Vienna e il design

Lilli Hollein, curatrice della decima edizione della Vienna Design Week, che ha contribuito a fondare, racconta come nasce, quali gli obiettivi e quale la sua idea di design.

Vienna Design Week 2016. © Markus Guschelbauer
Negli ultimi vent’anni Vienna è divenuta sempre più internazionale. Nonostante la gelosa tutela delle tradizioni locali, le giovani generazioni oggi hanno molte occasioni in più. Tra queste la Vienna Design Week, la maggior manifestazione di design d’Austria. Lo scorso autunno (dal 30 settembre al 9 ottobre 2016) ha celebrato il suo decimo compleanno, mettendo della città al centro del festival. Abbiamo intervistato Lilli Hollein, cofondatrice e direttrice della manifestazione, sul suo lavoro e i suoi obiettivi.

Bruno Melis, Elisabetta Carboni: Quest’anno ricorre la decima Vienna Design Week, una gran festa per la città e per te come direttrice del festival. In retrospettiva, quali sono stati i cambiamenti principali? Quali sono gli obiettivi che hai raggiunto e quelli che vorresti raggiungere in futuro?

Lilli Hollein: Abbiamo varato la manifestazione con il desiderio di dare a Vienna un posto sulla mappa internazionale del design, e oggi la città vi è insediata molto saldamente. La Design Week  è riuscita a collegare la città a un pubblico internazionale. Ciò che è cambiato nel corso degli anni è che siamo diventati popolari presso il pubblico locale. Stiamo diventando sempre più internazionali, il nostro pubblico si fa più vasto, e questa è sempre stata una delle nostre aspirazioni: non solo la folla del design internazionale, ma anche le persone comuni che vogliono farsi un’idea di che cosa sia il design. La nostra prospettiva del design è molto ampia. Abbiamo il design sociale, la mobilità urbana, il disegno industriale, la comunicazione visiva, l’artigianato e molti progetti formativi. È una manifestazione attentamente preparata. Abbiamo sempre voluto presentarci come qualcosa di viennese, e credo che ci siamo riusciti. Presentiamo nuovi talenti. Guardiamo all’Europa orientale. Commissioniamo progetti, cerchiamo di presentare progetti inediti grazie al fatto che li abbiamo commissionati e seguiti noi. Abbiamo cercato di creare un’atmosfera speciale, qualcosa che favorisca il turismo.

Ritratto di Lilli Hollein, ph. Elisabetta Carboni
Ritratto di Lilli Hollein, ph. Elisabetta Carboni. In apertura: Vienna Design Week 2016. © Markus Guschelbauer
Bruno Melis, Elisabetta Carboni: Ogni anno, durante la Design Week, cambia il quartiere protagonista, il che significa che parti differenti della città vengono scoperte dai cittadini, dai turisti e dagli esperti di design. Quest’anno il quartiere protagonista era Margareten, il quinto Municipio di Vienna, di tradizione operaia. Poi è divenuto un polo dell’artigianato e oggi è pieno di imprese e società creative che hanno una produzione locale. Come il quartiere protagonista anche la direzione del festival cambia sede ogni anno. Quest’anno si trovava in un edificio neoclassico, gli ex padiglioni espositivi della Bothe & Hermann. Con quali criteri scegliete il quartiere protagonista e la sede della direzione del festival?
Lilli Hollein: Scegliamo dei quartieri che non siano già luoghi deputati del design. Andiamo in luoghi dove possiamo suscitare la consapevolezza che anche quella è una parte interessante della città, che vale la pena di osservare. Abbiamo bisogno di spazi, come i negozi dismessi. Per la direzione ci servono mille metri quadrati in cui poter tenere l’inaugurazione, un posto per il quale si possa avere un contratto un anno prima, perché è quello che ci serve per la programmazione. Andiamo alla ricerca delle attività artigianali del quartiere. Andiamo alla ricerca di artigiani e di produttori che siano un po’ fuori dagli schemi. Per esempio quest’anno avremmo voluto avere un tassidermista, ma lui non ha voluto perché il pubblico lo spaventa. Siamo contenti del neon e del fabbricante di pianoforti, ma un tassidermista è così fuori dall’ordinario! È un esempio per darti un’idea che la ricerca che facciamo per il festival è decisamente vasta. Perciò cerchiamo il paese ospite e il quartiere protagonista con parecchio anticipo. Già prima che il festival fosse terminato ci siamo messi a discutere che cosa fare l’anno prossimo. Immediatamente dopo questa edizione, si parte. Incontriamo le autorità del quartiere, gli urbanisti, che lavorano continuamente con i quartieri e ci sono di molto aiuto. Certi quartieri vengono da noi perché gli piacerebbe essere il quartiere protagonista. Finora abbiamo scelto per conto nostro. Il percorso del paese ospite è lo stesso. Abbiamo avuto paesi che si sono rivolti a noi, come la Francia, che aveva molta voglia di partecipare, oppure l’Ungheria o la Polonia, ma la Repubblica Ceca quest’anno l’abbiamo scelta per la qualità del progetto, ed è stata un partner eccellente per il nostro anniversario.
Campagna di comunicazione della decima edizione della Vienna Design Week
Campagna di comunicazione della decima edizione della Vienna Design Week. ph Elisabetta Carboni
Bruno Melis, Elisabetta Carbone: La sezione Passionswege (“Percorsi della passione”) è una delle chiavi di volta della Vienna Design Week: designer internazionali e austriaci lavorano insieme con produttori viennesi alla reinterpretazione dei pezzi austriaci della tradizione. Come ti è venuta l’idea? È un modo di tutelare il patrimonio culturale e la tradizione della città, e di presentarla al mondo?
Lilli Hollein: La cosa mi interessava ancor prima che il festival nascesse, perché è una caratteristica di Vienna il fatto di avere ancora produzioni locali sparse in tutta la città, e non solo produttori di gran fascino come Lobmeyr e la Wiener Silber Manufactur. È stupendo lavorare con persone che hanno già una profonda cultura del progetto, però direi che siamo riusciti a dare una mano agli artigiani perché si sono evoluti in un modo che altrimenti non sarebbe stato possibile. Passionswege è il risultato della nostra tradizione della produzione locale. Nell’attuale panorama del design austriaco, specialmente a Vienna, siamo ben consapevoli di questa imponente eredità culturale, che è profondamente autonoma. C’è una certa qual levità, uno spirito giocoso nel modo in cui le persone entrano in contatto con questo patrimonio culturale. Credo che la forma di Passionswege sia il modo di mettere a disposizione dei designer internazionali le potenzialità di un luogo come questo. Contemporaneamente è uno strumento di formazione generale per i produttori e per gli imprenditori, che spesso hanno ancora timore di lavorare con i designer. In realtà pensano che ciò significhi un cambiamento di identità, il che è quanto mai falso. Se si lavora con il designer giusto, quella persona si metterà immediatamente dalla parte del DNA del committente e lavorerà in base a esso, aggiungendo qualcosa di suo.

Per comprendere  questo processo, in molti casi, occorre viverlo. Con Passionswege i committenti siamo noi, siamo noi a pagare il conto del designer. Paghiamo anche i materiali e gli strumenti. Il progetto è fondamentalmente finanziato da noi. Per questo progettisti e produttori hanno gli stessi diritti, non è che l’uno dia l’incarico all’altro. E questo ci rende diversi da molte altre iniziative di design e d’artigianato che sono venute dopo. Non solo accoppiamo produttori di tradizione con designer contemporanei, ma privilegiamo l’innovazione. Non si deve necessariamente realizzare un prodotto. Se vogliono redigere insieme un manifesto, per le regole di Passionswege sta bene. Morag Myerscough ha realizzato un’installazione. Il pezzo di Maxim Velcovsky che vedi al piano di sotto è stato progettato come installazione. È diventato un prodotto perché era così bello che l’Ente del Turismo di Vienna ha deciso di finanziarlo. Noi lavoriamo così.

Ho scelto gli accoppiamenti, e credo che in questo siamo particolarmente bravi. Mettere insieme le persone giuste è importante. Prima di formare le squadre cerco di incontrare tutti di persona per valutarne il carattere e la personalità. Direi che il 96 per cento delle squadre si è rivelato eccellente!

Ingresso della sede del Festival, Vienna Design Week 2016
Ingresso della sede del Festival, Vienna Design Week 2016. ph Elisabetta Carboni

Bruno Melis, Elisabetta Carboni: Che cosa vuol dire ‘buon design’?

Lilli Hollein: È qualcosa che ha tutte le qualità che il design deve avere. Funzionalità ed estetica a parte, è qualcosa che ti tocca in un certo modo. Non si tratta necessariamente sempre di un oggetto. È questione di qualità emotiva. Può essere un regalo da parte di qualcuno che ti è caro. È qualcosa che ha una qualità in più. È proprio quello di cui vado in cerca. Cerco cose che abbiano un senso, può essere un oggetto di design che è quasi un’opera d’arte oppure un progetto di design sociale, oppure un utensile da cucina superfunzionale.

Bruno Melis, Elisabetta Carboni: Tuo padre Hans Hollein è stato un grande architetto, e tu sei cresciuta in un ambiente stimolante. Quanto è stato importante per la tua carriera e per le tue scelte di vita?

Lilli Hollein: Quel che hai intorno da bambino conta sempre. Era ed è tuttora un mondo interessante in cui crescere. Decisamente la mia cultura architettonica ha influito sulla mia vita. Ho studiato psicologia per due anni, ho cercato di star comunque lontana da arte, architettura e design, ma dopo il primo anno già frequentavo i corsi serali della Universität für angewandte Kunst (l’università delle arti applicate di Vienna). Dopo il secondo anno ho iniziato a studiare Disegno industriale. È stato importante perché ho deciso molto presto di non fare la designer. Mentre studiavo Disegno industriale ho iniziato a scrivere una rubrica settimanale su un quotidiano e mi è diventato chiaro che la prospettiva didattica del far incontrare le persone, raccontando il design e abbandonandomi al mio stesso entusiasmo, era il mio mondo.

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