Gotham City

Né giornalista, né narratore, Luca Campigotto vede New York come una successione di spazi teatrali o scenografie cinematografiche. Il potenziale narrativo delle sue fotografie è poi rafforzato dal fatto che spesso lavora di notte quando “le luci, i contrasti, i colori sono più interpretabili”.


Nel lavoro svolto nell’arco di dodici anni, dal 1999 al 2011, Luca Campigotto ha prodotto con il suo interesse per l’architettura e le sue raffinate indagini di spazi e luoghi questa collezione di bellissime e paradossali fotografie. In ognuna delle quali, un palpabile, quasi connaturato senso di presenza sembra in conflitto, eppure stranamente anche in sintonia con il malinconico senso di assenza che, al tempo stesso, pervade l’intero lavoro. Nato a Venezia, residente a Milano e con una laurea in storia moderna, Campigotto è ben consapevole dei modi in cui la fotografia, un medium che egli stesso descrive come “lo strumento supremo della nostalgia”, non solo documenta, ma plasma la nostra percezione e la nostra esperienza delle città.

 

Gotham City
Luca Campigotto, Canal Street, New York, 2004


Né giornalista, né narratore, Campigotto è, di fatto, un modellatore di scene. Non intende svolgere un progetto enciclopedico e, come egli stesso ha scritto, lavora seguendo l’istinto per fotografare “il contenitore degli accadimenti”. Piuttosto che costruire a priori una rigida struttura concettuale da seguire – come aveva fatto Thomas Struth con il progetto in bianconero di visioni delle strade di New York realizzato alla fine degli anni Settanta – Campigotto si relaziona con la città in modo soggettivo… Ogni immagine è ricca di episodi grafici e formali: la sfilata delle facciate elegantemente irregimentate, l’intreccio delle scale antincendio e delle impalcature che avvolgono gli edifici, gli effetti spettrali innescati dalle molteplici sorgenti di luce, e la nervosa sovapposizione di qualunque genere di insegne e indicazioni…

Gotham City
Luca Campigotto, Dumbo, New York, 1999

Viste in sequenza, le immagini di questo libro fanno pensare che, mentre la indaga, anche Campigotto veda New York come una successione di spazi teatrali o scenografie cinematografiche. Il potenziale narrativo insito in queste fotografie è rafforzato dal fatto che Campigotto spesso lavora di notte quando, afferma, “l’esito è imprevedibile. Le luci, i contrasti, i colori sono più interpretabili… La notte rende ogni evocazione più plausibile”. E così contribuisce a fare anche il lavoro di post-produzione che l’autore compie successivamente sulle immagini. Dopo averle scattate, egli le riconcepisce con cura, calibrando la saturazione dei colori in modo che anche i dettagli appena percettibili che sarebbero svaniti nell’ombra possano imporsi. Una volta che questo accade, qualcosa di inusuale e magico si mette in moto. La tavolozza cromatica solo parzialmente naturalistica di queste fotografie rende le atmosfere raffigurate come qualcosa in cui immergersi.


Unendo lo sguardo indagatore del banco ottico con una sensibilità risolutamente romantica, Campigotto crea fotografie straordinarie e ammalianti in cui coesistono il presente e il passato, il desiderio e la nostalgia. Un’immagine dopo l’altra, ci viene ricordato lo straordinario potere che New York ha su chi la costruisce, abita, visita o anche solo immagina. Ed emozionanti come sono, queste fotografie argute dicono anche di qualcos’altro, qualcosa di inaspettato – la grande città, forte e indifferente, va avanti senza di noi. Marvin Heiferman

Il testo di Marvin Heiferman e le immagini di Luca Campigotto presentate in questo articolo sono pubblicati nel volume Gotham City, Damiani Editore, Bologna 2012 (128 pagine 65 fotografie) e saranno in mostra dal 10 al 12 maggio al Mia Fair Photography Show (Superstudio, via Tortona 27, Milano).

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