Gohar Dashti: Limbo

Una natura quasi prepotente incornicia scenari dal malinconico richiamo nell’ultimo lavoro della fotografa iraniana Gohar Dashti, in mostra alle Officine dell’Immagine.

Gohar Dashti, <i>Stateless</i>. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano
Curata da Silvia Cirelli, la mostra alle Officine dell’Immagine propone i recenti lavori della fotografa iraniana Gohar Dashti.
Da sempre testimone del complesso tessuto sociale e culturale iraniano, Dashti si contraddistingue per una cifra stilistica di rara suggestione, capace di proiettare nella dimensione metaforica dell’arte la collisione di tratti distintivi apparentemente opposti: ironia e amarezza, incanto e sofferenza, severità ed evasione. La raffinatezza del suo lessico, strettamente connesso a un’implicita connotazione autobiografica, si traduce in una simmetria creativa audace e incisiva, dove l’estetica dell’allegoria si scopre come costante elemento focale.
Gohar Dashti, <i>Stateless</i>. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano
Gohar Dashti, Stateless. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano

Il titolo della mostra, “Limbo”, prende spunto dall’ultimo progetto dell’artista, l’emblematica serie Stateless (2014-2015), presentata a Milano come nucleo centrale della mostra.

Realizzata in un remoto paesaggio desertico nell’isola di Qeshm, territorio iraniano che si affaccia sul Golfo Persico, la serie regala panorami incontaminati, dove una natura quasi prepotente incornicia scenari dal malinconico richiamo. Nonostante l’innegabile sublimazione del paesaggio circostante, i protagonisti degli scatti sembrano chiaramente abitare un luogo che non appartiene loro. Si riscoprono vulnerabili, davanti ad una strada che non riconoscono. E’ questo silenzioso senso di abbandono, e il dolore della separazione dalla propria terra, la propria storia e quindi la propria cultura, che hanno ispirato Gohar Dashti nella realizzazione di una delle sue serie più poetiche, un progetto che assorbe la sofferenza della difficile condizione di profugo ed esiliato, restituendo l’identità di una memoria a chi purtroppo – a causa di guerre, malattie o soprusi – è stato costretto ad abbandonarla.

Gohar Dashti, <i>Stateless</i>. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano
Gohar Dashti, Stateless. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano

L’evocazione di un paesaggio surreale in perfetto equilibrio – o volontario squilibrio – con la componente umana, è riconoscibile anche nella serie Iran, Untitled (2013) in cui l’artista si concentra sulla morfologia emozionale dell’individuo. Come gli evocativi haiku giapponesi, noti per la capacità di catturare un sentimento con l’utilizzo di un linguaggio sensoriale, così Gohar Dashti, con la potenza delle proprie fotografie, riesce a denudare la vulnerabilità umana, traducendo l’autentica essenzialità emotiva.

Di simile lirismo sono anche i trittici del progetto Me, she and the others (2009), nei quali, seppur si abbandoni il dialogo con la natura, rimane comunque il magnetismo di una confessione tanto privata quanto collettiva. Questa volta domina la questione femminile e il conseguente ruolo della donna nella cultura iraniana in tre differenti contesti sociali: al lavoro, nella propria casa e nella sfera pubblica.


fino al 16 aprile 2016
Gohar Dashti
Limbo

a cura di Silvia Cirelli
Officine dell’Immagine
via Atto Vannucci 13, Milano

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