fumetto potrebbe diventare per gli architetti quello che il cinema è stato in passato?
Quello che è certo è che oggi c'è una trasversalità molto più forte rispetto a prima. Ma rimangono gli autori di fumetti a nutrirsi dell'architettura e della città contemporanea (anche se vivono fuori dalle città più grandi) più che viceversa. Dalle riviste di architettura prendono le ambientazioni per le loro storie. Ci sono però anche esempi di fumetti che hanno influenzato l'architettura. Prendiamo Jacques Rougerie, attivo soprattutto negli anni Settanta affascinato da Jacques Cousteau e l'esplorazionesottomarina. Ha creato un album di disegni come se fossero fumetti, strutture sottomarine abitabili raccontando fino a che punto questo futuro è possibile. Tra le utopie gli Archigram sono i campioni del mondo, ma in mostra troviamo anche un sorprendente disegno dello studio di Ettore Sottsass The planet as festival. Design for a roof to discuss under perspective del 1973.

Ci sono architetti che hanno scelto di usare il fumetto come mezzo per presentare i loro progetti? Perché?
Si, ce ne sono alcuni. Rem Koolhaas, per esempio, a Euralille negli anni 80, usa il codice del fumetto per fare passare la sua idea di ipermodernità. Per fare in modo che le persone (e gli amministratori pubblici) capiscano e si approprino di un progetto molto concettuale, la città in rete, non usa planimetrie, prospettive e prospetti, ma adotta il linguaggio del fumetto. Con "Yes is more", Bjarke Ingels decostruisce il mito del supereroe e integra i codici del fumetto nelle sue tavole. È lui stesso a spiegare i suoi progetti, come una sorta di conferenza, un Power Point a fumetti molto ludico, che però al tempo stesso racconta una storia, una sceneggiatura. Anche Herzog & deMeuron hanno fatto un album molto interessante. Hanno preso Jean Seberg e Jean Paul Belmondo da un film di Godard e li hanno usati per raccontare il loro progetto urbano di Basilea, Metrobasel. Il loro obiettivo è, ancora una volta, quello di farsi capire bene da un grande pubblico. In occasione della sua mostra al Louisiana Museum, Jean Nouvel ha invece chiesto ad alcuni giovani del fumetto di intervenire per raccontare i suoi progetti. I giapponesi Bow Wow sembrano invece mescolare il disegno al fumetto, aggiungendo personaggi e illustrazione in una sezione tecnica con tanto di quote.

Quali sono i momenti salienti di scambio e di incontro tra architettura e fumetto?
Nella storia delle due discipline Archigram ha un ruolo importante perché negli anni Sessanta ha decostruito il supereroe, creando l'album "Amazing Archigram", che attinge alla pop art e usa tutti i codici del fumetto. Il secondo momento di scambio molto importante è il 1958, anno della Grande Esposizione di Bruxelles. È in questo momento che ci si rende conto che gli autori di fumetti hanno scoperto la modernità. È l'epoca dell'architettura eroica – i padiglioni dell'esposizione universale e l'Atomium lo provano – sono gli anni dello sviluppo dell'Europa. In questo periodo l'architettura influenza molto gli autori di fumetti.

Perché gli autori di fumetti si interessano alla città contemporanea?
Forse perché il 60% della popolazione mondiale vive nelle città. Comunque è molto raro trovare dei fumetti ambientati in campagna. A volte, è il paesaggio costruito a creare lo sfondo del fumetto più dei personaggi. François Schuiten, per esempio, è uno dei più grandi autori del fumetto belga che si interessa moltissimo all'architettura (di formazione è architetto). Avremmo potuto fare una mostra su questo argomento soltanto con il suo lavoro. Tra gli autori di fumetti più intellettuali c'è Chris Ware. Ware si interessa molto all'architettura (ha avuto l'opportunità di incontrare Mies van der Rohe) e ha fatto un film, The Lost Building, su un edificio di Sullivan che rischiava di essere demolito.

New York, Parigi e Tokyo sono le tre metropoli icona dei fumetti: tre città così diverse sono rappresentate con modalità altrettanto diverse?
New York, con Chicago, è la città dei fumetti, gli autori la usano come sfondo per le avvenute dei loro supereroi. Un lavoro straordinario è quello di David Mazzucchelli sulla Città di vetro di Paul Auster, nel quale il protagonista cammina sulla trama urbana di Manhattan. Non si tratta dell'architettura come disciplina, ma piuttosto, ancora una volta, della città: come è vissuta, abitata e immaginata. Una parte delle tavole di New York è dedicata all'11 settembre. E qui vediamo come gli autori di fumetti si siano appropriati dell'argomento. Accanto, abbiamo messo un disegno di Jakob e McFarlane, una proposta per Ground Zero: delle alghe giganti. Parigi, invece, si identifica con un grande autore come Jacques Tardi, che però non è per niente interessato alla modernità. Ci si potrebbe chiedere se il suo sia un atteggiamento critico nei confronti dell'architettura moderna: tutti i suoi personaggi si muovono nella città di Haussmann. Accanto a lui troviamo Louis Bonnier, architetto del XIX secolo, che ha disegnato un boulevard a doppia circolazione, un lavoro d'autore precursore. Yona Friedman ha fatto tutta un'intera serie su Parigi; è la visione utopica di una Parigi spaziale. Passando a Tokyo, invece, la cosa interessante da notare è che gli autori di fumetti non si interessano all'architettura. Non vanno a cercare gli edifici per esempio di Sejima, Ando o Tange. Al contrario, raccontano un sentimento urbano. Un po' come nel film di Sofia Coppola Lost in Translation: siamo a Tokyo, ma la città non si vede mai.

Quali sono stati criteri di scelta? Non si può certo includere tutti, ma parlando di New York e delle Twin Towers stupisce non trovare il Pulitzer Art Spiegelmann…
Spiegelmann è l'unico tra quelli che abbiamo invitato che non ha voluto partecipare. Ha detto di non avere il tempo. È una mostra collettiva che propone le più grandi star del fumetto accanto di giovani ancora poco conosciuti. E questo aspetto di scoperta per noi è molto importante.

Quello del fumetto è anche un mondo in cui non è facile entrare se non vi si è abituati fin da piccoli.
È vero, e in più non tutti i giovani oggi leggono conoscono i fumetti. La mia cultura è legata a Tin Tin, un reporter e un grande viaggiatore. Le sue avventure fantastiche in tutto il mondo hanno formato il mio immaginario. Sarà interessante vedere come reagiranno i giovani di oggi, cresciuti a televisione e internet.

Qual è la tavola che preferisce?
Il lavoro (piuttosto intellettuale) di Francesc Ruiz, catalano di Barcellona, che ha preso la planimetria del Barrio gotico e il Plan Cerdà a Barcellona e su queste forme ha disegnato una storia, rifiutando l'ortogonalità della tavola per adattarsi alla planimetria urbana. È un lavoro che riassume la mostra in modo straordinario. La trama urbana è un palinsesto, diventare il quadro di un'altra storia. Quello che è importante non è tanto se gli architetti vogliono usare i fumetti, ma piuttosto le corrispondenze tra le due arti. Si dice sempre che il fumetto è la nona arte. Paul Valery diceva che l'architettura era la chiave di volta delle arti. Quello che ci interessa è vedere come autori che non fanno la stesso mestiere e non hanno la stessa responsabilità, si ritrovano insieme su questa piattaforma.
Jacques Rougerie, Pulmo – Laboratoire sous-marin mobile à grande profondeur, 1974. © Jacques Rougerie
Jacques Rougerie, Pulmo – Laboratoire sous-marin mobile à grande profondeur, 1974. © Jacques Rougerie
Baru, La piscine de Micheville, 1985. © Baru
Baru, La piscine de Micheville, 1985. © Baru
Ted Benoît, L’Infidélité, 1988. © Ted Benoit
Ted Benoît, L’Infidélité, 1988. © Ted Benoit
Nicolas de Crécy, poster della mostra. © Nicolas de Crécy, 2010
Nicolas de Crécy, poster della mostra. © Nicolas de Crécy, 2010
Ettore Sottsass, The Planet as Festival: Design of a Roof to Discuss Under, perspective, 1973. © The Museum of Modern Art, New York / Scala, Florence
Ettore Sottsass, The Planet as Festival: Design of a Roof to Discuss Under, perspective, 1973. © The Museum of Modern Art, New York / Scala, Florence
Rem Koolhaas, Madelon Vriesendorp, Elia et Zoe Zenghelis, Exodus or the Voluntary Prisoners of Architecture, 1972. © The Museum of Modern Art, New York/Scala, Florence
Rem Koolhaas, Madelon Vriesendorp, Elia et Zoe Zenghelis, Exodus or the Voluntary Prisoners of Architecture, 1972. © The Museum of Modern Art, New York/Scala, Florence
Yona Friedman, Quartier spatial au-dessus de la ville existante, 1959. © Musée d'Art Moderne / Roger-Viollet
Yona Friedman, Quartier spatial au-dessus de la ville existante, 1959. © Musée d'Art Moderne / Roger-Viollet
Jean-Claude Götting, La Maison de Verre, 2007. © Jean-Claude Götting
Jean-Claude Götting, La Maison de Verre, 2007. © Jean-Claude Götting
Jacques de Loustal, La maison de verre, 2007. © Jacques de Loustal
Jacques de Loustal, La maison de verre, 2007. © Jacques de Loustal
Emmanuel Guibert, L'Atelier Rossignol, 2005. © Idem, Paris
Emmanuel Guibert, L'Atelier Rossignol, 2005. © Idem, Paris
Jean-Pierre Lyonnet, Hôtel Latitude 43, Saint-Tropez - Façade sud, 2010. © Jean-Pierre Lyonnet
Jean-Pierre Lyonnet, Hôtel Latitude 43, Saint-Tropez - Façade sud, 2010. © Jean-Pierre Lyonnet
Marc-Antoine Mathieu, The World Institute of Dream, Morpheus Street, 2005. © Marc-Antoine Mathieu - Les Impressions Nouvelles
Marc-Antoine Mathieu, The World Institute of Dream, Morpheus Street, 2005. © Marc-Antoine Mathieu - Les Impressions Nouvelles
Winsor McCay, It is the city of Philyorgo by night, 1950 ca. Courtesy Galerie 9e art © DR
Winsor McCay, It is the city of Philyorgo by night, 1950 ca. Courtesy Galerie 9e art © DR
Antonio Sant’Elia, progetto per il manifesto di architettura futurista, 1914. © Bibliothèque de la Cité de l’architecture et du patrimoine / La construction moderne, volume 2, 1921
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Moebius, L’Incal Noir Tome 1, 1981. © Moebius / Jodorowsky
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Schuiten, L'étrange cas du docteur Abraham, 2001. © Casterman Schuiten / Peeters
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Jirô Taniguchi, Le Promeneur, 2008. © Casterman Taniguchi / Kusumi
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Tevessin, Un taxi nommé Nadir, 2006. © Actes Sud Tévessin / Multier
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Will- Maurice Rosy, Tif et Tondu - La Villa du Long-Cri, 1964. © Will – Dupuis 2008
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Zou Jian, Chroniques de Pékin, 2008. © Xiao Pan
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Jean Balladur, Le Grand Pavois, La Grande-Motte. 1967-1968. © SIAF / Cité de l'Architecture et du Patrimoine / Archives d’architecture du XXème siècle
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