“Il miglior fabbro”: Jean Prouvé a Torino

Rimontando una delle abitazioni smontabili e trasportabili da lui ideate nel dopoguerra, la mostra della Pinacoteca Agnelli cerca di mettere in risonanza il lavoro di Prouvé, costruttore per eccellenza, homo faber, anzi letteralmente un fabbro che trascorre la maggior parte del suo tempo in officina.


Jean Prouvé (1901-1984) è stato una figura trasversale nell’architettura del secolo scorso, importante cioè non solo per la pioneristica opera nella prefabbricazione metallica ma anche e soprattutto per il ruolo di consulente e collaboratore svolto per alcuni protagonisti indiscussi – come Le Corbusier, Marcel Lods ed Eugène Beaudoin, Charlotte Perriand, Yona Friedman e Georges Candilis – oltre che per la sua libera docenza al parigino Conservatoire des arts et métiers a cavallo del 1968. Prouvé infatti non era laureato né in architettura né in ingegneria, fatto che non mancava di rimarcare con un certo orgoglio, basta leggere l’incipit di quel piccolo capolavoro di mito-biografia che è Jean Prouvé par lui même: "Non sono che un operaio. In fondo sono partito da lì e penso che tutto ciò che ho fatto nella vita, l’ho fatto molto semplicemente, senza pormi interrogativi profondi". [1]

 

Jean Prouvé
Vista della mostra "Una passione per Jean Prouvé. Dal mobile alla casa" alla Fondazione Agnelli di Torino. Photo Nicolas Bergerot. Courtesy Galerie Patrick Seguin


Una rude suscettibilità che ben si addice a un maître-ferronnier, un tecnico della lamiera in ferro ossessionato dalla realizzabilità dei propri “sottili dettagli ricurvi”, come li chiamava Banham [2], piuttosto che dalle forme che i suoi elementi architettonici o d’arredo avrebbero assunto. Prouvé è stato insomma un costruttore per eccellenza, un homo faber, anzi letteralmente un fabbro che trascorre la maggior parte del suo tempo in officina nella sua Nancy piuttosto che in giro per i musei o i caffè parigini. Il suo sguardo diffidente e lo stile di vita severo, persino il taglio militaresco dei suoi capelli eternamente a spazzola sembravano non concedere nulla ai voli pindarici delle teorie avanguardistiche del suo tempo.

 

Jean Prouvé
Vista della mostra "Una passione per Jean Prouvé. Dal mobile alla casa" alla Fondazione Agnelli di Torino. Photo Nicolas Bergerot. Courtesy Galerie Patrick Seguin


Eppure è stato proprio il suo opposto caratteriale, Le Corbusier, il principale termine di paragone per gran parte della lunga carriera di Prouvé, dal comune ingresso nel 1929 nella Union des artistes modernes fino alla lunghissima collaborazione specie per gli arredi dei suoi progetti al fianco della Perriand e soprattutto di Pierre Jeanneret – cugino e socio di studio di Corbu – con cui lo scambio intellettuale e tecnico fu assai proficuo grazie anche alla comune militanza nella Resistenza: "Pierre amava il metallo e la tecnica dell’alluminio metallico che aveva mutuato da Jean. Al quale diede in cambio il gusto per il legno, l’apporto di un architetto sensibile alle strutture, all’arredamento, all’ambiente, all’armonia dell’insieme'". [3]

 

Jean Prouvé
Vista della mostra "Una passione per Jean Prouvé. Dal mobile alla casa" alla Fondazione Agnelli di Torino. Photo Nicolas Bergerot. Courtesy Galerie Patrick Seguin

Le Corbusier, che al contrario durante l’occupazione tedesca aveva collaborato col governo di Vichy, restava per Prouvé un architetto con "una visione decorativa delle cose" [4], massima accusa dal punto di vista dell’operaio e del modernista, eppure rispettato e ammirato perché nonostante ogni differenza ideologica riconosceva in lui una comune dimensione di artigiano sulla base della quale era possibile criticarsi e correggersi a vicenda analogamente a quanto avevano fatto in poesia T. S. Eliot ed Ezra Pound – quest’ultimo definito dal primo “il miglior fabbro”, non a caso. La mostra che la Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli di Torino dedica a Prouvé, attingendo dalla collezione di Laurence e Patrick Seguin, fino all’8 settembre è la prima in Italia da oltre vent’anni a questa parte.
Jean Prouvé
Jean Prouvé fotografato nella sua fabbrica di Maxéville, 1946

Cerca di mettere in risonanza il lavoro di Prouvé da un lato con la memoria industriale del Lingotto, emblema della vecchia Fiat notoriamente amato da Le Corbusier, dall’altro con l’opera di Renzo Piano, progettista della pinacoteca stessa nonché vincitore con Richard Rogers del concorso per il Centre Pompidou del 1971 che aveva in Prouvé un membro autorevole della giuria. Per questo è stata anche rimontata in sei giorni, da quattro persone, una delle molte abitazioni smontabili e trasportabili ideate dagli Ateliers Prouvé nel dopoguerra, la Maison Metropole del 1949, prototipo in alluminio di una scuola da portare in zone disagiate. I modelli e alcuni disegni non originali di architetture mobili riproducibili in serie sono presenti nella seconda sala, come la casa Ferembal del 1948 o la Maison des jours meilleurs del 1956 progettata su richiesta dell’abbé Pierre dopo l’inverno di due anni prima, vale a dire dopo un’eccezionale ondata di freddo che aveva ucciso decine di sfrattati e clochard [6].
Jean Prouvé
Vista della mostra "Una passione per Jean Prouvé. Dal mobile alla casa" alla Fondazione Agnelli di Torino. Photo Nicolas Bergerot. Courtesy Galerie Patrick Seguin

Alcuni oggetti presentati sono il frutto di una evidente abilità naturale e manuale, talvolta disarmante come nel caso della lampada Africa del 1952, costituita da un lungo braccio metallico strallato che sostiene una nuda lampadina, oppure lo sgabello n. 307 in acciaio e lamiera del 1951 che sembra uscire da un quadro di Léger; altri oggetti, come alcune sedie, sono entrate a far parte di una produzione effettivamente industriale e di massa. Come mai però questo non è avvenuto nel caso delle varie case prefabbricate, leggere e trasportabili? Come mai sul piano squisitamente architettonico Prouvé ha clamorosamente fallito così come fallì la sua impresa di costruzioni in serie di Nancy? Perché oggetti, arredi ed elementi architettonici pensati e prodotti a basso costo e per i meno abbienti sono oggi fra i più costosi sul mercato collezionistico? Sfortunatamente la mostra non risponde a queste domande né è di aiuto il catalogo bilingue privo di un curatore, Una passione per Jean Prouvé. Dal mobile alla casa, esempio canonico di coffee table book, tanto ricco di illustrazioni quanto avaro di informazioni. Manuel Orazi

6 aprile – 8 settembre 2013
Una passione per Jean Prouvé. Dal mobile alla casa
La collezione di Laurence e Patrick Seguin

Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli
via Nizza 230/103, Torino

Note:
1. "Je ne suis qu’un ouvrier. Dans le fond, je suis parti de là et je pense que tout ce que j’ai fait dans la vie, je l’ai fait très simplement, sans me poser de questions profondes", Jean Prouvé par lui-même, a cura di A. Lavalou, Editions du Linteau, Paris 2001, p. 11.
2. Reyner Banham, Jean Prouvé: the thin, bent detail, in “Architectural Review”, no. 131 April 1962, pp. 249-252; Jean Prouvé: il sottile dettaglio ricurvo, in Id., Architettura della seconda età della macchina. Scritti 1955-1988, a cura di M. Biraghi, Electa, Milano 2004, pp. 96-103.
3. Charlotte Perriand, A Life of Creation, New York, The Monacelli Press 2003; Io, Charlotte tra Le Corbusier, Léger e Jeanneret, Roma-Bari, Laterza 2006, p. 262;
4. Jean Prouvé par lui-même, …cit., p. 73.
5. Bernard Marrey, L’abbé Pierre et Jean Prouvé. La maison des jours meilleurs, Editions du Linteau, Paris 2010.

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