“Nella letteratura universale io distinguo tra opere scritte con o senza permesso. Le prime sono una porcheria, le seconde sono aria rubata.” Questa ferma invettiva contro ogni negazione della libertà di parola è al centro di Quarta Prosa del poeta russo Osip Mandel’stam. Scritto nel 1930 in netta antitesi al servilismo degli scrittori sovietici e alla mistificazione della burocrazia culturale, il testo viene pubblicato in Unione Sovietica soltanto nel 1988 e prima conosce una circolazione esclusiva in copia manoscritta e poi sotto forma di samizdat.
In opposizione tanto alle forme tradite della scrittura quanto all’adesione alla “canea di farabutti che scrive” in Mandel’stam c’è la volontà di sottrarsi ai caratteri tipografici e di rivendicare la materialità della parola. “In compenso ho un sacco di matite, di tanti colori e tutte rubate. Si tengono appuntite con una lametta Gillette.”
Situati alla frontiera tra il dominio letterario e quello visuale, gli artisti de “La Quarta Prosa” condividono tutti un senso di militanza libertaria nel rapporto con il potere che ha registrato diverse declinazioni: dal trattamento psichiatrico forzato (nel caso di Prigov) alla negazione del visto di uscita (nel caso di Akhunov) alla ricerca di asilo politico (nel caso di Badalov). Se la pratica del croato Vlado Martek è quella di un attivismo poetico che scende per strada e interagisce con il pubblico dei passanti, quella di Vyaceslav Akhunov trova nel format del taccuino il medium privilegiato per il suo esercizio quotidiano di una silenziosa e solitaria ribellione.
Da un lato la cifra artistica di Martek si risolve nel ridurre il testo ad una dimensione di “pre-poesia” in cui, decostruendo la scrittura ai suoi strumenti ed elementi basilari, intende mostrare la pura potenza della rappresentazione come tale. Dall’altro lato l’attività di Akhunov si può sintetizzare nella sua riduzione degli slogan politici socialisti a dei mantra che, nella continua ripetizione, perdono il loro significato acquistando una nuova aura.
Tra i massimi esponenti del concettualismo moscovita, Dmitrij Prigov negli anni ’80 si concentra nelle pagine di un unico giornale come la Pravda quale supporto dei suoi layout grafici e nella selezione di pochi nomi (quali Gorbachev, Sakharov o Glasnost) che, invariati, ritornano continuamente e isolati sul letto di parole stampate della cronaca.
A questa riduzione estrema e minimalista fa da contraltare la babele linguistica e alfabetica che, senza tregua, Babi Badalov trascrive e inventa secondo una modalità nomade, permeabile, trans-locale che forza i limiti del linguaggio stesso. Neologismi assurdi, collage visivi e fonetici, giochi di parole inattesi, frasi grammaticalmente scorrette sono, in Badalov, sempre il segno di uno spazio intermedio o di transizione. L’invito rivolto dagli artisti de “La Quarta Prosa” è quello di far esperienza, non di questo o quel contenuto della lingua, ma del linguaggio stesso, della facoltà di dire in quanto tale.
fino al 25 marzo 2016
Vyacheslav Akhunov, Babi Badalov, Vlado Martek e Dmitrij Prigov
La quarta prosa
a cura di Marco Scotini
Laura Bulian Gallery
via G. B. Piranesi 10, Milano